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DUE QUESTIONI CHE CI AGITANO
PILLOLA RU486 E DDL OMOTRANSFOBIA

Fabrizio Filiberti

Nel tempo del coronavirus, di fronte alle sfide che il futuro ci offre e all’impreparazione che aleggia in tutti noi, compresa la classe dirigente, di fronte alla speranza di un rigurgito di serietà e disponibilità a superare le contrapposizioni in nome di una rinascita non facile, può sembrare irrisorio soffermarsi su due questioni morali che animano il classico scontro ideologico tra pro e contro, progresso e regresso, innovazione e oscurantismo, libertà e costrizione, cattolici e non.

I rischi che si intravedono
Eppure siamo qui a cercare di darci ragione di quanto ci provoca. Le sfide attuali sono 1) la circolare del Ministro della salute che autorizza la somministrazione in day hospital della pillola abortiva RU486 senza più l’originaria necessità di ricovero ospedaliero. Il Consiglio superiore della sanità, che a suo tempo lo consigliava, ha espresso parere positivo alla sola azione ambulatoriale; 2) la proposta di legge sulla omotransfobia che estende il reato di discriminazione alle questioni che inseriscono “il genere, l’orientamento sessuale e l’identità di genere” al pari di quelle per odio etnico, razziale o religioso.

Nel primo caso, il pericolo intravisto è di bypassare il ruolo di difesa della vita dei consultori e di promuovere l’aborto la cui pratica risulterebbe certo meno invasiva rispetto al ricovero e all’operazione chirurgica (che trova poi difficoltà di applicazione per il gran numero di medici obiettori di coscienza; il che lascia intendere, nella decisione del Ministro, un tentativo di assicurare il “diritto all’aborto” sancito dalla legge 194).

Per il DDL sull’omotransfobia, si paventa il rischio che ricadano nel reato di discriminazione non solo l’istigazione e il compimento di “atti discriminatori” ma anche le semplici “espressioni di opinione” sui temi in oggetto, visto che le posizioni a riguardo (accesso alla fecondazione assistita o all’adozione da parte di omosessuali, solo per fare un esempio) sono oggetto di ampio dibattito tra visioni antropologiche, morali, giuridiche diverse. In questo senso si esprime la CEI: la legge “finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, più che sanzionare la discriminazione” [1].

L’accendersi dello scontro ideologico
Non intendo affrontare il merito delle questioni. Non ho competenze sufficienti. Sarebbe bene che ci fossero occasioni pubbliche di confronto (soprattutto sui media) in contesti dialogici e non di parte, luoghi di libero scambio con persone competenti e scevre da immediati ritorni politici.

Purtroppo si deve rilevare sempre l’accendersi – probabilmente inevitabile – dello scontro ideologico, della contrapposizione per pregiudizi, da tutte le parti in causa. Quello che qui conta è che, purtroppo, mi pare non superato questo atteggiamento anche da parte dei cristiani i quali, più di altri, dovrebbero aver maturato quel senso evangelico d’attenzione all’umanità e al suo difficile cammino verso il bene, verso il regno.

È doveroso così esprimere opinioni che contrastano, stigmatizzano, avvertono dei pericoli che talune azioni giuridiche, certi stili e comportamenti, alcune idee filosofiche, religiose, comportano rispetto al riconoscimento di valori ritenuti offesi, messi in crisi.

Tutto questo però non può non accompagnarsi ad uno sguardo di misericordia, che non è accettazione supina di ogni posizione soggettiva, non è relativismo, è anzi sollecitazione alla conoscenza, al confronto, certo anche alla denuncia di quanto si ritiene palesemente malizioso e malvagio.

Una paziente fermezza dialogica
Gesù ha condiviso e partecipato fino in fondo (fino a subirne la croce) al dibattito del suo tempo, nell’ottica continua di non annichilire l’altro, anche nel suo errore, nel suo peccato, ma nell’abilitarlo ad una nuova comprensione, ad un discernimento che non può che passare dalla coscienza personale sollecitata, questo sì, dall’incontro con lui.

È questo atteggiamento che si traduce anche in una “paziente parresia”, una paziente fermezza, che vive il dia-logo come vero attraversamento (dia-) del pensiero (logos) dell’altro, per rinvenirvi il buono e il vero che vi giace, in un atteggiamento che sa cogliere le linee essenziali delle personali posizioni, soprattutto il senso ultimo delle intenzioni, sapendo distinguere e quindi più opportunamente valutare e orientare alle decisioni pratiche. Frutto sempre, va ricordato soprattutto a livello politico-giuridico, di compromessi, di cauti bilanciamenti tra le posizioni. Compromessi che sono tali direi etimologicamente: com-promessi, promesse di assumersi insieme e in modo comune – con -, orientamenti finalizzati al bene di ciascuno e di tutti.

Possono sembrare parole vuote o forse vane. Sono quelle che mi spingono a condividere alcune osservazioni a riguardo dei due temi.

