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SUONI O RUMORI?
LA “BUONA SCUOLA” ALLA PROVA

Elio Damiano


Reformanda semper
: la scuola dev’essere sempre riformata, ma si può riformare? Sembrerebbe proprio di no, a giudicare dai tentativi del quasi settantennio repubblicano, regolarmente falliti. Lo stesso Renzi, quando nell’abituale (per lui) strategìa delle anticipazioni, presentava il 3 settembre 2014 al pubblico via You Tube il documento “La Buona Scuola”, lo proponeva come “un patto educativo, non l’ennesima riforma”. La scuola, in Italia, sembra rappresentare emblematicamente la condizione di impotenza dell’intera politica nazionale, definita brillantemente come Surviving without Governing da uno studioso californiano (Di Palma, 1977). E a giudicare dal formato in cui La Buona Scuola è uscita sulla Gazzetta Ufficiale (n. 107 del 13 luglio 2015) – un testo compresso in un solo articolo ipertrofico, lungo qualcosa come 212 commi, in cui c’è tutto, senza alcuna apparente concatenazione logica – sembrerebbe andata buca anche stavolta. In verità, ad una lettura tattica, qualcosa emerge: un esplicito richiamo a sinistra – vedi il pacchetto straordinario di assunzioni di insegnanti – ed una strizzatina d’occhi a destra – il ruolo decisionista del dirigente scolastico, le detrazioni fiscali alle famiglie che mandano i figli alle scuole paritarie – ovvero una palese simmetria con un governo che coalizza sinistra e centro. Che tuttavia non è servita a tener buono l’elettorato di riferimento, se le contestazioni provenienti dall’intero arco del pubblico interessato – in primis insegnanti e rispettivi sindacati, tradizionalmente orientati a sinistra – hanno toccato picchi d’intensità inaspettata.

Emergenze di un disegno innovativo
Vediamo quali sono le opzioni che devono essere considerate come indizi certi di una strategia di cambiamenti rilevanti.

Il primo riguarda l’autonomia dell’istituto come “unità scolastica locale”(USL), quella riconosciuta dalla ricerca internazionale fin dagli anni ’80 come cellula dell’innovazione. Le tracce di questa emergenza sono evidenti e concordi: (a) l’organico di scuola, per realizzare l’unità interna delle risorse umane; (b) il curricolo di scuola, ovvero la possibilità di definire un profilo specifico di attività educative, scolastiche ed extrascolastiche, su misura del contesto, che trova il suo formato in (c) un piano dell’offerta formativa triennale, ovvero ad un medio termine confacente per attività del genere didattico; (d) la funzione dirigente del preside, una leadership pedagogica messa in condizione di governare facendo sintesi di una realtà complessa – educativo/gestionale – come quella di una scuola in situazione. E’ quest’ultimo il tratto più importante che fa dell’USL un ‘sistema’, una squadra al lavoro in un territorio dato, resa effettiva dalla possibilità di cooptare gli insegnanti necessari alla realizzazione di un progetto unitario (CERI-OCDE 1974, 1979).

Una seconda emergenza è il raccordo scuola-lavoro, con l’avvento degli stages in alternanza, per tutte le scuole secondarie, ribadito con un incremento orario di dimensioni non banali. Si tratta di una emergenza tra le più dirompenti per la mens scolastica: non soltanto pensando ai tentativi di riforma della scuola secondaria, reiterati invano e variamente – a ragione della divaricazione tra cultura generale e cultura professionale – fin dagli anni ’70, ma addirittura originari per un’istituzione, come la scuola, creata e cresciuta come antitesi rispetto al lavoro, all’origine di due sistemi paralleli senza interscambi fra scuola-senza-lavoro e azienda-senza-formazione.

Il terzo elemento da segnalare è la professionalizzazione degli insegnanti, con due componenti: (a) l’aggiornamento –già affermato come diritto-dovere nel lontano 1973-74, ora sottolineato come componente strutturale della funzione docente; (b) l’abolizione del precariato, ovvero di quella sorta di peccato originale del nostro sistema scolastico, con una massa di migliaia di disoccupati intellettuali – trasformati in candidati all’insegnamento – tenuti a bagnomaria per entrare a scuola in relazione al calendario elettorale. Una autentica vergogna nazionale, pari solo a quella di una formazione professionale specifica pressoché inesistente almeno fino alla soglia del secondo millennio ed ancora, soffertamente, in attesa di giudizio, a ragione della disputa – tutta intra/accademica – fra disciplinaristi e pedagogisti.

