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CANTIERI SINODALI,
CERCANDO CONCRETEZZA

Fabrizio Filiberti

Il Documento CEI Cantieri di Betania. Prospettive per il secondo anno del cammino sinodale è articolato su Luca 10,38-42 (l’episodio di Marta e Maria) assunto a icona. Presenta il cammino di Gesù ospitato dalle due sorelle. Gesù abita il suo mondo e riceve l’accoglienza in una famiglia divenuta amica e discepola, in ascolto del suo insegnamento. L’icona descrive, in verità, lo stile e la modalità della fede di Marta e Maria. Solo ad un secondo livello di lettura la famiglia di Marta e Maria diviene chiesa domestica, presenza nel mondo di una comunità di discepoli, di christifidelis, alla quale si applicano le considerazioni del documento CEI. Chiesa che oggi deve discernere se stessa, valutare come tradurre in pratica l’ascolto della Parola che la fonda.

Un documento che dice e non dice
Dal discernimento ecclesiale avviato nel 2021-22 discendono i cantieri sinodali cui dedicarsi nella seconda fase (2022-2023). Con l’avvertenza che questo resta un tempo di ascolto e non di letture sistematiche e di risposte pastorali, a cui saranno invece dedicate le successive fasi, sapienziale e profetica. Deve essere però un ascolto “orientato”, più focalizzato, per poter raccogliere narrazioni utili a proseguire il cammino.

Il linguaggio del documento dice e non dice, è un po’ omiletico, rischia di passare senza stimolare. È possibile però far emergere domande e impegni impellenti. Mi pare che i cantieri possano rappresentare – anche rispetto alla Sintesi nazionale della fase diocesana – alcuni ambiti nei quali ordinare e coordinare le sollecitazioni emerse nella prima fase. Un “dare il nome” ad aspetti che vanno radicati meglio e correlati. Può essere di aiuto una bussola per guidare il confronto sull’essenziale (in corsivo le citazioni estrapolate dal documento).

Essere mondo e nel mondo
Gesù non evita i villaggi, ma insieme al gruppo dei discepoli e delle discepole li attraversa, incontrando persone di ogni condizione.

È il Cantiere della strada e del villaggio. Si tratta, anche per noi, di maturare la consapevolezza di essere mondo e nel mondo. Quando il Papa invita ad essere una “chiesa in uscita” lo fa perché i cristiani tendono a chiudersi nella sfera intraecclesiale, attorno ai “servizi religiosi o caritatevoli”, alimento di una istituzione spesso autoreferenziale. Il modello del Concilio è invece quello del popolo di Dio immerso e sparso tra i popoli. Non sono solo i fedeli laici a stare nel mondo, sono tutti i christifidelis, dai quali si struttura una comunità dove alcuni servono nei diversi ministeri, in unità attorno ad uno (vescovo, presbitero).

Presteremo ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè “camminano insieme” a tutti coloro che formano la società; in particolare occorrerà curare l’ascolto di quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati.

Un colloquio non occasionale
Il colloquio con i “mondi” non deve finire nell’occasionalità di alcuni cantieri contingenti (“quest’anno ci occupiamo di…”), ma è un atteggiamento costitutivo perché dallo stare nel mondo, nei suoi spazi e tempi quotidiani, possono sgorgare esperienze da portare in comunità per il discernimento, tali da imporci il “che fare?”, orientando le scelte pastorali. L’urgenza di ascoltare quanto quei mondi voglio dire alla chiesa deve fare i conti – mi sembra – col problema del “se” essi ne sentono la necessità: non serve convocarli in formali incontri precostituiti, quanto ascoltare dal di dentro giorno per giorno le gioie e le sofferenze che portano.

Per far questo, occorrerà uno sforzo per rimodulare i linguaggi ecclesiali, per apprenderne di nuovi, per frequentare canali meno usuali…In tal senso, sarà importante rafforzare e rendere stabile nel tempo l’ascolto dei giovani. È la sfida più complessa perché si tratta di riformulare la forma evangelica e la tradizione senza scadere in giovanilismi contingenti (bruciati dai repentini cambiamenti generazionali tra gli stessi giovani).

Come gestire la casa
II Cantiere dell’ospitalità e della casa è quello della chiesa domestica, dei fratelli in Cristo. Essa esiste per servire il mondo. La casa che sogniamo  – come detto – ha finestre ampie attraverso cui guardare e grandi porte da cui uscire per trasmettere quanto sperimentato all’interno – attenzione, prossimità, cura dei più fragili, dialogo – e da cui far entrare il mondo con i suoi interrogativi e le sue speranze. Allora, quella della casa va posta in relazione alle altre immagini di Chiesa: “popolo”, “ospedale da campo”, “minoranza creativa”, ecc. È la chiesa “ospedale da campo” l’immagine forse più attuale e di immediata presa: presenza dislocata nel mondo, nelle sue forme comunitarie piccole e grandi. Essa sta là fuori, accompagnando l’umano, attendendo ai suoi feriti. Le comunità cristiane attraggono quando sono ospitali, quando si configurano come “case di Betania”, capaci di accogliere in se stessa chi passa. Fare entrare stando fuori. Rendendosi riconoscibili nel servizio all’uomo. Se constatiamo un calo di presenze non solo nelle celebrazioni, ma nelle diverse attività ecclesiali, non è forse anche per la sterilità delle stesse, l’autoreferenzialità, l’insignificanza rispetto al quotidiano?

