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LA LEZIONE STORICA E TEOLOGICA DEL VATICANO II

Non è uno dei “teologi del Concilio” l’Autore di questo breve saggio, ma può comunque affermare “io c’ero” perché  Ruggieri (classe 1940) – già docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana, a Tubinga e agli Studi teologici di Bologna e Catania – era presente quell’11 ottobre 1962, quando nella Basilica di San Pietro si apriva solennemente il Concilio Vaticano II, e poi alle riunioni dei due anni successivi, tra gli alunni di alcuni collegi ecclesiastici chiamati a stenografare, in latino, i diversi interventi.

“Quell’evento di 50 anni fa ha qualcosa da dirci per il futuro? Cosa fu veramente il Concilio Vaticano II e perché tanti vogliono rimuovere quello che fu, facendolo evaporare in questioni puramente retoriche?”, si chiede oggi il teologo che registra con sconcerto i numerosi tentativi di attenuare, se non proprio cancellare, la straordinarietà dell’evento che l’anziano Giovanni XXIII aveva definito “una nuova Pentecoste”.

Il testo si apre con una breve rievocazione del testimone della solenne cerimonia di apertura del Concilio, un “apparato signorile e rinascimentale”, come lo definì  Yves Congar, uno dei teologi più influenti al Vaticano II,  al punto da non riuscire a resistere fino al termine per non rimanere, lui domenicano, “schiacciato”. “Quel giorno invece io non potevo uscire dalla basilica, ma ero oppresso come e più del padre Congar. Mai più ho messo piede in San Pietro per partecipare a una liturgia papale, a meno che non sia stato costretto in qualche altra occasione durante il Concilio”.

Ma sono i “nodi” centrali di quegli anni il vero tema delle pagine successive “quelli che ne fanno un evento singolare rispetto agli altri concili e agli assetti che nella Chiesa cattolica si erano affermati soprattutto dopo la Rivoluzione francese. Punto di partenza non sono però le testimonianze o i ricordi, bensì da una ricostruzione storica basata sulle fonti, secondo la lezione di Giuseppe Alberigo, con cui ha collaborato alla stesura della sua opera insieme a teologi e storici di tutto il mondo.

Visto il lavoro immane cui si accingeva, già nella premessa – che qualche critico non deve aver letto – l’Autore delimita il campo: “non potrò parlare di tutto”. Così enuclea i temi, che peraltro analizza con grande profondità via via: il significato dell’evento storico in quanto tale e la sua “novità” nella storia recente della Chiesa, e “alcuni” nodi più significativi (l’atteggiamento davanti alla Parola, la considerazione della storia moderna non più ridotta a una congiura dei malvagi contro la Chiesa, la concezione della Chiesa stessa quale si ritrova all’interno della liturgia, nel suo governo, nel rapporto con le chiese non cattoliche, la considerazione degli “altri”).

Sgombriamo il campo, suggerisce Ruggieri – che nel 1989 è stato firmatario della Lettera dei 63 teologi tra i quali figuravano Franco Giulio Brambilla, Severino Dianich, Rinaldo Fabris, Rosino Gibellini, Carlo Molari … –  dalle polemiche limitate agli addetti ai lavori e concentriamoci sulla “lezione” del Concilio, senza alcun timore (“Chi ha paura del Vaticano II?” è il titolo di un testo precedente scritto insieme allo storico Alberto Melloni, Carrocci 2009).

E’ un fatto “storico” inequivocabile come “ogni” fatto storico, come il Concilio di Trento o il Vaticano I, eventi straordinari nella storia della Chiesa. Per questo vale la pena di tentare di conoscerlo nella sua completezza, a partire da ciò che accadde e da ciò che è stato detto e scritto (anche il cancellato e riscritto).

Evidenzia, da storico, la novità di quello “sguardo “amico” della storia che abbandonava definitivamente il bastone della disciplina e del giudizio per passare alla misericordia di chi si pone a fianco degli uomini e donne in cammino e bisognosi di speranza. “Il Signore ci ha chiamati ad edificare non una Chiesa che condanna, ma una Chiesa che manifesti la misericordia del Padre, viva nella libertà dello Spirito, sappia soffrire e gioie con ogni donna e con ogni uomo che le è dato di incontrare”.

