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Anche i laici possono predicare

I LAICI POSSONO PREDICARE?

Anche i laici possono predicare

A colloquio con don Fabrizio Mandreoli, co-autore del volume Anche i laici possono predicare? 02 Febbraio 2018
È da poco giunto nelle librerie un interessante volume – scritto da Enzo Bianchi, Claudio Ubaldo Cortoni, Fabrizio Mandreoli e Riccardo Saccenti – dall’inequivocabile titolo: Anche i laici possono predicare? (Qiqajon). Il libro si inserisce con competenza in un annoso dibattito che in passato ha suscitato non poche perplessità nel mondo ecclesiale. Fermo restando le indicazioni della Chiesa, che su questo punto si è espressa in modo chiaro in più di un’occasione, rimane aperta la questione (come scriveva «L’Osservatore Romano» del 20 aprile 2016) se «sia possibile che la ricerca teologica e le disposizioni della Chiesa pervengano in futuro a posizioni che consentano di affidare la predicazione ai laici, uomini e donne preparati (carisma) e assolutamente scelti e abilitati, anche solo temporaneamente, dal vescovo (istituzione), mediante un mandatum predicandi». Ne abbiamo discusso con uno degli autori del volume, don Fabrizio Mandreoli, docente di teologia sistematica alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna.
Msa. La predicazione del vangelo affidata dal vescovo ad alcuni laici non è una novità nella storia della Chiesa…
Mandreoli. L’esistenza di una predicazione laicale è testimoniata già ai tempi della Chiesa nascente. Poi nel Medioevo, su cui più si sofferma il nostro testo, si può vedere come tale prassi sia stata possibile almeno fino all’inizio del XIII secolo. In quei periodi la predicazione ai laici veniva autorizzata anche durante la liturgia. Prima del divieto di predicazione ai laici, stabilito da Gregorio IX nel 1228, tra le diverse forme di predicazione vi era anche quella che prevedeva un mandatum predicandi concesso ai semplici fedeli. Nei secoli X-XII, e in particolare durante la riforma gregoriana, l’officium praedicandi è presente soprattutto in relazione ai movimenti laicali che si svilupparono allora con la finalità di rinnovare e rendere più evangelica la propria prassi di vita cristiana. La predicazione fu possibile anche per alcune donne, tra le quali si staglia per influenza Ildegarda di Bingen (1098-1179) – abbadessa e monaca che predicò in più luoghi chiamata da vescovi e che fu ascoltata anche da papa Eugenio III -. Si tratta di pochi esempi, che parlano, però, di un vissuto secolare nella Chiesa romana, interrotto a causa della paura di eresie, diffuse proprio da predicatori del vangelo.
In che modo ciò avveniva?
Come ricorda Enzo Bianchi nel libro, per poter svolgere il ministero della predicazione si riteneva necessaria l’autorizzazione da parte della Chiesa, ovvero il conferimento di una licenza di predicare, perché l’ignoranza di alcuni predicatori o il carisma incontrollato di altri portava all’eresia, alla confusione e non all’edificazione della Chiesa. È significativo che Innocenzo III, per esempio, accogliesse la richiesta della predicazione da parte di Francesco e dei suoi primi compagni (1210), chiedendo loro in cambio la tonsura, ossia una forma che attestasse una possibilità di regolamentazione. In ogni caso Francesco, senza ricevere l’ordine, predicò pubblicamente, sempre con l’approvazione romana, e anche dopo il divieto di Gregorio IX venne mantenuta la possibilità di un accesso dei laici alla predicazione. Si raccomandava che queste omelie fossero di carattere morale ed esortativo e non dottrinale o teologico, ma di fatto furono autorizzate, e donne predicatrici, da Maria d’Oignies – la beghina che veniva da Liegi (1177-1213) – a Caterina Paluzzi (1573-1645) – incaricata della predicazione nei monasteri femminili dal cardinale Sfrondati – non mancarono mai.
Cosa accade oggi, a più di 50 anni dal Concilio Vaticano II?
