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IL MIO CONCILIO

Che l’argomento del Vaticano II sia un pezzo forte della produzione letteraria di Luigi Bettazzi, vescovo scomodo della Chiesa cattolica, lo sanno tutti.

Dietro la rivoluzione di Giovanni XXIII, quando era ancora giovane ausiliare di Lercaro a Bologna, ha esaltato la sua vocazione nell’impegno che con quella passione intelligente che l’ha portato a varcare i decenni richiamandoci non tanto alla memoria del Concilio, ma alla lezione che ne continua a derivare e orienta il popolo di Dio ad un futuro che all’orizzonte oggi non appare tranquillo, ma che resta legato alla fedeltà di parole dovute allo Spirito che ha guidato il Vaticano II.

Non è colpa della secolarizzazione o del relativismo se le religioni sono tutte in difficoltà davanti all’esigenza di trasformazioni che chiamiamo epocali non senza ragione: la Chiesa cattolica sconta i 200 anni di ritardo accusati da Carlo Maria Martini. Ma nemmeno i fratelli delle altre confessioni cristiane, nemmeno l’Islam restano indifferenti alla nuova antropologia.

Bettazzi raccoglie un’esperienza che rievoca il prima, il durante e il dopo del Concilio, ricchi di argomenti inediti che fanno capire come fin dall’inizio, dietro confronti e contrapposizioni interni al dibattito conciliare, nei sacri palazzi già in armi, nasceva la delegittimazione della riforma che portavano la Chiesa nel mondo moderno. Era la preoccupazione di dom Helder Camara che “il Concilio rimanesse nelle mani di chi non l’aveva voluto”.

Il rinnovamento, d’altra parte, non poteva “passare” se non con mediazioni “gesuitiche” in una società che non leggeva (cioè, non poteva leggere) la Bibbia, ascoltava la messa in latino, ignorava la libertà religiosa: improvvisamente “non era più l’umanità al servizio della Chiesa, ma la Chiesa al servizio dell’umanità”.

Anche all’interno dell’assemblea conciliare si scontravano le contrapposizioni tra chi non aspettava altro e chi vedeva crollare un mondo sicuro; e oggi, dice Bettazzi, giovani preti sono tentati di adeguarsi a un ordine in cui era più facile “sentirsi un capo e comandare sconfessando quanti non si adeguavano”.

Bettazzi pensa “un po’…cinicamente” che forse per questo “il Signore riduce le vocazioni presbiterali e religiose”. L’arguzia di un vescovo che ritorna alla sua esperienza di fede più rilevante resta penetrante quando pensa seriamente alle difficoltà di oggi, dovute alla tepidezza con cui abbiamo adottata la dottrina conciliare “timorosi di dover abbandonare troppe nostre abitudini che definivamo “tradizione”.

Giancarla Codrignani

Luigi Bettazzi,  Il mio Concilio Vaticano II, Edb, Bologna 2019, pp. 96.

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