A DIALOGARE SI IMPARA
I nemici del dialogo sono molteplici e spesso antitetici tra loro. Da un lato, il fondamentalismo integrista che mette manosubito alla spada per un duello; d’altro lato, il sincretismo che gorgheggia in un duetto confuso e incolore. Da una parte, ecco la rigidità intellettuale scambiata per rigore; d’altra parte, l’approssimazione vaga che impedisce la pesatura delle argomentazioni, perché sui piatti della bilancia si deposita solo nebbia o mucillagine ideologica. Certo, il dialogo è faticoso, talora arduo, anche perché – come suggerisce l’etimo stesso del vocabolo – è l’attraversamento (dià) di un lógos, ossia di un discorso scomponendone tutti i segmenti argomentativi e, se si vuole, è anche l’incrociarsi (dià) di due lógoi di matrice diversa se non opposta.
Ai nostri giorni s’imbocca spesso la via in discesa dello scontro immediato, senza ascolto o verifica dell’altrui pensiero, nella tipica aggressività inconcludente e pirotecnica del talk-show televisivo. La forza dimostrativa più alta è nell’insulto («Capra, capra, capra…!») oppure nel più pacato ma sempre “esclusivo” asserto dello statista vittoriano Disraeli: «Il mio concetto di persona piacevole è quello di una persona che è d’accordo con me». La difficoltà del dialogo raggiunge picchi alti quando di mezzo sono le religioni con le loro concezioni dogmatiche e le loro concrezioni secolari: ci sono ormai volumi e volumi di documenti che attestano il costante e non di rado infruttuoso sforzo di un insonne dialogo interreligioso ed ecumenico.
Per non parlare poi del confronto all’interno della stessa singola confessione religiosa ove i conservatori scagliano anatemi contro chi, a loro avviso, cavalca oltre le frontiere dell’ortodossia e questi ultimi sbeffeggiano e scandalizzano quei tiratardi inconcludenti. Ecco perché è da tenere stretto tra le mani il libro di un teologo francese, Jean-Marie Ploux, 74 anni, che – sulla base anche di una lunga esperienza pastorale – ha elaborato una sorta di grammatica del dialogo come impegno irreversibile per il credente. La stessa sorgente della fede cristiana è proprio in un dialogo divino che squarcia il silenzio del nulla e che ha come interlocutore privilegiato la creatura umana.
Sulle tonalità differenti di questo colloquio, che ha appunto «in principio il Lógos» per usare il celebre incipit del Vangelo di Giovanni, si leggono in questo saggio pagine illuminanti attorno a soggetti che ora elenchiamo soltanto: l’«ospite interiore», accettare la differenza, la libertà e la verità, il «paese dell’altro», il rischio dell’incontro, la gratuità e così via. All’abbondante sequenza di lezioni, di regole, di eccezioni che questa grammatica ideale propone si associano anche i capitoli degli «esercizi» pratici: l’incrocio con l’ebraismo, il Dio del Corano, il risveglio del buddhismo, il confronto con coloro che non credono in nessun Dio (un «esercizio», quest’ultimo, che mi coinvolge particolarmente attraverso il progetto di un «Cortile dei Gentili», simbolo giudaico destinato a illustrare il dialogo credenti-atei). Ma Ploux s’impegna anche a declinare i “casi” dell’incontro attorno ai nodi incandescenti della verità scientifica, etica e teologica.
Gianfranco Ravasi (da il Sole 24 ore, 21 agosto 2011)