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SI POTEVA EVITARE LA RIFORMA LUTERANA?

Giancarla Codrignani 

Prendiamo un piccolo paese dell’Italia settentrionale, Spilamberto in provincia di Modena. Una strada commemora ancora un medico, Nicolaus Machella, che nel 1540 fu nominato responsabile sanitario della Santa Unione, che riuniva le Confraternite assistenziali cittadine con le Opere Pie religiose, secondo un negoziato che conciliava la Chiesa con i laici patrocinato dal Duca d’Este e dal governo di Modena.

Una storia molto attuale
Nel discorso di investitura il medico Machella menzionò appassionatamente i problemi ospedalieri del tempo: “morbo gallico, peste, mal di mattone, febbri puerperali, mal sottile, epilessia, febbri intestinali… e cura dei feriti a causa del numero crescente di duelli, omicidi, tentati omicidi, rapine, delitti passionali e di potere”.

Per quanto avesse ricevuto elogi da tutte le autorità, compresa quella ducale ferrarese, questo medico, un cattolico a cui non doveva costituire demerito l’essere seguace delle innovazioni scientifiche, non riuscì ad assumere l’incarico che aveva accolto con grande entusiasmo: troppo moderno, materialista, eretico. Un amico gli fece sapere che il suo nome stava nella lista dell’Inquisitore: riparò a Venezia, perché temeva di finire sospettato di essere anche filo-luterano.

Anche per la storia è importante il glocale
La storia della Riforma ha pieghe meno conosciute del dovuto: Spilamberto e Modena sono un frammento occasionale. Se partiamo dai documenti delle cronache locali anche dei centri minori, risulta evidente che gran parte degli italiani sapeva delle novità (agostiniane) tedesche e sperava che la Chiesa provvedesse a riforme che non riguardassero solo le indulgenze.

Un Carlo Maria Martini del tempo avrebbe detto che si trattava di non lasciare il Vangelo nella cartapecora di un mondo clericale storicamente superato. Oggi Papa Francesco raccomanda all’Azione Cattolica di non avere nostalgie: sarebbe “restare nel secolo scorso”. L’alta gerarchia del tempo scelse di guardare il presente con sospetto e inchiodarlo a diventare un lungo futuro.

Tornando a Modena, nel 1540 il Capitolo generale degli agostiniani si tenne in questa città. Le polemiche erano divampate così accese che il vescovo Giovanni Morone, un “liberale”, finì per vietare il pulpito del Duomo a francescani e agostiniani (i domenicani si tenevano fuori: in quanto Domini canes erano gli Inquisitori).

Predicatori poco ortodossi
Era successo che il predicatore francescano Francesco Farnio da Monferrato aveva sostenuto che gli agostiniani avrebbero dovuto versare grasse indulgenze alle casse della Chiesa per essere assolti dal peccato di eresia per le loro simpatie luterane.

Un altro francescano Camillo (o Paolo) Renato, conosciuto storicamente con lo pseudonimo di Lisia Fileno per la sua partecipazione all’Accademia modenese composta di intellettuali laici, era un predicatore “di grande carisma e di fervente ars oratoria”: era già stato inquisito come “lutherano eretico“. Durante una sua predica presso l’abbazia di Nonantola aveva messo in discussione il valore della messa, dei sacramenti e dei santi, accusando i mali insiti nella superstizione, nemica della cultura e della fede e denunciando il clero come responsabile di tradire il Vangelo.

Venne arrestato e gli Accademici, tra cui il medico Machella, lo difesero, sostenendo il rigore teologico dell’accusato e l’importanza per i fedeli dei problemi trattati nella predica.

Predicare solo con licenza
Intervenne a sostegno dell’ortodossia il Vicario per denunciare che “la presunta setta di eretici a Modena andava perseverando e moltiplicando”. Lisia Fileno dovette ritrattare e riparare a Ferrara; ma il dissenso continuava a schierarsi rumorosamente pro o contro la Riforma.

Il vescovo che era in missione a Gand si rivolse al Papa e gli inviò, secondo le cronache, un breve: “Neppure in Boemia si ragiona tanto di tutte quelle eresie come a Modena. Contro il Purgatorio, contro la messa, Contro le autorità ecclesiastiche e tutti i Santi. E quei predicatori, quelli dell’Ordine di Sant’Agostino, al quale apparteneva anche Martin Lutero, hanno sparso mal seme per tutta la città…. Chiedo di concedere al mio Vicario una breve con la quale sia possibile a tutti i frati predicare solo con sua licenza“.

Finì che il pulpito fu negato al predicatore degli agostiniani, che erano i legittimi titolari della funzione finale, non senza ulteriori scontri e polemiche: il Procuratore dei domenicani invitò le autorità pubbliche a non impicciarsi dei fatti ecclesiastici e riaccese l’ostilità dei fedeli ribelli nei confronti del Vicario intransigente, mentre i fondamentalisti cattolici invocavano interventi esemplari contro i “liberi pensatori” dell’Accademia, “come quando erano stati sterminati i Templari”. Il vescovo chiese ulteriori consigli anche all’amico Gasparo Contarini, il moderato cardinale di Verona, che non gli seppe essere di aiuto.

