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IL LINGUAGGIO NUOVODEL VESCOVO DI ROMA

Franco Ferrari

Da quando è apparso, mercoledì 13 marzo alle 20,22, alla Loggia di san Pietro, il nuovo vescovo di Roma non ha cessato di stupire e di accendere molte speranze per il futuro della Chiesa. L’attenzione dei fedeli e dei media, nelle scorse settimane, si è particolarmente centrata sui gesti e sugli aspetti della sua personalità, sulla ricerca del suo passato per cercare di capire chi sia e soprattutto cosa farà il poco noto cardinale Bergoglio, venuto “dalla fine del mondo” e diventato inaspettatamente Papa prendendo l’impegnativo nome di Francesco.

Segni e parole
L’aggiornamento impresso da Papa Francesco all’esercizio del ministero petrino, al momento, riguarda due aspetti del linguaggio che s’integrano a vicenda: da un lato, i segni – determinanti per l’universo religioso che si fonda sui simboli – e, dall’altro, i contenuti e il modo del comunicare con la parola.

I media nei giorni scorsi hanno puntato molto l’attenzione sui segni: l’abbandono della mozzetta e della stola, il voler pagare il conto dell’albergo, la normalità delle calzature, il viaggiare in pullmino con i cardinali, la temporanea residenza alla Domus santa Marta, fino alla lavanda dei piedi nel carcere minorile di Casal del Marmo. Segni di diverso valore, ma tutti orientati in una direzione fortemente innovativa. Non meno importanti sono le scelte dei discorsi e delle omelie. Anche qui si è rivelata una modalità comunicativa nuova.
In entrambi i casi si tratta di scelte di semplicità cariche di sottolineature o di conseguenze teologiche, ecclesiologiche e pastorali.

Non solo brevità e semplicità
Vari sono gli aspetti che colpiscono nella ventina di interventi, tra discorsi, omelie e angelus, fatti fino ad oggi. Innanzitutto, direi la brevità e la semplicità di struttura dei discorsi; sia che Papa Francesco parli ai fedeli, sia che parli a cardinali o diplomatici. Improvvisamente sembrano essere un ricordo lontano i discorsi pieni di citazioni (anche per testimoniare che quanto detto si colloca in una lunga tradizione) molto strutturati, teologicamente elaborati, tali da interporre una certa distanza tra il magistero del Papa e la magmatica problematicità del vivere quotidiano.

Colpisce, poi, l’uso delle immagini, quasi in stile evangelico. Pensiamo a “il sudario non ha tasche” (Omelia domenica delle Palme) per stigmatizzare la sete di denaro, oppure l’invito ai presbiteri ad “essere pastori con ‘l’odore delle pecore’” (Omelia Giovedì santo) come modo centrale per superare la crisi di identità.

Ancora, l’attualizzazione della Parola. I testi tengono presente come riferimento, più che il magistero precedente, la Parola di Dio e invitano a tradurla nella nostra vita. Si coglie in queste parole l’autenticità e la freschezza che nascono dall’esperienza personale di fede di chi parla. Si tratta di un’attualizzazione che va direttamente al centro delle questioni. Ricordiamo qualche passaggio: “quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore” (Omelia Messa con i Cardinali elettori); “Avete pensato voi alla pazienza di Dio, la pazienza che lui ha con ciascuno di noi? Quella è la sua misericordia. Dio mai si stanca di perdonarci, mai! E anche noi impariamo ad essere misericordiosi con tutti. Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto” (Angelus del 17 marzo); ancora, “Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui” (Omelia della Veglia pasquale).

Non sappiamo se Francesco riuscirà a scrivere sempre personalmente i propri interventi, come sembra abbia fatto in questo inizio di pontificato, certo è che si tratta di una scelta comunicativa, che tiene conto dell’esigenza di rivolgersi a tutti i fedeli e, cosa oggi non meno importante, della durata dell’attenzione di un uditorio educato alla rapidità narrativa dei media.

C’è già un filo rosso?
Quanto è detto e scritto all’inizio di ogni “impresa”, nel tempo viene ad assumere il carattere di fonte importante cui rifarsi; è, infatti, in questi primi momenti che si esprimono con forza delle intenzionalità orientative di quanto si farà poi. Nel caso di Francesco, si potrebbe ritenere che ciò sia ancora più vero in quanto questi discorsi sono stati scritti di persona senza alcuna mediazione degli uffici della Curia. Ma non avendo finora fatto alcun discorso programmatico, si può già individuare da quanto detto una “linea”? Per usare una terminologia propria della politica.
A ben vedere nei vari interventi sono disseminati diversi segnali, che si possono quasi tematizzare.