Sì, ma…
E tuttavia, tutti questi ‘suoni’ sono contrastati da altri e pertanto possono essere percepiti solo come stridenti ‘rumori’. Le discordanze non sono poche e riguardano ciascuna delle emergenze segnalate in precedenza. Nell’ordine:

I Unità Scolastica Locale. Una prima stonatura riguarda i premi al merito: se la scuola è una squadra che lavora come tale il premio va assicurato non ai singoli -mettendoli in competizione fra loro, rompendo l’armonia del team – bensì all’USL nel suo insieme. Soprattutto se si tiene presente che – per varie ragioni storiche e amministrative, le stesse che inducono a valorizzare lo spirito comunitario – la cultura degli insegnanti è tendenzialmente individualista e orientata all’isolamento professionale. In secondo luogo, l’ondata dei precari messa a disposizione delle scuole – connotata da profili di titoli e carriera accumulati scriteriatamente nel tempo – rende di fatto difficile, se non impossibile, una cooptazione di docenti su misura dei progetti di scuola. Infine, e soprattutto, l’autonomia ‘perfetta’ delle USL – avendo decentrato al massimo le decisioni sul curricolo presso le scuole- richiede necessariamente di accentrare i controlli: non, com’è stato detto, per evitare gli abusi dei presidi, com’è ovvio, bensì di garantire il sistema dai particolarismi, assicurare un’assistenza capillare – esterna ed esperta – e facilitare la massima circolazione delle esperienze, quali che siano – buone e non buone – e favorirne il trasferimento e la capitalizzazione. In questa prospettiva, serve dotare il centro del sistema di una task-force di ispettori – adeguata per numero e competenza – in grado di sostenere l’autonomia delle USL. Nessuna traccia di un intento del genere, peraltro gravoso perché significa aver compreso che l’autonomia non è soltanto un compito della periferia, ma anche – se non prioritariamente – un valore da incorporare al centro, con una riforma in tal senso del Ministero.

II Alternanza scuola-lavoro. Il problema è soprattutto di tipo culturale, presso la scuola e presso l’azienda: non basta mandare gli studenti nei luoghi di produzione, dove l’esito più probabile sarebbe –come mostrano le esperienze in corso, non solo da noi- quello di procedere alla identificazione dei soggetti più docili, facili da inquadrare, quando non di metterli al lavoro –ovviamente nelle mansioni più semplici- evitando di pagare il servizio reso, per quanto modesto. Si tratta di battere in breccia il pregiudizio radicato per il quale il lavoro è fatica ottusa e inferiorizzante, ovvero di far luce sulla ‘intelligenza’ dell’azione tecnica e delle routines di cui si sostanziano ruoli e funzioni. Un impegno essenziale, di decondizionamento e di formazione, a partire dagli insegnanti, ma da prolungare in direzione degli studenti e delle loro famiglie, sviluppando la ricerca didattica sui curricoli scolastici.

III Professionalizzazione degli insegnanti. Se l’aggiornamento è un’azione di trasformazione personale, è altrettanto vero che –nella prospettiva dell’USL- è tenuto a svolgersi come un compito di scuola: fare squadra imparando insieme, dalla valutazione di scuola, a migliorare il rendimento dell’USL. Abbiamo detto della fine del precariato come evento storico mirato a cancellare uno sfruttamento secolare: ma facendo rientrare nei ranghi – todos caballeros – tutti o la maggior parte, il governo ha eseguito, ancora una volta, la stessa operazione che ha inteso ripudiare. Per l’ultima volta? Speriamo; comunque, anche questa volta… Vedremo dai concorsi e dalla pianificazione della domanda/offerta di insegnanti. Staremo anche a vedere cosa accadrà per la delega relativa alla formazione degli insegnanti: in particolare se la cultura del lavoro (v. sopra) entrerà a far parte della professionalizzazione degli insegnanti attraverso l’inserimento del tirocinio, con stages e laboratori in continuità con i corsi accademici, sotto il controllo delle scuole, chiamate a farsi carico direttamente della formazione dei futuri colleghi.

Una cabina di regia
Perché i cambiamenti potenziali mantengano le promesse, diventando politiche fattive,  occorre determinare un centro di riferimento: una cabina di regia, dedicata ad accompagnare il processo di autonomizzazione delle USL. Non una commissione, e nemmeno, come in passato, un ‘ufficio-studi’ affiancato ad una burocrazia centralistica, bensì un’amministrazione ordinaria de La Buona Scuola, che abbia fatto propria la strategia dell’autonomia.

Elio Damiano
Già professore Ordinario di Didattica generale presso l’Università di Parma

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