Inclusione e partecipazione vere
In questa direzione, si sollecitano

1) la cura delle relazioni, l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e la tensione dinamica tra una ricca esperienza di fraternità e una spinta alla missione che – appunto – la conduce fuori. Non è più il tempo di misurarsi sulle appartenenze identitarie, su chi sta dentro/fuori, vicino/lontano, ma di assumere criteri che favoriscono inclusione e s’oppongono all’esclusione. Si tratta di dare spazio a chiunque vuol farsi compagno di strada, a chi vede nell’agire della comunità ecclesiale un luogo caldo di servizio o farsi presenti e collaborativi a chi opera comunque nel servizio all’umanità e alla natura ferita;

2) Si potrà poi rispondere alla richiesta, formulata da molti, di un’analisi e un rilancio degli organismi di partecipazione (specialmente i Consigli pastorali e degli affari economici), perché siano luoghi di autentico discernimento comunitario, di reale corresponsabilità, e non solo di dibattito e organizzazione. Un servizio pensato e condiviso. Tradotto: si attira e si coinvolge se ciascuno si sente parte e protagonista, non mero ratificatore o esecutore di scelte altrui.

Si profila un cammino lungo che chiede una forma mentis ecclesiale da far crescere e per anni data per scontata. Premessa necessaria – ma non per questo rinviabile – ad una delle “domande guida” presenti nel documento: Quale autorità, tra funzione consultiva e deliberativa, si è disposti a riconoscere agli organismi di partecipazione ecclesiale nell’esercizio della comune vocazione battesimale? In quale direzione andrebbero riformati? La chiesa non è democrazia, è processo sinodale, ma su questo punto deve emergere una forte indicazione di promozione di carismi e ministeri, di rinnovamento canonico, decentramento pastorale, riorganizzazione amministrativa e giuridica.

Alla ricerca di uno stile ecclesiale
Il Cantiere delle diaconie e della formazione spirituale. È, appunto, il cantiere rivolto a plasmare la nuova comunità ecclesiale nel suo interno essere e modalità di vita. Nella unità e pluralità dei compiti. Marta e Maria non sono due figure contrapposte, ma due dimensioni dell’accoglienza, innestate l’una nell’altra in una relazione di reciprocità, in modo che l’ascolto sia il cuore del servizio e il servizio l’espressione dell’ascolto. [] Un servizio che non parte dall’ascolto crea dispersione, preoccupazione e agitazione: è una rincorsa che rischia di lasciare sul terreno la gioia. Papa Francesco ricorda in proposito che, qualche volta, le comunità cristiane sono affette da “martalismo”. Contro l’efficientismo si evoca la “fraternità mistica”, cioè contemplativa, consapevole che il servizio si radica nell’appello della Parola: sarà la volta buona per un salto di qualità, per una dichiarata e praticata sacramentalità della Parola? Qui le domande ritornano sulle forme dell’ascolto e di Scuola della Parola, affinché non si cada nell’alibi di una Parola pregata, certo, sovente usata senza essere compresa. 

Ministeri e corresponsabilità femminile
Dunque, si incroceranno, inoltre, le questioni legate alla formazione dei laici, dei ministri ordinati, di consacrate e consacrati; le ministerialità istituite (vecchie e nuove), le altre vocazioni e i servizi ecclesiali innestati nella comune vocazione battesimale del popolo di Dio “sacerdotale, profetico e regale”. Curando che entrambi non rafforzino quell’atteggiamento clericale oggi dominante e non si snaturi nel mero efficientismo pratico.

Si richiama poi esplicitamente il tema della corresponsabilità femminile all’interno della comunità cristiana. Forse uno di quelli dai fedeli sentito ineludibile. Attribuzione di ministeri e ruoli che non devono riempire i vuoti, ormai ampi, dell’organigramma ecclesiale, quanto riconoscere che la chiesa è una comunione di persone alle quali occorre dare piena dignità negli spazi comunitari.

Una priorità trasversale, infine: la pazienza e il modo (entrambi da imparare) dell’ascolto dei pochi giovani presenti nelle comunità, perché orientino loro il processo e non siano relegati a seguirlo. C’è un nuovo che può essere cercato solo da e con loro.

Fabrizio Filiberti
Presidente di “Città di Dio” Associazione ecumenica di cultura religiosa – Invorio (NO) che aderisce alla Rete dei Viandanti. Membro del Consiglio direttivo e del Gruppo di riflessione e proposta (Grp) dell’Associazione Viandanti.

[pubblicato il 30 gennaio 2023]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: condor spa ]

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