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Giotto, Il sogno di Innocenzo III (1295-99). Assisi, Basilica Superiore.

UNA SFIDA CHE DISORIENTA ANCHE LE RELIGIONI

Giancarla Codrignani

Giotto, Il sogno di Innocenzo III (1295-99). Assisi, Basilica Superiore.

Dietro l’apparenza di un ritorno del “sacro”, tutte le religioni sono in crisi perché, ingessate nelle tradizioni remote, non reggono l’impatto con una trasformazione del mondo davvero epocale e con una globalizzazione che angoscia chi è vissuto fidando nella continuità di un benessere destinato a crescere soltanto per noi, ma spinge anche le Chiese a percepire con paura il trascinamento verso un futuro ignoto.

La cristallizzazione della dottrina
Per i cristiani il nuovo mondo apre una sfida disorientante, quella di poter sciogliere la cristallizzazione della dottrina, ancora influenzata dal Concilio di Trento. Chi crede non dovrebbe mai essere pessimista: in fondo eravamo in crisi anche, alla fine del Trecento, quando i Comuni stavano declinando e la gente vedeva oscurarsi le Virtù del Buon Governo dipinte in Palazzo Pubblico a Siena: non riusciva a tener dietro al dilatarsi del mercato, lamentava il disordine e diffidava dei giovani che si inventavano un umanesimo laico in contrasto con le “buone tradizioni cristiane”.

A quel tempo la cristianità era o indifferente o ribelle, mentre i Principi della Chiesa, a loro agio in qualunque modernità, non accettavano di riformare la dottrina, nonostante movimenti giudicati sovversivi da decenni lo chiedessero; ma Roma non rileggeva più il vangelo, non metteva al primo posto sorella povertà e non rinnovava sacramenti definiti per dogma, favorendo invece superstizioni assolutamente pagane, il culto delle reliquie, la venerazione dei santi, i pellegrinaggi. John Wyclif in pieno Trecento aveva scritto chiedendo la separazione della Chiesa dallo Stato, la riforma pastorale del clero, un chiarimento sulla transustanziazione: l’Inghilterra era lontana e scampò alle condanne.

Non così quasi un secolo dopo Jan Hus a Praga che, riproponendo analoga esigenza di riforme, finì sul rogo. Dovevano arrivare Lutero e la Riforma per costringere la Chiesa; che rispose, disgraziatamente, con la Controriforma. Più dello scandalo delle indulgenze fu l’immobilismo a condizionare il futuro di un popolo di Dio che si appellava al vangelo già ai tempi di Francesco di Assisi.

La difficile trasmissione della fede
Di fatto siamo ancora intrappolati lì. Il ritardo è pazzesco: nonostante Giovanni XXIII, anni cruciali sono stati perduti. Adesso siamo nella necessità di accettarci tutti – credenti, diversamente credenti e non credenti – stabilendo anche in dottrina il mantenimento di una fede rinnovata sì, ma nell’accettazione di differenze che oggi suscitano paura di perdere identità, di entrare nel caos, di distruggere invece di costruire.

Intanto il mondo laico non è rimasto al palo e, anche per conoscenza dei principi evangelici, l’Onu ha reso universali i diritti umani, sulla scorta dei principi cristiani, ma anche di politici e pensatori laici che hanno legittimato l’uguaglianza effettiva degli umani e il riscatto degli sfruttati.

D’altra parte, il giudizio sulla giustizia non distinguerà chi crede da chi non crede. E se la Chiesa non trova risposte “vuol dire che esiste un problema all’interno della Chiesa”, come dice mons. Matteo Zuppi intervistato dall’Espresso.

La trasmissione della fede, infatti, è ormai impossibile se affidata solo a un clero numericamente in caduta libera, ordinato da vescovi che avevano rimosso il Concilio perché “pastorale”.

Adeguarsi ai mutamenti della storia
Molti faticano a capire un papa, che forse è perfino conservatore, ma è anche il gesuita che sente pericolare l’istituzione e reclama non solo il braccio del Francesco dipinto da Giotto, ma quello di tutta la gente di buona volontà che, ovunque, aiuti a convertire un’istituzione poco capace di autoriformarsi (è “come pulire la Sfinge con lo spazzolino da denti” ha detto all’incontro con la Curia il 21 dicembre 2017).