E, da teologo fondamentale, suggerisce altresì di abbandonare  anche l’idea che “l’autorità del Vaticano II sia inferiore a quella dei grandi concili dogmatici proprio perché un concilio “pastorale” .. perché per Giovanni XXIII il carattere prevalentemente pastorale del magistero consisteva nel compito di distinguere la sostanza viva del Vangelo dai rivestimenti storici ogni volta mutevoli, onde rendere accessibile il Vangelo agli uomini del proprio tempo”. Una “nuova Pentecoste”, appunto.

E’ interessante ripercorrere con Ruggieri la “storia delle decisioni”: del resto si ritrova quanto emerge dai racconti di molti testimoni (come ancora oggi mons. Bettazzi), oltre che dalle pagine dei verbali. Ma per i laici è forse ancora più significativo “al di là delle polemiche confessionali” giungere al nocciolo dei nodi, quali, per fare un esempio, il nuovo ruolo assunto dalla Scrittura, finalmente diventata “pane” quotidiano di ogni fedele, nonostante gli schemi da discutere (per nostra fortuna poi rigettati) recepissero solo le tesi della Controriforma del Concilio di Trento sui temi Scrittura e Tradizione. Emerge in tutta la sua forza che è “l’insieme della Chiesa, e non solo la gerarchia, come fattore di crescita della comprensione del Vangelo”. “Scompariva così l’odiosa separazione tra una gerarchia docente e i fedeli chiamati a ricevere l’insegnamento dall’alto, tra i pastori del diritto esclusivo del comando e le pecore con il dovere altrettanto esclusivo dell’ascolto”, nonostante s’imponga una constatazione, scrive Ruggieri, “che il Concilio non ha saputo affrontare in maniera soddisfacente il problema del discernimento delle tradizioni e che questo resta un compito sempre gravoso”.

Ma è proprio dalla concezione di Chiesa-comunione, “popolo di Dio nella storia”, una Chiesa “eucaristica” che celebra finalmente con una partecipazione attiva di ogni fedele, diventando “un solo corpo e un solo spirito” che si possono trovare le garanzie contro il rischio di un’interpretazione soggettiva della Parola e del mondo. Perché, a questo riguardo, “il Concilio non solo cambiò il modo di guardare agli “eretici”, ma cambiò anche lo sguardo della Chiesa sugli altri in quanto tali”.

Nel denso capitolo conclusivo, “Una nuova stagione della Chiesa”, alcune espressioni significative:

“Molte cose sono mutate nella Chiesa cattolica. La più importante di tutte è la preghiera dei cristiani. Io, che sono un prete, non sarei più in grado di rispondere all’indovinello che mi proponeva la mia nonna paterna quand’ero bambino: “centu muti  e ‘n pazzu”. Nessun cattolico che oggi vada a messa, nemmeno un nostalgico della messa di Pio V, si trova nella condizione delle centinaia di milioni di muti di una volta, costretti ad assistere allo spettacolo di un “pazzo” che gesticolava e biascicava preghiere a bassa voce, voltandole spalle ai muti, chiamati a vivere la loro fede con un puro salto nell’assurdo”.

“Nuovi popoli sono entrati nella Chiesa. Di fronte ad essi  la vecchia Chiesa occidentale è chiamata ad abbandonare le ricchezze accumulate nei secoli di un passato glorioso, ma anche ricco di contraddizioni. Quei popoli costituiscono ormai una massa superiore ai popoli della vecchia Chiesa. Ha la vecchia Chiesa, come già Pietro di fronte a Paolo e Barnaba, il coraggio di abbandonare le proprie certezze e rispondere come Pietro allo storpio della porta del vecchio tempio in cui egli continuava a predicare: “Non possiedo né argento, né oro, ma quello che ho te lo di: nel nome di Gesù Messia, il Nazareno, cammina!”?”.

Maria Teresa Pontara Pederiva

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