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TRASFIGURAZIONE:
UNA DIVERSITÀ DI SGUARDO SULLA REALTÀ

Gianni Novello

Scrivo queste note dove la vista può spaziare su un grande panorama dall’alto. Sotto, la città con i suoi quartieri, una zona industriale, il mare che lambisce una spiaggia arcuata, i declivi, un santuario, il porto. Quassù i rumori arrivano attutiti dalla distanza. Eppure la città con la sua vita e i suoi traffici sta lì, tanto vicina da sentire verso di essa un bisogno di fuga o la necessità di amarla.
Da qui non vedi le persone eppure son loro a fare di questa città una comunanza di memorie condivise e di obiettivi da attuare, o una convivenza forzata o mal condivisa. Vedi tetti, templi, condomini, palazzi di uffici. Le persone sono lì, dentro.

Salire in alto e guardarsi dentro
Chissà quante volte molti avran sentito la voglia di salire qui per guardare la propria città in silenzio e in silenzio interrogare il cielo e se stessi e prendere le misure delle distanze con gli altri con cui sembra di vivere sempre molto vicino! Vicino o lontano? Come partecipare alle relazioni di questa città? Che cosa ci avvicina ad essa? Cosa me ne allontana? La mia città è un mistero. Come conoscerne l’intreccio degli affetti che la compongono, i sogni delle sue generazioni, gli affanni e i desideri, le sofferenze, le gioie, i drammi, tutto il muoversi della sua vita?

Ora quassù son arrivati altri. Questa montagna è vissuta da ognuno con le proprie domande e ricerche. È il fascino del salire in alto e guardare dentro il proprio cammino di vita. Non solo, anche dentro il senso degli eventi di cui si è testimoni o per lo meno contemporanei.

Alla ricerca del senso che unifica
Gioacchino da Fiore il grande mistico calabrese scriveva che quando il contemplativo sale sull’ alta montagna per pregare non può non portare con sé anche lo strazio del mondo per domandarne il senso a Dio.
Nella cultura africana, che frequento, la pittura rappresenta la sapienza come un uccello che allunga molto il collo al di sopra della realtà in cui mai sono assenti le orme degli antenati. Precedendoci, ci hanno indicato il cammino e il filo rosso conduttore nei labirinti della vita. Occorre però salire sopra la momentanea scomposizione dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e sentimenti, per ritrovare la chiarezza del filo conduttore delle memorie e degli orizzonti.
Tra qualche giorno il calendario liturgico mette la festa della Trasfigurazione. Ci ricorda che in giorni di grande paura anche Gesù ha portato in alto sul monte Tabor alcuni dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per aiutarli a ritrovare il filo conduttore. Forse finora al seguito di Gesù avevano vissuto consapevolmente solo frammenti di vita, non una unità di insieme. Trovavano difficile cogliere il filo unificatore del tutto.

Vedere con altri occhi
In quei giorni Gesù aveva annunciato il suo arresto da parte dei poteri della città e poi ancora le torture e la morte ignominiosa sulla croce. Davvero tutto stava finendo? Gesù aveva anche parlato di resurrezione dopo un breve tempo di tre giorni, ma forse questo poteva far parte di quel linguaggio di speranza e di consolazione che talvolta egli usava con loro. Tutto portava allo smarrimento e alla paura. Non c’ era da illudersi. Il silenzio calava tra di loro insieme ad una sensazione di panico inconfessato. Occorreva invece un’altra qualità di silenzio, quello che aiuta a vedere con altri occhi l’insieme di quanto già vissuto e l’ inedito del non ancora. Nel loro profondo Gesù voleva mettere a fuoco questa diversità di sguardo perché, un giorno, nella prova della passione, riuscissero a resistere e ad andare avanti come vedendo l’invisibile (Eb 11,27), quel che con uno sguardo corto non sarebbero riusciti a vedere.