Le tre cose capite da Lutero
Se si va alle storie locali gli episodi di questo genere sono numerosi e confermano le ragioni di importanti teologi del secolo scorso che presentivano la “grande riforma” che doveva essere realizzata da Giovanni XXIII con il Concilio Vaticano II che doveva riprendere il cammino della storia non tanto dal Vaticano I, quanto dal Tridentino e dalla Controriforma.

Diceva, infatti, Yves Congar nel 1972 (in Vera e falsa riforma della Chiesa):
In realtà Lutero aveva capito ben presto tre cose: in primo luogo, che i veri abusi non erano quelli che tutti rimproveravano almeno in linea di principio, ma quelli di cui non si parlava e che implicavano una falsa dottrina, distruttrice del vero rapporto religioso e dunque del Vangelo; si era infatti sostituito il vero rapporto religioso, che è interiore all’uomo, e il Vangelo, che è l’annuncio della salvezza accordata per grazia in Gesù Cristo sulla base della fede, con delle pratiche con le quali si pretendeva di guadagnare il cielo. In secondo luogo, e di conseguenza, che ciò che era malato nella Chiesa, era la dottrina, l’insegnamento e la predicazione, e che ogni riforma doveva cominciare con un rinnovamento del ministero della parola nel quale consisteva, secondo lui, l’attività pastorale. In terzo luogo, che si trattava di cambiare non soltanto qualche punto di attuazione pratica, ma tutto il sistema. In fondo queste tre cose confluiscono verso questa conclusione: il vero punto da riformare era il sistema dottrinale“.

Il rapporto con i fedeli adulti
Se, a cinque secoli di distanza temporale, ci fermiamo a dire Riforma per intendere Lutero e le 95 tesi, mescoliamo ancora una volta la storia con i tradizionali silenzi depistanti; perché, di fatto, il problema non è più solo il quantum reformanda, ma il soggetto stesso Chiesa nella relazione con i fedeli adulti. Si tratta, almeno cinque secoli dopo, di cogliere l’opportunità e capire che “riforma” e “chiese” vanno insieme. La riforma ridefinisce la natura di una ekklesia che non può che essere plurale e mai contraria alla libertà del pensiero e della ricerca teologica.

Un intervento del pastore Joerg Lauster di Monaco al recente convegno di studi ecumenici sul 5° centenario, organizzata in febbraio dal San Bernardino di Venezia, ricordava: ““Con la diversità confessionale abbiamo uno specchio in cui vediamo quello che manca nella realizzazione del cristianesimo, sia protestante, cattolico o ortodosso, e che deve necessariamente mancare”.

Non so quanti condividano la “necessità” della divisione; ma è importante tenere conto che il messaggio evangelico nel suo crescere si è ibridato con le differenze culturali e sociali che il tempo avrebbe prodotto e sarebbe venuto via via dispiegando.

Giovanni XXIII constatava che “non è il Vangelo che cambia: siamo noi che impariamo a leggerlo meglio”. Il che significa anche contestualizzarlo; e rendersi conto che cinque secoli fa molti uomini e molte donne di confessione cattolica pensavano con la loro testa, rifacendosi alle proprie esperienze di individui purtroppo sempre soggetti ai poteri clericali troppo forti per rinunciare, nonostante vivessero da decenni in pieno Rinascimento, ad imporre ritualità e conformismo, preoccupati della pericolosità di qualunque “riformismo”.

Molti già pensavano con la loro testa
Guardare alla vita di cinque secoli fa partendo dalle dispute teologiche non è facilissimo; ci si arriva meglio se si cerca la testimonianza delle cronache che fanno conoscere le ragioni dei fedeli “esigenti”, allora forse più numerosi e coraggiosi di oggi, in quella che chiamiamo “la base” cattolica. Il potere della Chiesa ha accantonato quelle ragioni (e quei fedeli) anche quando interveniva per condannare o per chiudere, pro tempore, un occhio.

Infatti nemmeno i casi eclatanti danno la misura dell’intensità del problema. In Italia dire Savonarola significa parlare di un profeta fondamentalista che non salvava la Chiesa nelle sue condanne (“niente di buono è nella Chiesa… dalla pianta del piede fino alla sommità non è sanità in quella“): a scuola gli studenti bravi sono a favore o contro, non si domandano se c’erano altri che predicavano contro corrente e perché la Chiesa ne aveva così paura da ricorrere ai roghi.