Convertire il cuore
Sono fermamente contrario all’aborto come soluzione ad una gravidanza rifiutata (al di là dei motivi che, soggettivamente, lo motivano e cambiano, eccome, il giudizio sulla persona – da lasciare al Padreterno). Certo non si può negare la necessità di una legge che regoli la prassi abortiva in un mondo in cui purtroppo lo si pratica. In questa direzione, coloro che (ahimè) accettano l’aborto, perché non devono trovarsi in una condizione che eviti ulteriori traumi e sia medicalmente più sostenibile?

Le comunità cristiane più che stigmatizzare l’approdo a questo “progresso” dovrebbero a) preoccuparsi di insegnare ai propri figli credenti che il no all’aborto sta nel DNA del cristiano e che quindi non è l’aborto la soluzione ad eventuali gravidanze non desiderate (salvo sempre il rispetto per chi vi ricorre: il peccato non è il peccatore); b) testimoniare così nel mondo una logica diversa, il rifiuto di prassi abortive – come è la RU486 –, la ricerca di soluzioni alternative (certo psicologicamente dolorose, come il non riconoscimento del figlio che apre all’adozione) che affermino il valore prioritario della vita più indifesa (in forza dell’opzione evangelica privilegiata per i poveri) rispetto ad ogni altra conseguenza. Testimonianza che forse non “convince razionalmente” circa il no all’aborto (tante sono le variabili soggettive implicate), ma l’unica modalità dataci per “convertire il cuore”.

Il rispetto delle diversità nell’umano
Sono fermamente convinto che il sentimento affettivo e l’agire sessuale trovino forme di espressione che includono omosessualità, lesbismo, transgender – che non significano “in sé” depravazione, disumanizzazione (cioè, peccato). Si discute certo legittimamente (qui non lo facciamo) sulla “naturalità” delle forme lgbt, sull’identità di genere.

Ritengo che il dato biologico e culturale dei generi maschile e femminile siano originari e non equiparabili ad altri, ma l’essere umano non è solo fissato dai dati biologici, è capace di elaborare culturalmente se stesso cosicché l’identità è certo connessa ad un cammino complesso di sviluppo in ognuno di noi. Il rispetto di ogni diversità nell’umano è garanzia di civiltà, giustizia, non violenza.

Per quanto sia illusorio che “giornate” dedicate, o norme punitive bastino o siano più efficaci, rispetto ad una lenta e faticosa educazione, cioè coltivazione di convinzioni radicate, sedimentate nella storia personale e della società (si pensi all’altro tema oggi ancora rilevante dell’antisemitismo), ci sono condizioni storiche nelle quali anche una più esplicita norma che colpisca crescenti abusi si rende necessaria.

Coloro cui spetta legiferare devono sapere e riconoscere la delicatezza del compito, il limite che ogni norma pone alla libertà, come la stessa legge educa ad una comprensione non individualista della libertà individuale. A noi cittadini – e cristiani – spetta vigilare affinché i valori di libertà e uguaglianza fondanti la nostra società siano assicurati; spetta animare una sempre maggiore occasione di conoscenza, atteggiamenti di rispetto della dignità dell’altro e, quindi, della sua libertà che se può essere ammonita di fronte ai rischi del male, non può essere costretta.

Accompagnare il quotidiano con libertà e ricerca
Tutto ciò, per dire che in un contesto pluralista, in una società che solo vagamente si può dire cristiana, cioè cosciente di vivere secondo convinzioni coerenti con il vangelo (che peraltro non si occupa di tutte le questioni esistenziali, ma non di meno richiama a pochi e decisivi valori, tra i quali la sacralità e la santità della vita e del corpo), l’atteggiamento spirituale e morale deve essere quello di accompagnare la vita quotidiana in una ricerca convinta del regno di Dio e della sua giustizia; il che significa, di una vita che ha la grazia di serbare in sé il vero, il bene, il bello che la rende felice, compatibilmente con le nostre capacità di attuazione. In Cristo è comparsa la Grazia, splende la Bellezza del mondo che il Padre vuole per i suoi figli, ai quali spetta, in libertà e ricerca, di dare consistenza.

Fabrizio Filiberti
Presidente di “Città di Dio” Associazione ecumenica di cultura religiosa – Invorio (NO). L’Associazione “Città di Dio” aderisce alla Rete dei Viandanti.
Membro del Gruppo di riflessione e proposta (Grp) dell’Associazione Viandanti. 

Note – – – – – – –
[1] Sul dibattito relativo al DDL sull’omotransfobia si può vedere il documento del Consiglio direttivo di Viandanti e della Rete Viandanti. Clicca qui

[Editoriale online dal 5 settembre 2020 – la foto è di istockphoto]

1 Commento su “DUE QUESTIONI CHE CI AGITANO
PILLOLA RU486 E DDL OMOTRANSFOBIA”

  1. Grazie. E’ un testo molto ricco e articolato, che analizza i vari aspetti in esame e offre prospettive e indicazioni con una ispirazione evangelica profonda.

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