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Il Regno di Dio non coincide con la Chiesa (1.8.2012)

Contributo di “Viandanti” al quinto incontro de “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. “Il Regno di Dio è vicino” – Brescia 27-28.10.2012.

Il Consiglio dell’Associazione, ritenendo questo “spazio libero di comunione, confronto e ricerca sinodale” molto importante per la realtà ecclesiale italiana, come per gli appuntamenti precedenti ha elaborato e inviato il seguente contributo.

La documentazione completa dell’iniziativa si trova nel sito: www.statusecclesiae.net

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Nel confrontarci sul tema di questo appuntamento, è emersa la necessità di distinguere tra chiesa e regno di Dio. Un equivoco ricorrente, che finisce con l’anteporre l’istituzione alle persone e al vangelo stesso, con tutte le conseguenze che si possono immaginare in termini di connubio e compromesso con Cesare.

Uno degli obiettivi della nostra associazione è il “fare memoria”, intesto non in senso archeologico, ma come riportare all’attualità momenti e figure della tradizione conciliare che continuano a parlarci oggi. Non sempre è indispensabile inseguire il nuovo, quanto piuttosto ritornare alle radici, all’essenziale.

La Chiesa è in funzione del Regno
A proposito del regno, risuona ancora valido quanto scriveva Luigi Rosadoni, sottolineando che esso non è affatto la chiesa. Nel Nuovo Testamento, l’uno non è uguale all’altro; è anzi molto più ampio.

In Atti 1,8 (Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra), lo Spirito santo è donato per dare la forza di essere testimoni del Signore fino alle estremità della terra. È lo spazio del regno, lo spazio della salvezza, di cui gli apostoli sono i portatori, non i destinatari.

«Il regno di Dio – ha scritto Rosadoni – è dunque la totalità di ciò che esiste, la Chiesa invece solo la piccola assemblea dei discepoli di Gesù; tutt’al più l’inizio e l’anticipazione del regno come nel suo evangelo sottolinea Luca: “Non temere, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre vostro di dare a voi il regno” (Lc 12,32). È il gruppo di seguaci che si è venuto a costituire attorno a Gesù di coloro che ne hanno ascoltato la chiamata che gli veniva esplicitamente rivolta».

La Chiesa, una comunità alternativa
La chiesa è in funzione del regno, e non viceversa. Rendersene conto è un antidoto alla tentazione di emergere e di contare, di porsi come setta o gruppo autoreferenziale. Annunciare il regno significa affermare il primato della fede, non di se stessi. Vuol dire, proprio a partire dalla chiesa degli apostoli, annunciare il dono di una comunione nuova, al proprio interno e con gli altri, che è resa possibile per grazia di Dio dal dono dello Spirito. La chiesa si riscopre così come “comunità alternativa” nel senso dell’evangelo, alternativa alle organizzazioni votate al profitto, alle lobby, ai partiti che finiscono con il cercare la propria affermazione.

La chiesa come comunità alternativa instaura una rete di relazioni evangeliche, ponendosi come “città sul monte, “sale della terra”, “lucerna sul lucerniere” (cfr. Mt 5,13-16).

Leggiamo nella lettera pastorale del 1995 di Carlo Maria Martini: «Anche con tutti i suoi peccati la comunità alternativa rimane un ideale di fraternità in divenire, destinato a mostrare a una società frammentata e divisa che possono esistere legami gratuiti e sinceri, che non ci sono solo rapporti di convenienza o di interesse, che il primato di Dio significa anche l’emergere di ciò che di meglio c’è nel cuore dell’uomo e della società».

L’impegno per l’annuncio del Regno
L’annuncio del regno ci pone in una prospettiva di:

– impegno e conversione (“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”, Mt 3,4; cfr. Is 40,3);
– attesa e vigilanza (“Vegliate dunque, perché non sapere né il giorno né l’ora”, Mt 25,13);
– preghiera e invocazione (“Vieni, Signore Gesù”, Ap 22,20).

Come ci insegnano le parabole evangeliche, c’è una piccolezza da cui nasce una dismisura, quella del piccolo seme che diventa un grande albero (cfr. Mc 4,30-32), ma non è immediatamente evidente. Siamo chiamati a cambiare il nostro sguardo per discernere le tracce del regno, a contribuire con la nostra vita alla sua venuta…

Resta indispensabile la lettura dei “segni dei tempi”, per saper distinguere il “già”, così come il “non ancora”. Come chiesa non ne siamo esentati, non siamo degli arrivati che osservano e giudicano il cammino altrui da una posizione privilegiata. Le esigenze del regno ci riguardano in pieno.

Nel guado di “tempi difficili”
Dentro la chiesa e al di fuori possiamo riconoscere tendenze contrastanti.

Nella comunità cristiana è cresciuta l’attenzione per la Parola di Dio, c’è una maggiore ricerca di esperienze spiritualmente significative, ci sono laici formati e pronti a una vera corresponsabilità. D’altra parte ci sono anche spinte clericali e il freno posto alle istanze di rinnovamento.

Nella società, ci sono contesti in cui è elevata la sensibilità per l’ambiente, per le persone svantaggiate e fragili, per la giustizia. Fanno da contraltare le spinte all’imbarbarimento della cultura, dei rapporti economici e di quelli sociali, per cui tanti si rifugiano in un tribalismo che riconosce solo i propri simili e vede i diversi come nemici.

Siamo in mezzo a un guado, dove non sembra esserci uno sbocco univoco, anche se è diffuso il clima di angoscia per i “tempi difficili” che stiamo attraversando.

Maturare parole e gesti profetici…
In uno scenario del genere, la comunità cristiana è chiamata a una revisione di vita che consenta di maturare parole e gesti profetici. È ciò di cui si sente maggiormente la mancanza. Si tratta di riconoscere il bene che c’è dovunque, cogliendo ciò che lo Spirito suscita al di fuori dei confini posti dagli uomini, senza però omologarsi a mode e mentalità estranee al vangelo.

Nella confusione generale, non è facile riconoscere la strada giusta. Si rischia di rinchiudersi nel particolarismo delle proprie “isole felici” o di assecondare tentazioni identitarie e nostalgie di riconquista.

… per suscitare fiducia e speranza
Si può trovare una guida in queste parole di frère Roger, il fondatore di Taizé: «Senza fiducia siamo vivi a metà».

L’annuncio del Regno da parte di Gesù voleva suscitare fiducia e speranza. Vanno nella stessa direzione i messaggi e le scelte operative che alimentano la fiducia. In tutti, senza confini di appartenenze confessionali, etniche, nazionali o politiche. Annunciare il regno significa annunciare fiducia per tutti – quale che sia la loro condizione, fosse anche la più misera – e agire di conseguenza.

Viandanti
Il Consiglio direttivo

Parma, 1 agosto 2012

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