Ripercorrere la rete dei corrispondenti del cardinal Pietro Bembo conferma la ricchezza dell’umanesimo: anche quando parlano di religione, restano sempre degli intellettuali. Erasmo è un grande: lo si rapporta ai grandi sapienti destinati a restare nel tempo, incasellati tra gli utopisti; resta in ombra perfino la sua contrarietà agli scismi perché appariva poco utilizzabile a contrastare Lutero se opponeva la sua “libertà di coscienza” al De servo arbitrio di Lutero, se nell’ Elogio della follia non risparmiava le follie clericali e, poco congeniale al conformismo vaticano, fu il probabile autore dell’anonimo Giulio, un libello contro Giulio II.

Anche Michelangelo faceva teologia: raffigurò un peccato originale in cui sia l’uomo sia la donna staccano il proprio frutto facendosene responsabili; ma ancora non ci se ne accorge. E sarebbe stato interessante avere le registrazioni delle conversazioni fra lui e Vittoria Colonna, una delle tante donne di libero pensiero e un’altra sospetta eretica.

La paura: una cattiva consigliera
Se ci fermiamo alla memoria dei fatti modenesi, un francescano, poi accusato di luteranesimo e arrestato, predicava pubblicamente mettendo in discussione il valore della messa, dei sacramenti e dei santi, accusava i mali della superstizione, nemica della cultura e della fede e accusava le responsabilità del clero.

Era “il dissenso”, che ogni tanto esce fuori dal conformismo perennemente rinnovantesi. Che, allora, andava oltre lo scandalo dei vizi della corte pontificia e coinvolgeva una società attenta a farsi carico della peculiarità di una realtà profondamente cambiata nel giro di pochi decenni. Anche oggi fa inquietare i genitori che i quindicenni non intendano andare a messa. Perché, in fondo, è la messa tridentina i cui simboli non sono più leggibili.

La Chiesa ne ebbe paura allora, non per fedeltà alla Parola, che teneva segregata. Lutero fece una provocazione più forte di tante altre predicazioni ereticali e i poteri forti, laici e religiosi, delle regioni tedesche la sostennero non disinteressatamente. Roma si lasciò scappare una grande opportunità di rinnovamento e mise in moto la macchina di Trento e della Controriforma. Destinata a percorrere cinque secoli di dialettiche e divaricazioni nella società civile e nelle minoranze mentalmente libere di preti e vescovi.

Mentre i decenni si susseguivano e si faceva incerta la continuità delle monarchie, la gerarchia cattolica condannò tutto ciò che nasceva contro il sistema di cui aveva scelto di far parte. La fortezza costruita a Trento non poteva comprendere l’Illuminismo, la rivoluzione, il Socialismo, il Risorgimento, la Repubblica romana e perfino la scienza, come se Galileo non fosse servito. Manteneva la scomunica, la pena di morte, l’obbedienza contro la coscienza, la verità dogmatica, la teologia senza ricerca. Non sono ancora venuti al pettine i grandi nodi.  La grande pesantezza opprime.

Giancarla Codrignani
Giornalista, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti.

3 Commenti su “SI POTEVA EVITARE LA RIFORMA LUTERANA?”

  1. Si è svolto a Roma il convegno di “Biblia” (www.biblia.org) che ha messo a confronto Girolamo Savonarola e Martin Lutero. Riformatori diversi, figli del loro tempo, ma capaci di parlare anche a noi. In margine al convegno Marinela Perroni ha notato che lo sforzo di coinvolgere i cristiani da parte di papa Francesco non ottiene i risultati sperati. Ne sono una prova le risposte debolissime della chiesa di Roma, sollecitata a riflettere e a fare proposte sul suo nuovo vescovo. Così – aggiungo io – è stato anche in occasione del Sinodo della famiglia da parte della chiesa italiana. Il “paradigma tridentino” che ha reso passivi i laici, uomini e donne, è difficile da superare, a 50 anni dal Concilio Vaticano II. Sarà così anche per il prossimo Sinodo dei giovani? E tuttavia siamo chiamati a “sperare contro ogni speranza”. Silvano Bert – Trento

  2. Tutti ci accorgiamo che oggi non solo le parole e i gesti delle nostre liturgie non sono adeguate al concetto nuovo di Chiesa che papa Francesco e numerosi profeti del secolo scorso, anche italiani, hanno auspicato e cercato.La cosa più grave è che un insegnamento solo dottrinale ha prodotto cristiani che ignorano i concetti di solidarietà e di umanità responsabile senza dei quali non e ormai più possibile vivere da uomini.
    Molti di noi e sopratutto i giovani si accorgono che molti cristiani frequentanti giornalmente le nostre chiese e le nostre bellissime liturgie vivono come se il messaggio di Cristo per noi, suoi seguaci oggi,fosse solo una cosa formale, proprio come le liturgie senza partecipazione a cui assistiamo.

  3. Uno spaccato storico molto interessante, atto soprattutto a illuminare un presente altrettanto e forse più concitato e confuso, nel quale la libertà di pensiero non è certo valorizzata e le remore e le paure e le zavorre rischiano di essere esiziali per la vitalità della Chiesa.

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