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Pieter Paul  Rubens, Cristo nella casa di Simone il fariseo ( 1618-20). San Pietroburgo, Ermitage

TEMI DEL SINODO LE CHIAVI DELLA CASA DI DIO SONO PER TUTTI

MichaelDavide Semeraro

Pieter Paul  Rubens, Cristo nella casa di Simone il fariseo ( 1618-20). San Pietroburgo, Ermitage

La mia proposta, in vista del Sinodo sulla famiglia, è di sostituire al termine “famiglia” il termine “casa”. Se infatti il termine “famiglia” rischia non solo di dividere ma soprattutto di ferire, il termine “casa” non può che accomunare. Se preferissimo il termine “casa” (cfr Lc 9, 24) a quello di “famiglia”, forse sarebbe più facile porci in un atteggiamento di umile accoglienza di tutte le realtà in cui uomini e donne vivono la loro avventura umana, soprattutto quando si fa alleanza per affrontare insieme la vita, spesso segnata da complessità non cercate, ma che vanno comunque patite, sofferte insieme e, possibilmente, accompagnate e sostenute con spirito fraterno e umana solidarietà. Ormai molte delle nostre case non assomigliano più tanto  a quella di Nazaret, né forse neppure a quella di Betania o a quella di Cana di Galilea.

La case di Levi e di Zaccheo
Si potrebbe dire che molte delle case, in cui gli uomini e le donne del nostro tempo vivono con i loro bambini e spesso anche con i loro vecchi, assomigliano di più alla casa di Levi: un luogo di passaggio di amici, di conoscenti, di gente con cui si condivide una storia. Non saremo mai abbastanza toccati e consolati dal fatto che, quando il Signore Gesù chiama Levi-Matteo a seguirlo, non gli chiede di cambiare compagnia e, persino,sembra non gli chieda di abbandonare i suoi amici e le sue abitudini. Laddove ci aspetteremmo una rottura assoluta con il suo mondo di relazioni e di abitudini troviamo invece che “Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla numerosa di pubblicani e di altra gente, che erano con loro a tavola” (Lc 5, 29). Quando le nostre case sono il luogo in cui convengono e convergono storie diverse e non sempre facili, tanto da scandalizzare e imbarazzare, come avvenne per i farisei alla vista di Gesù che entra in casa di Levi, il Signore si fa presente con la sua benedizione che non approva tutto, eppure non giudica nessuno e siede accanto a tutti come un “medico” (Lc 5, 31) che non solo ci prescrive le cure necessarie, ma sa pure aspettare i tempi e i modi della guarigione di ciascuno.

Ancora, si potrebbe dire che molte delle nostre case, in cui gli uomini e le donne del nostro tempo vivono con i loro piccoli e i loro anziani, assomigliano di più alla casa di Zaccheo. Come Zaccheo, spesso, cerchiamo di arrampicarci su un “sicomoro” per non essere visti e, nello stesso tempo, vedere, col desiderio di trovare un indizio di speranza per la nostra vita, apparentemente piena di tante cose e che talora è segnata da un vuoto insopportabile. Il Signore sorprende col suo invitarsi più che con il suo accoglierci: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19, 5). È il Signore a riportarci nella nostra stessa casa e così ci permette di riconciliarci con le nostre ferite, i nostri fallimenti relazionali, i nostri errori e persino il male che abbiamo fatto agli altri nel disperato tentativo di superare il nostro complesso di inferiorità – era “piccolo di statura” (Lc 19, 3) – che ci fa sentire talmente a disagio da mettere talora gli altri ancora più a disagio specie quelli che ci vogliono bene.

Famiglia: una realtà complessa
Alla luce di questi esempi del Vangelo, possiamo veramente allargare il nostro modo di pensare alla “famiglia” o, ancora più generosamente, non identificare la famiglia così come l’abbiamo intesa finora, soprattutto idealmente, perché la realtà delle famiglie non escluse quelle “cattolicissime”, è sovente non solo più complessa, ma anche assai dolorosa, come l’unica forma adeguata a ricevere, condividere e trasmettere la vita attraverso l’amore. La famiglia non può essere ridotta alla circolazione di cura e di affetto all’interno della coppia che si apre all’accoglienza, talora iperprotettiva, di uno o più figli. Nella logica che ritroviamo nelle Scritture, siamo messi di fronte ad un lungo cammino di umanizzazione non ancora compiuto e ancora in divenire. Ogni umana convivenza – necessariamente imperfetta e abitata da aspetti positivi e da inevitabili ambiguità – è chiamata a diventare “famiglia di Dio” che si riveli come casa in cui tutti possano trovare il sostegno e il conforto per la propria vita reale.

