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BENEDETTO XVI, ULTIME CONVERSAZIONI

RATZINGER, LIBERATO DAI RATZINGERIANI

Christian Albini

BENEDETTO XVI, ULTIME CONVERSAZIONI

Benedetto XVI è divenuto il papa delle sorprese con la sua rinuncia nel 2013 e oggi se ne ha conferma con la pubblicazione delle sue Ultime conversazioni (Garzanti). Le sue posizioni spiazzano i più zelanti tra i suoi sostenitori e i suoi detrattori: ambedue hanno spesso divulgato un’immagine distorta di Benedetto.

Rischio strumentalizzazione
Questi colloqui con il giornalista Peter Seewald presentavano il forte rischio di un impiego strumentale da parte degli ambienti avversi a papa Francesco. Ratzinger, invece, ha forti parole di stima per il suo successore, senza mai toccare le questioni ecclesiali da lui affrontate e le sue scelte, come se non volesse offrire pretesti. Inoltre, secondo Seewald, la pubblicazione delle conversazioni è avvenuta con l’esplicito consenso di Francesco. Si può, allora, ipotizzare a ragion veduta che il libro sia anche il frutto di un’intesa tra Ratzinger e Bergoglio per delegittimare alcuni degli argomenti usati contro quest’ultimo.

I temi toccati sono tantissimi e mi soffermo solo su tre aspetti che trovo particolarmente significativi: il profilo teologico di Ratzinger che emerge dalle conversazioni, la rinuncia e la successione, la questione della continuità-discontinuità tra Benedetto e Francesco.

Riformare e conservare
Riformatore o conservatore?
«Bisogna sempre fare l’uno e l’altro. Bisogna rinnovare, e io ho cercato di portare avanti la Chiesa sulla base di un’interpretazione moderna della fede. Nello stesso tempo c’è bisogno di continuità, bisogna garantire che la fede non subisca strappi, non lasciare che si frantumi».

È risaputo che Benedetto XVI è diventato una sorta di simbolo per i settori ecclesiali e culturali più tradizionalisti e conservatori. In realtà sono diversi i passaggi in cui egli rivendica un profilo decisamente diverso, fin dall’inizio della propria storia intellettuale e di fede («Eravamo progressisti. Volevamo rinnovare la teologia e con essa la Chiesa, rendendola più viva»).

Il fatto di essere ormai libero da obblighi ufficiali sembra restituire alle parole di Ratzinger un gusto avventuroso che in altri momenti è mancato, come quando indica alla teologia il compito di offrire agli uomini nuove possibilità di rappresentare Dio: «La traduzione della teologia e della fede nella lingua odierna è ancora molto carente».

Conservatore: uno stereotipo sbrigativo
Certo, egli non nasconde tensioni e divergenze anche profonde con altri protagonisti della stagione conciliare, a cominciare da Hans Küng, e di aver ritenuto necessario offrire un contrappeso rispetto a quelli che ha percepito come degli eccessi nelle loro elaborazioni teologiche. Ratzinger, però, non può essere sbrigativamente assimilato allo stereotipo che è stato costruito attorno alla sua persona.

È emblematico il riferimento alla liturgia. Il pensiero corre subito al motu proprio “Summorum pontificum” che egli giustifica con un’esigenza di riconciliazione dentro la chiesa e la sua storia, ma senza mettere in discussione il Vaticano II e i cambiamenti liturgici intercorsi da allora: «Il rito si deve evolvere. Per questo è stata annunciata la riforma». Non è una posizione assimilabile a quelle lefevriane. Basterebbero due brevi battute a conferma: quella in cui afferma di non avere problemi rispetto alla comunione sulla mano o le parole di apprezzamento per il precedente cerimoniere pontificio, Piero Marini: «D’accordo, in tema di liturgia è più progressista di me, ma non fa niente».

La posizione intellettuale di Benedetto è perciò distante dal conservatorismo ideologico che demonizza qualsiasi differenza di pensiero, in quanto riconosce il positivo in personalità anche distanti dal suo profilo culturale. È il caso di Barack Obama e della presidente del Cile Michelle Bachelet. «È atea e marxista, quindi non siamo d’accordo su molte cose, ma ho visto in lei una volontà etica di fondo vicina a quella cristiana».

La rinuncia e la successione
Joseph Ratzinger è molto esplicito e diretto nel rivelare che il papato è stato per lui un compito pesante e gravoso e che la ragione prima della sua rinuncia è stata la mancanza di forze per portarlo avanti. Il sollievo traspare con evidenza dalle sue parole: «Ringrazio Dio che non ricade più su di me una responsabilità che non ero più in grado di sopportare».

Niente complotti e trame di palazzo, ma l’umanissima realtà di una persona che si misura con l’incedere dell’età, di cui d’altra parte si dice consapevole fin dall’inizio. «Non potevo affrontare questioni a lungo termine. Questo deve farlo uno che ha del tempo davanti a sé. Io ero consapevole che il mio compito era di un altro tipo: dovevo anzitutto cercare di mostrare cosa significa la fede nel mondo di oggi, mettere nuovamente in risalto la centralità della fede in Dio e dare agli uomini il coraggio di credere, il coraggio di vivere in modo concreto la fede in questo mondo. Fede e ragione sono i valori in cui ho riconosciuto la mia missione».

