NATALE
Ieri il Patriarca [Latino di Gerusalemme] non l’hanno lasciato entrare a Gaza, come avevano promesso;
e ieri sono stati bombardati dei bambini. Questo è crudeltà. Questo non è guerra. Voglio dirlo perché tocca il cuore.
[Francesco, Auguri alla Curia Romana, 21.12.2024]
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Caro Babbo Natale,
sono un piccolo palestinese ebreo.
Sono nato a Betlemme
e devo imparare tutto della vita degli uomini.
Divenire un uomo,
divenire umano nel vero senso della parola
è un compito impegnativo che richiede tempo…
Essere Dio, per me è normale,
lo sono da sempre e per sempre.
Per me, essere Dio è una cosa semplice, ne sono abituato,
ma divenire l’Emmanuele – «Dio con noi» –
è una novità per me:
penso che avrò bisogno di tempo,
almeno trenta anni
per diventare «Figlio dell’uomo».
Caro Babbo Natale,
quante lettere hai ricevuto
cariche di illusioni,
di attesa e di fiducia in te?
Ma soprattutto, quante lettere
non sono state scritte
perché la brutalità della guerra e dello sfruttamento
hanno costretto al silenzio la voce degli orfani?
Caro Babbo Natale,
mi piacerebbe davvero
che quelli che si metteranno in marcia per seguirmi,
siano costruttori di pace e di fraternità,
risplendenti di gioia.
Che le loro chiese non siano impregnate dell’odore di chiuso
proprio di quelle comunità fatte dei soliti individui,
incapaci di una vita sempre nuova,
che si accontentano di qualche piccolo ritocco:
un po’ di regole liturgiche,
alcuni cambiamenti nei paramenti,
e un modo di comunicare più aggiornato…
Ci sono troppi inni
e poche grida di indignazione,
troppo autocompiacimento e poca nostalgia
di un mondo più umano,
troppa capacità di consolarsi e poca fame di giustizia.
Caro Babbo Natale,
fa capire a tutti i bambini
e agli adulti del mondo intero,
che se la nascita di Dio
non avviene, oggi, nel cuore di ciascuno
Egli non è neppure nato a Betlemme
Pedro Méca
Padre domenicano spagnolo
(1935-2015)
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Riprendiamo questo testo augurale dal numero di “Nota-M” del 16 dicembre 2024 (anno XXXII– n. 595), periodico online che aderisce alla rete Viandanti.
Sono alcuni versi che gli amici di “Nota-M” hanno tratto da una lunga lettera scritta nel 2013 dal domenicano Pedro de Meca
op (1935-2015), fatti pervenire loro da Jean-Pierre Jossua e tradotti da Alfredo D’Angelo.
Nota biografica. Spagnolo di origine basca, contrabbandiere, prete domenicano, maestro di strada, autore di libri… Vive quasi da sempre
a Parigi con i sans abrits, i senza tetto. Pur appartenendo al convento di Saint Jacques, vive in un appartamento aperto dove spesso accoglie persone per stare semplicemente insieme. Con altri operatori sociali fonda l’associazione, Compagnons de la nuit (Compagni della notte) e apre uno spazio notturno che si chiama La Moquette dove non si fa caritas o assistenza, ma si passano delle ore insieme (dalle 21.00 all’1 di notte) perché ognuno possa entrare in contatto ed esprimere la propria creatività. La Moquette è lo spazio dove anche la follia può trovare un senso. Pedro si sente a casa tra i senza fissa dimora, forse anche per la sua storia personale: viene abbandonato dalla madre e successivamente scompare anche la famiglia adottiva; a 17 anni va a Parigi per cercare la madre naturale e vive con lei circa 3 anni facendo il contrabbandiere. A 20 entra in convento.
Per approfondire, il documentario in francese: Pedro Meca, prêtre de la nuit
https://youtu.be/hPGslxz3Ako?si=ZFleyU9wIAejLmLL
[Pubblicato l’ 24.12.2024]
[L’immagine è ripresa dal sito: www.larepubblica.it]