Anche lui sa che non è colpa della secolarizzazione, ma è il vangelo che è diventato sempre più scomodo: per questo è stata costantemente rimossa – a partire dalla teologia della liberazione – e posta sotto controllo la ricerca teologica.

Senza robuste iniezioni di senso (perfino buon senso) le religioni potrebbero lasciar esaurire il messaggio perché non ancora – ma non sarà mai – esplorato e attrezzato ai mutamenti storici. Non spaventiamoci: abbiamo fatto perfino le “guerre di religione” e ci siamo ancora. Bisogna, però, attrezzarsi.

È stata consentita troppa ignoranza nelle cose di fede, mentre è necessario ripescare coraggiosamente le letture che hanno anticipato il Vaticano II e i libri dei teologi censurati, ma anche affrontare nuovi autori che incalzano con analisi non sempre rassicuranti.

Avanguardie per ora scandalose
Nessuno scandalo, dunque, se John Spong, teologo episcopaliano americano, ha eliminato aspetti mitologici della credenza comune come la verginità di Maria, la nascita di Gesù a Betlemme (dove nessun uomo sensato avrebbe portato per 94 miglia la moglie prossima al parto ma il nome riconduceva a Davide) o il valore letterale dell’espressione “figlio di Dio”. Infatti è necessario che la religione si riappropri dello spirito autentico del suo Maestro, non di narrazioni simboliche.

Anche il gesuita Roger Laenars, autore di Gesù di Nazaret, uomo come noi? sostiene che “Gesù non ha mai pensato di essere il Figlio unigenito di Dio”, ma riaffronta anche il dilemma della prima epistola ai Corinzi: “se non è risorto, non c’è resurrezione nemmeno per noi e se non c’è resurrezione per noi, non c’è resurrezione nemmeno per lui” concludendo che “ciascuno di noi risorgerà in maggiore o minore pienezza… non nel Giorno del Giudizio, ma al momento della morte”. I preti hanno sempre chiamato “i novissimi” le “questioni estreme” (morte, giudizio, inferno e paradiso), ma non basta nominarle senza domandarcene il significato, dal momento che l’amore in qualunque sua forma, umana e divina, in linea di principio non pone limiti a se stesso.

Facciamo tutti la nostra parte
Non è religione andare a messa la domenica o portare figli e nipoti a catechismo se si sa che a dodici anni non andranno più in chiesa. Nemmeno la corsa all’impegno in mezzo agli ultimi è necessariamente cristiana se resta sociologica.

È più vicina alla fede, infatti, la suggestione non solo poetica, ma spirituale dell’immaginario introiettato fin da bambini che resta ineliminabile per la percezione simbolica del mistero, anche se siamo ancora dipendenti concettualmente dall’immagine organizzata di Chiesa che sopravvive perfino nelle Comunità di base in cui, pur rinnovati e personalizzati, permangono riti del tutto compatibili con la sacralità tradizionale.

Se la fede è invece compatibile solo con l’Amore che resta “mistero” perché anche la ragione umana ha coscienza del proprio limite nel realizzarlo, non è con l’indifferenza o la banalità delle proprie giornate che trova soddisfazione la pretesa di avere diritto a “qualcosa di più”.

Per questo la Chiesa – che siamo anche noi – deve fare la sua parte. Se Francesco usa gli strumenti in suo potere per varcare i passaggi e salire i gradini di una conversione globale dell’istituzione, ancora incapace di leggere autonomamente il mondo (e la Scrittura) senza occhiali colorati e paraocchi paganeggianti, occorre difenderlo argomentando contro le contrapposizioni integraliste, ma anche dimostrando discernimento conoscitivo dell’ormai vetusto Vaticano II.

Sono le frustate, incomprese già da mercanti e sacerdoti del Tempio, con cui il Maestro ha cercato di superare gli errori e peccati contrastanti la sua voce di pace. Ma senza di noi Francesco da solo non ce la può fare.