Nessun dualismo
Se l’incoraggiamento a credere oggi è stato l’obiettivo principale del suo pontificato, Ratzinger riconosce anche una propria debolezza nel governo pratico, una mancanza di risolutezza nel prendere decisioni. Qui c’è una chiara consapevolezza del fatto che il portare avanti l’annuncio della fede oggi richiede un linguaggio e forme ecclesiali nuove a cui lui non ha potuto dedicarsi, compito che invece spetta al suo successore. «Francesco è l’uomo della riforma pratica e ha anche l’animo per mettere mano ad azioni di carattere organizzativo».

Oltre a sottolineare l’assoluta libertà delle sue dimissioni, Benedetto XVI rimarca il totale venir meno da parte sua della funzione papale, come del resto avviene normalmente nelle diocesi per i vescovi emeriti. La sua posizione è perciò quella di obbedienza nei confronti del nuovo papa, lo ha affermato anche nell’intervista pubblicata in appendice alla biografia di Elio Guerriero. Il conclave ha eletto liberamente un pontefice e le dimissioni di Ratzinger non sono state minimamente condizionate da chi eventualmente egli avrebbe potuto essere.

Non ci può essere modo più chiaro per fugare le ombre da ogni ipotesi di dualismo o di duplice esercizio del ministero petrino, come quelle che sono state fatte circolare in questi anni per minare l’autorità di papa Francesco, alimentate anche da alcune dichiarazioni fuorvianti provenienti da persone vicine a Ratzinger.

Continuità o discontinuità?
Uno dei maggiori fraintendimenti riguardo al pontificato di Benedetto XVI è stato quello, creato ad arte, riferito al rifiuto da parte sua di una “ermeneutica della rottura e della discontinuità” nella recezione del Vaticano II (cfr. il discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005). L’obiettivo era quello d’imporre un’ermeneutica della continuità, negando al Concilio qualsiasi portata d’innovazione sostanziale. La retorica della continuità-discontinuità è ricorrente anche negli attacchi contro papa Bergoglio che viene così contrapposto a Ratzinger, rispetto al quale avrebbe “deviato”. In realtà, essa non appartiene a Benedetto, il quale ha parlato di “ermeneutica della riforma” nella continuità del soggetto chiesa. Le forme dottrinali, pastorali, liturgiche, ecclesiali non sono congelate nella fissità di una continuità assoluta, cambiano, sono riformabili per tornare alla forma Evangelii. La continuità è quello della chiesa in quanto soggetto e della fede a cui aderisce.

La Chiesa è in movimento, è dinamica
Si spiega così il significato che l’elezione di Francesco assume agli occhi di Benedetto: «Significa che la Chiesa è in movimento, è dinamica, aperta, con davanti a sé prospettive di nuovi sviluppi. Che non è congelata in schemi: accade sempre qualcosa di sorprendente, che possiede una dinamica intrinseca capace di rinnovarla costantemente». E chiarisce che non si può parlare di rottura da parte di Francesco. «Se si prendono singoli episodi e li si isolano, si possono costruire contrapposizioni, ma ciò non accade quando si considera tutto l’insieme. Forse si pone l’accento su altri aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione». È l’esistenza di un pluralismo e di una diversità che all’interno della chiesa sono un aspetto sano e positivo, anche tra un papa e l’altro. Si capisce così la battuta di Ratzinger sul non aver provato fastidio nel vedere Francesco senza mozzetta rossa: contava il suo rivolgersi alla gente e a Dio. Non la forma, appunto.

A partire da questo testo, in conclusione, dovrebbe essere ormai possibile aprire una riflessione libera e serena sulla teologia di Joseph Ratzinger, distinguendola dal suo magistero, e discutendo le sue prese di posizione critiche rispetto ad alcuni passaggi post-conciliari. Farlo, però, vuol dire prendere le distanze da chi assolutizza il suo pensiero per assolutizzare una forma di chiesa che in realtà non gli appartiene. Ecco che le Ultime conversazioni ci aiutano a liberare Ratzinger dai ratzingeriani.

Christian Albini
Socio fondatore e membro del Consiglio direttivo di Viandanti.
Autore del blog www.sperarepertutti

2 Commenti su “RATZINGER, LIBERATO DAI RATZINGERIANI”

  1. La Chiesa, -comunità di religiosi e di laici- ereditata da papa Francesco è quella che Ratzinger ha contribuito a modellare. prima da teologo e cardinale, e poi come papa. E’ con papa Francesco che le porzioni di chiesa più “conciliari” si sono sentite stimolate a parlare e ad agire, con una speranza che prima si era assopita. Il cammino sarà lungo ma sarà difficile tornare indietro dall’apertura al confronto avviata con il Sinodo della famiglia. Anche se l’esito non è stato entusiasmante, è stato un evento impensabile con Ratzinger. Nulla è però impossibile: anche che Ratzinger torni a CONCILIUM dopo aver promosso la scissione di COMMUNIO.
    Qualche giorno fa, a Trento, in un incontro all’Istituto di Scienze Religiose / Fbk diretto da Marco Ventura, su “La riforma di Francesco”, d. Severino Dianich ha affermato che la “nuova evangelizzazione” per Benedetto XVI era “ricattolicizzare” la società alla deriva. Con papa Francesco siamo in ricerca. Ci siamo rimessi in cammino, in avanti.

  2. Molto importante questo articolo che sottolinea il non
    dualismo fra il pensiero di Papa Francesco e quello di
    Ratzinger, quest’ultimo spesso strumentalizzato dai conservatori oltranzisti per farne il proprio presunto portavoce. Ciò non significa sottovalutare la differenza fra i due, ma solo riportarla a dimensioni realistiche di ottiche in parte diverse, ma non contrapposte.

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