Dalla sfigurazione alla trasfigurazione
Nell’annuncio della passione (Mt 16,21) ora essi riuscivano a immaginarsi soltanto la sfigurazione del loro Cristo che avevano tanto aspettato con il popolo di Israele.
Gesù invece li portava in alto sulla montagna mostrandosi loro in un’esperienza di trasfigurazione, oltre la figura del Servo sofferente di Yahvè delineato tante volte nelle profezie, oltre le paure che ottenebravano già i loro occhi, oltre il panico che stavano vivendo prima ancora di affrontare la realtà della passione. Si mostrava loro trasfigurato perché questa visione si incidesse così fortemente in loro che il giorno in cui lo avessero poi visto sfigurato dal dolore e dal cammino di morte potessero vedere in lui anche tutta la luce e la chiarezza del suo amore. “La veste di lino puro splendente sono le opere giuste dei santi” (Ap.19,8) si sarebbe sentito rivelare san Giovanni scrivendo l’Apocalisse. Matteo, Marco, Luca, avevano messo in rilievo il candore sfolgorante della veste del Trasfigurato.

Trasfigurare la Chiesa
Ora a noi, il Tabor e la Trasfigurazione cosa possono suggerire nell’ oggi della società e della Chiesa? Sembriamo paralizzati dalle crisi odierne quando la crisi potrebbe addirittura diventare una… opportunità per un cambio delle nostre priorità e dei nostri stili di vita.
La Chiesa stessa, nei suoi vari livelli e articolazioni, non deve preferire maggiormente pratiche di luce e di trasparenza, di perdono e di misericordia, di umanità, di opere giuste? Talvolta siamo tentati a esorcizzare le paure e il vuoto spirituale con la pastorale delle grandi concentrazioni, “con i segni del potere piuttosto che con il potere dei segni” – come diceva don Tonino Bello. Nella Chiesa ci sono tante paure da vincere salendo ancora sul monte per guardare dentro le nubolosità della propria vita, e acquisire una spiritualità matura per discernere strade in avanti, per scendere e accorgersi che ci sono già tanti segni di speranza e di fraternità in atto dappertutto nel mondo.

I luoghi e le realtà da trasfigurare
I Vangeli della Trasfigurazione terminano con la richiesta di Pietro di restare nella visione e l’ invito di Gesù a scendere e incarnare la visione nella realtà. Il terreno di questa discesa lo troviamo ben indicato nei luoghi dove il Risorto è apparso.
Dapprima, nel giardino di Gerusalemme dove Gesù era stato sepolto. Si tratta di mettersi a fare del nostro mondo in cui viviamo non uno spazio di violenze, di ingiustizie e di morte, ma un giardino da coltivare e custodire come era stato chiesto all’inizio dell’umanità. Coltivare creando spazi per discernere sulle grandi questioni sociali, culturali e morali che segnano la società odierna, da custodi fedeli che non scappano dall’impegno e dalla ricerca, a tutti i livelli.
Gesù risorto è poi apparso nella casa del Cenacolo dove i discepoli si erano rinchiusi con le loro paure. Gesù vi entra con il saluto della Pace con cui far casa, non rimproverando nessuno neppure Tommaso con la tipicità del suo cammino di fede. In mezzo a tante contraddizioni e complessità dell’oggi, non si tratta di riprendere il sogno del Concilio perché la Chiesa si manifesti casa di relazioni fiduciose, non di giudizio e di sospetto,non di competizione e di esclusione, ma di fraternità in cui sentirsi tutti a proprio agio, come ci si sente a casa propria?
Il Risorto si è manifestato ancora sulla strada di Emmaus come il Dio che cammina a piedi con noi nella fatica della nostra realtà. È uno stile da vivere in tutti gli spazi in cui ci si muove, in politica, in economia, nell’ annuncio delle fedi.
Gesù risorto è apparso sul mare di Tiberiade. Il mare ci fa sognare grandi orizzonti aperti mentre calpestiamo la povera sabbia della riva. Davanti al mare ci sentiamo sospesi tra il sogno e la realtà.
Dopo la Trasfigurazione, il Risorto non ci lascia soli in basso a valle.

Gianni Novello
Fraternità di Romena (AR)

[pubblicato il 26 settembre 2018]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: vaticannews.va]