Nel post-concilio la Conferenza episcopale tedesca chiese a Paolo VI, nel 1973, il mandatum praedicandi per alcuni laici impegnati nella pastorale, tra cui non poche donne, e la Santa Sede concesse loro il permesso ad experimentum per otto anni. Allo stesso modo, il Direttorio per le messe dei fanciulli (1973) permette che l’omelia sia tenuta da laici preparati, anche donne. Malgrado queste timide aperture, una rapida ricognizione delle norme recenti aiuta a comprendere alcune difficoltà di fondo. Il diritto canonico contempla la possibilità che i laici possano «essere chiamati a cooperare con il vescovo e con i presbiteri nell’esercizio del ministero della parola» anche per la «predicazione in una Chiesa o oratorio». Il testo specifica, però, che «tra le forme di predicazione è eminente l’omelia, che è parte della stessa liturgia ed è riservata al sacerdote o al diacono». In un commento si ribadisce in modo significativo: «D’altra parte (…) l’importanza di questa funzione o ministero della parola richiede che la collaborazione dei laici nella predicazione in una Chiesa (…) non venga autorizzata se non tenendo presenti alcune condizioni particolari, cioè: che non si effettui se non in caso di necessità o di particolare utilità secondo le norme stabilite dalla conferenza dei vescovi [Can 766]; e che, in ogni caso, resti (…) esclusa l’omelia, che è parte della liturgia ed è riservata al sacerdote o al diacono [Can 767]». Va riconosciuto che i canoni suddetti, nel dare la possibilità di predicare da parte dei laici in casi di necessità o di utilità, comportano una grande novità rispetto al Codice precedente. Pur all’interno di questa novità, basata sulla comprensione del compito profetico dei battezzati, si esclude di fatto l’omelia liturgica tenuta da battezzati laici in un contesto eucaristico lasciando – secondo una linea interpretativa – aperta la possibilità di interventi omiletici da parte di laici in altre celebrazioni liturgiche. Il testo dell’agosto 1997 sulla Collaborazione dei laici al ministero dei sacerdoti rimarca con decisione la medesima prospettiva. Dello stesso tenore risultano le affermazioni dell’istruzione Redemptionis sacramentum del 2004 e del Direttorio omiletico, uscito nel 2014 – editi dalla Congregazione per il culto e la disciplina dei sacramenti -. Tutte le preoccupazioni citate sono fondate sulla necessaria distinzione del ruolo del ministero ordinato nel vissuto concreto delle Chiese. Ministero ordinato chiamato a custodire, a servizio delle comunità locali, l’apostolicità della fede e dell’evangelo: in tal senso l’omelia è sicuramente uno dei luoghi teologicamente, liturgicamente e simbolicamente centrali per tale compito.
E il Concilio cos’ha detto?
Tra le molte linee di sviluppo della riforma conciliare possiamo ricordarne – solo come titoli – alcune utili alla nostra riflessione.
Si tratta del recupero conciliare della Chiesa intesa: come popolo di Dio nella forma del corpo di Cristo e che, in quanto tale, vive della parola di Dio e del corpo del Cristo; come popolo di battezzati che partecipano attivamente alla liturgia e alla missione della Chiesa in modo regale, sacerdotale e profetico; come popolo dotato, in grazia del battesimo e del dono/compito profetico, di un particolare intuito per la verità della fede, quello che viene chiamato il sensus fidei (Lumen Gentium n. 12). Ebbene, proprio tali linee di riflessione possono aiutare a ripensare la prassi dell’omelia e della predicazione del vangelo in modo tale che vi sia uno spazio più ampio per la parola di laici e laiche che, per propria esperienza di vita, hanno parole significative da comunicare.
L’intervista integrale si può leggere sul Messaggero di sant’Antonio di febbraio 2018 come pure nella versione digitale della rivista.
(http://www.messaggerosantantonio.it/it/versione-digitale).
http://www.messaggerosantantonio.it/it/content/sabina-fadel)

Sabina Fadel

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