Il Concilio di Gerusalemme
Per vincere le molte resistenze davanti a possibili aperture che, per alcuni, rischiano di annacquare le esigenze di fedeltà alla tradizione, riferiamoci al primo Concilio di Gerusalemme come ad un’icona cui ispirarsi per adempiere il compito di cambiamento e di novità che spesso la storia impone alla Chiesa. La decisione della prima comunità riguardo ad una questione di rapporto con tradizioni complesse ed esigenti, come via via nel tempo, erano diventate le osservanze giudaiche e, in particolare, della circoncisione, va nella linea della semplificazione e dell’essenzializzazione. Tutto ciò esige la relativizzazione e che non coincide, automaticamente, con il relativismo. Così pure il modo di procedere nell’applicazione va nella linea di scegliere sempre, per quanto è possibile, di comunicare le decisioni “a voce” (At 15, 27), perché ogni decisione sia, il più possibile, l’occasione per approfondire i legami, nonostante le differenti sensibilità e i diversi modi di sentire e di reagire, di pensare e di agire. Al motto “credere, obbedire, combattere” corrisponde il moto evangelico che si potrebbe riassumere così: “credere, obbedire, amare”. Solo che, in questo caso, il terzo elemento – amare – non solo è quello che autentica il credere e l’obbedire, ma li fonda.

Salvaguardare l’essenziale
Per la Chiesa primitiva non è stato facile accogliere il Vangelo del Signore Gesù Cristo e soprattutto, non è stato facile rinunciare a tutto ciò che si è abituati a ritenere come garanzia di una vicinanza a Dio e di una fedeltà alla sua volontà. Come già i discepoli, quando Gesù era ancora con loro (Mc 9, 38-40), e come ancora oggi, ogni giorno nella Chiesa si fa fatica ad accogliere la libertà e imprevedibilità di un Dio che di punto in bianco, come afferma Pietro, “ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi” (At 15, 8), Discussione mai chiusa né tantomeno finita ed oggi di nuovo al centro di molte diatribe nella Chiesa…! Eppure la risposta ci viene data ed è una risposta dolcissima che ci viene attraverso gli apostoli e, in particolare, attraverso Giacomo: “io ritengo che non si debba importunare quelli che si convertono tra i pagani, ma solo…” (At 15, 19). È bellissimo notare come gli apostoli sono capaci di convertirsi, di andare oltre i propri parametri e di accogliere le sfide che lo Spirito di Dio pone loro a partire da una constatazione di fatto umile e sincera: “perché continuate a tentare Dio imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare?” (At 15, 10). Si tratta di uno stile che la Chiesa primitiva impara dallo Spirito Santo: bisogna salvaguardare il minimo essenziale per tutti che funga da minimo comune denominatore, per non cadere nella trappola del massimo comune divisore.

Consegnare le chiavi di casa
Lo stesso servizio pastorale dovrebbe assomigliare meno ad un blocco dottrinale e di più all’atteggiamento di un padre che parla a suo figlio e non dice esattamente cosa deve fare o non fare, ma consegna finalmente le chiavi di casa, non senza ricordare alcune regole di comportamento, alcune delle quali – sa già in partenza – saranno trasgredite. Questo per dare al proprio figlio non solo una sensazione di conquistata libertà, ma pure il conforto di una presenza di attenzione e di cura che non si esaurisce con l’età, ma che semplicemente muta nei modi, senza cambiare nel desiderio del bene e della felicità dell’altro che riparte continuamente dalla fiducia nell’altro.
L’immagine del pescatore che ripara la rete: è un’immagine che resta dentro e cresce, illuminando anche situazioni ed esperienze diverse da quelle legate ai temi del Sinodo, ma che parlano dell’atteggiamento della Chiesa sempre più chiamata a percepirsi parte del mondo. Si potrebbe parlare anche di “esame di maturità” della Chiesa e per la Chiesa; una buona pista per prepararsi al prossimo Sinodo ordinario, cercando di fare al meglio tesoro di quello che è avvenuto in quello straordinario. Si potrebbe dire che l’esame riguarda il livello che la Chiesa ha raggiunto e vuole raggiungere per essere icona della casa di Dio non solo aperta a tutti, ma di cui ciascuno ha le chiavi e non deve chiedere “permesso” per entrare, né tantomeno bussare alla porta o suonare il campanello. “Speriamo… in ‘bene’” (At 15, 25).

MichaelDavide Semeraro
Monaco benedettino, biblista

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Queste riflessioni l’autore le ha sviluppate nel suo libro Le chiavi di casa. Appunti tra un sinodo e l’altro,  Edizioni la meridiana, Molfetta (BA) 2015, pp. 128.

2 Commenti su “TEMI DEL SINODO LE CHIAVI DELLA CASA DI DIO SONO PER TUTTI”

  1. Da un punto di vista sociologico (e anche scritturale) posso essere d’accordo. Tuttavia: la famiglia non è un sacramento, il matrimonio sì. Ritengo che sia tempo di ripensare tutti i sacramenti, con esclusione di battesimo ed eucaristia. Ma in vista del Sinodo sarebbe il caso di interrogarsi sul significato della sacramentalità di un evento umano che è valore in sé se implica l’amore, a prescindere dai gender delle coppie e dai fallimenti di relazioni che intaccano la “casa” allo stesso modo della famiglia. I problemi vanno affrontati direttamente nella loro scomodità rispetto alle formulazioni vigenti degli ordinamenti ecclesiastici; altrimenti non è detto che ritocchi semiologici migliorino le situazioni.
    Giancarla Codrignani

  2. Il tema della casa, come è presentato, mi trova molto d’accordo. La casa può essere prigione ma anche scambio, luogo d’incontro, per crescere e far crescere, innanzi tutto noi stessi,e figli. nipoti, amici cercando sempre di allontanare pregiudizi ma imparare dal dialogo accogliendo idee e pensieri non sempre collimanti con i propri. Grazie

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