Vescovo di Roma. Da subito il titolo di Papa non è stato utilizzato:Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma… La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo” (Habemus papam); “celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro” (Messa inizio Ministero petrino). Un richiamo forte ad un aspetto vero da sempre, ma tenuto in ombra nella comunicazione ordinaria. Una scelta che non potrà non avere conseguenze positive sul dialogo ecumenico e far proseguire più rapidamente la discussione (e la pratica) sulla forma di esercizio della collegialità e del primato petrino in funzione ecumenica.

Costruire ponti e potere come servizio, appaiono due modalità con le quali Francesco interpreterà il suo ruolo. Al Corpo diplomatico ha spiegato che: “Uno dei titoli del Vescovo di Roma è Pontefice, cioè colui che costruisce ponti, con Dio e tra gli uomini. Desidero proprio che il dialogo tra noi aiuti a costruire ponti fra tutti gli uomini, così che ognuno possa trovare nell’altro non un nemico, non un concorrente, ma un fratello da accogliere ed abbracciare! In quest’opera è fondamentale anche il ruolo della religione”. Mentre sul potere di Pietro ha precisato: “Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta?… Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve…aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli” (Messa inizio Ministero petrino).

Ecumenismo. Presentandosi alla Loggia di san Pietro, Bergoglio/Francesco ha affermato che la “Chiesa di Roma, è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”; una definizione aperta alla collegialità cara alle Chiese Orientali. Poi, l’udienza ai “Rappresentanti delle Chiese, delle Comunità ecclesiali e di altre religioni” è stata l’occasione per affermare un forte impegno sul tema dell’unità della Chiesa definito nobilissima causa: “Da parte mia, desidero assicurare, sulla scia dei miei Predecessori, la ferma volontà di proseguire nel cammino del dialogo ecumenico”, ma già all’udienza dei Cardinali, il 15 marzo, parlando dell’azione dello Spirito santo nella Chiesa aveva detto: “Il Paraclito fa tutte le differenze nelle Chiese, e sembra che sia un apostolo di Babele. Ma dall’altra parte, è Colui che fa l’unità di queste differenze, non nella “ugualità”, ma nell’armonia”.

Attenzione all’Islam. Il rapporto con l’Islam sta diventando sempre più una frontiera calda per la cristianità. Se ne era occupato, in modo incerto, anche il recente Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione. Colpisce l’immediata attenzione prestata da Francesco al mondo islamico; oltre a lavare i piedi ad una giovane musulmana, si è espresso a proposito in due occasioni, nell’udienza ai Delegati fraterni: “Saluto innanzitutto i Musulmani, che adorano Dio unico, vivente e misericordioso, e lo invocano nella preghiera”; e nell’udienza al Corpo diplomatico: “è importante intensificare il dialogo fra le varie religioni, penso anzitutto a quello con l’Islam e ho molto apprezzato la presenza, durante la Messa d’inizio del mio ministero, di tante Autorità civili e religiose del mondo islamico”.

La donna nella Chiesa. Tema sensibile sul quale Francesco ha fatto tre sottolineature. Nel rito della lavanda dei piedi, ha accettato che tra i dodici uomini che stanno a rappresentare il collegio apostolico, due fossero donne. Lo strappo ha preoccupato i tradizionalisti, ma resta in attesa di esplicitazione.

Nell’omelia della veglia pasquale e nell’udienza generale di mercoledì scorso il Papa ha poi voluto espressamente toccare il ruolo delle donne nell’evento morte/risurrezione di Gesù e ha proposto osservazioni di grande finezza. Le donne che “avevano seguito Gesù, l’avevano ascoltato, si erano sentite comprese nella loro dignità e lo avevano accompagnato fino alla fine, sul Calvario”; le donne “sono le prime testimoni” della Risurrezione e “spinte dall’amore sanno accogliere questo annuncio con fede: credono, e subito lo trasmettono” e questo ci deve far riflettere anche “su come le donne, nella Chiesa e nel cammino di fede, abbiano avuto e abbiano anche oggi un ruolo particolare nell’aprire le porte al Signore”.

L’elenco si potrebbe ampliare ulteriormente (l’aspirazione alla Chiesa povera [Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!]; la collegialità; la salvaguarda del creato; ecc.), ma già questo basta per rilevare la novità di Papa Francesco, il filo rosso dell’aggiornamento, forse non solo pastorale, che, a giudicare da piazza san Pietro, sembra essere stato percepito in modo planetario anche dai christifideles laici.

La traduzione in atti di governo di queste “semplici” battute d’avvio avrebbero una portata difficilmente prevedibile, ma ormai più che auspicabile. Sarebbe una risposta di alto profilo al disagio e alle attese da tempo presenti nella Chiesa e alle molte speranze suscitate in soli venti giorni di pontificato.

Franco Ferrari
Presidente Viandanti

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