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LA GENEALOGIA DI ‘ADAM OGGI

Vertigine, stupefacente vertigine si prova quando si chiude l’ultima pagina di questo testo scritto da una donna, teologa ortodossa, alla venerabile età di 97 anni. La stessa vertigine che avverte lo scalatore che, arrivato sulla cima di un alto monte, s’affaccia sul precipizio che si spalanca sotto i suoi piedi, nel misurare la profondità e l’ampiezza del vuoto.

Incuriosita da una recensione pubblicata sul quotidiano “Avvenire” a firma di Gianni Vacchelli ho cercato e trovato sugli scaffali della libreria questo libro, piccolo per dimensioni, di notevole peso specifico per la suggestiva trattazione dell’argomento.

Si tratta dell’ultima opera, in ordine di tempo, di Annick de Souzenelle, che al momento in cui scrivo sta per concludere l’arco dei cento anni (è nata il 4 novembre 1922), accumulando un “sapere” di Dio frutto non solo della sua fede ma pure delle sue conoscenze scientifiche – per aver studiato in gioventù matematica, avere lavorato come infermiera anestesista, poi come psicoterapeuta – e teologiche, conoscendo molto bene le Sacre Scritture, la lingua e il mondo ebraico.

Audace, provocatoria, onirica, stimolante: voce di donna che non teme di “prendere la parola”, per dimostrare che la Bibbia non è scrittura “conclusa” ma un racconto che si srotola e si riavvolge perennemente nello scorrere del tempo, attraverso la rielaborazione della memoria da parte di un popolo sempre in ricerca e in ascolto.

Molti sono i suoi scritti, di cui il più conosciuto è “La simbologia del corpo”; in tutti, a leggerne i titoli, una straordinaria passione per l’uomo che faticosamente riscopre il Dio che lo abita.

Certamente occorre fare, come suggerisce il titolo stesso, una bella “capriola” mentale per accoglierne il procedere molto originale e dirompente. Bisogna dimenticare le categorie consuete utilizzate nell’interpretazione dei testi biblici e lasciarsi immergere nelle acque avvolgenti e talora tumultuose del mare che si apre davanti a noi.

L’Autrice decide di rileggere i capitoli 3,4 e 5 della Genesi, e specificatamente la lista dei Patriarchi elencati nel cap. 5, dichiarando nel proemio: ” I Patriarchi…li ho immaginati come se ognuno fosse a capo di un mese di gestazione del feto adamitico all’interno della nostra matrice cosmica”.

Il suo percorso va da Adamo a Noè; lo scopo è quello di trovare, nel cantilenante susseguirsi di nomi e numeri, un senso, un significato, un nuovo orizzonte, una nuova meta.

Arditissima la sua decifrazione di ogni nome proprio, di cui soppesa, forte della sua perfetta conoscenza della lingua ebraica e della sua intima abitudine alla narrazione secondo l’andamento del midrash, ogni singola lettera, rifacendosi al valore numerico e ai significati propri delle lettere dell’alfabeto usato dal popolo israelita (a pag. 133 si ritrova un’utile e provvidenziale tabella con lettere, pronuncia e corrispondente numerico).

Ma ciò che genera la vertigine accennata è l’interpretazione, quasi un’anatomia, della creazione e del dipanarsi successivo delle generazioni attraverso le figure dei Patriarchi.

La Storia, di cui fa un’analisi dettagliata indicando epoche storiche ben definite, appare come la gestazione di un feto, quello di Adamo, contenuto in un invisibile ma concreto grembo cosmico in cui si porta a compimento l’opera di un Dio desideroso che uomini e donne diventino ciò che sono chiamati ad essere, un UOMO (Genesi, 5,1-2)[1], purificato dai demoni che lo lacerano interiormente e che ne frenano la crescita. Ogni Patriarca rappresenta un mese di questa gestazione e, nel proprio nome, contiene il senso dell’arco temporale in cui viene collocato secondo il sentire dell’Autrice.

Tale gestazione arriva fino ai nostri giorni e parla alla nostra interiorità, suggerendo che la difficoltà di far maturare la nostra umanità deriva dal non saper cogliere la chiamata del Dio che abita segretamente, come seme silente, nei nostri tessuti e nei nostri cuori.

La “morale” di questo testo è che l’uomo ha corso forse troppo in avanti e convulsamente nella sua ricerca di dominare il mondo, di scoprire nuove realtà, ma non ha “camminato” con uguale zelo e convinzione all’interno di sé, per trovare quella “terra promessa” che gli permetterebbe di diventare veramente “immagine e somiglianza del suo Creatore”.

Ecco, dunque, il dovere di fare un rivolgimento, una salutare capriola, quella che fa il feto nel settimo mese di gestazione, come condizione necessaria per realizzare ciò che Gesù aveva detto a Nicodemo (Giovanni,3, 3-5).

La stessa pandemia, tempo durante il quale il testo è stato scritto, si rivela occasione da non perdere per ritrovare, dissodare, coltivare il germe divino che è in noi onde portarlo alla maturazione definitiva.

“Oggi entriamo nel tempo di una mutazione profonda. Il mondo divino ci ferma e chiede di essere ascoltato” (pag. 122).

Elisabetta Melegari
G.O. Associazione Viandanti

Annick de Souzenelle,  Il grande “rivolgimento” La genealogia di ‘Adam oggi, Servitium editrice, Milano 2021, pp. 144

[1] Per la definizione di “Uomo” si veda La Bibbia in lingua corrente (LDC-ABU, 1985).

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