Giancarla Codrignani
Giornalista, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti. 

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L’articolo è apparso sulla rivista In Dialogo (n. 119 – marzo 2018) della Rete Radié Resch.

6 Commenti su “UNA SFIDA CHE DISORIENTA ANCHE LE RELIGIONI”

  1. Caro Campanini, pur senza frequentarci, ci conosciamo da una vita. Vorrei farmi capire meglio: Lenaers, un gesuita, dice cose che non condivido, ma che sono un anticipo di altri discorsi “audaci” che verranno, a meno che non vinca la gelata che si prepara a Francesco.
    Non so perché dobbiamo accettare le critiche al Vat.II “pastorale” e non agli altri concili. Oppure devo preoccuparmi che nel 2025 la celebrazione del nicenocostantinopolitano non accoglierà qualche revisione: Paolo Ricca si rammarica che non sia menzionato l’amore.
    Quanto alla verginità, non sarei nella logica materialistica di quando il matrimonio (un sacramento) conteneva l’orribile “remedium concupiscentiae”: la verginità è un sentire nobile della corporeità, con un sorriso compassionevole per le discussioni medievali sulle mestruazioni (esistenti?) di Maria e l’altare ci sarebbe negato per antico ossequio all’impurità del sangue solo femminile.
    Mi sento comunque di non sottovalutare le considerazioni che mi ha gentilmente passato, perché sono certa che si avvicini una nuova campagna dei mov. per la vita (strumentalizzabile contro il papa eretico).
    Sul coraggio si verrà misurando non una tendenza, ma il futuro.
    Un caro saluto
    Giancarla

  2. Vi sono, nella Chiesa, questioni aperte – e sono molte – e questioni “chiuse (e sono poche), perchè da esse dipende l’essenza stessa della fede e senza di esse non si è cristiani cattolici, ma semplici persone religiose che si appellano ad un Dio privato scelto a loro misura.
    La divinità di Cristo non è per il cattolico un optional,ma una verità di fede, anzi una fondamentale verità di fede. Se Cristo è soltanto “un uomo”, allora… tutti a casa. E’ vero che quella riportata dalla Codrignani è semplicemente l’espressione di un oscuro “teologo episcopaliano americano”, ma non si può considerare “mitologica” la concezione virginale di Gesù, affermata da più concili ecumenici e inscritta nel Credo di tutte le confessioni cristiane (anche perchè antecedente a successive rotture su altri piani, tuttavia); ma, ancor più entra in crisi tutto intero l’impianto della fede – a partire dalla verità dogmatica della Trinità – se si considera mitologica anche l’espressione Figlio di Dio e si fa di Cristo semplicemente un uomo e non l’uomo-Dio della fede cattolica (e di tutte le confessioni cristiane, salvo opinioni personali marginali e non condivise). Se Gesù non è figlio di Dio e Signore – come tutti i testi scritturistici ci dicono e come la Tradizione conferma – “vana è la nostra fede”, come direbbe Paolo.
    Tanto sul primo quanto sul secondo punto non si tratta di semplici “opinioni teologiche”, ma di verità di fede credute sin dalla Chiesa delle origini, riaffermate da precise definizioni dogmatiche, costantemente credute dalla Tradizione e che nessuno sconosciuto “teologo episcopaliano” può rifiutare senza collocarsi automaticamente fuori del cristianesimo: che cosa di Cristo, del Cristo dei Vangeli e poi, ma soltanto poi, della Chiesa, rimane se egli è soltanto un uomo? La stessa Pasqua non avrebbe senso perchè solo l’uomo-Dio e non l’uomo-Cristo poteva risorgere e “sedere alla destra del Padre”.
    Bene dare notizia di tutte le opinioni, ma affermare che non ci è “nessuno scandalo” se la nascita di Gesù è quella di qualsiasi altro uomo e se sulla Croce muore soltanto un uomo significa porsi fuori della fede. Qui non si tratta di legittime opinioni su questioni di fede seppure importanti, ma di un rifiuto globale di verità centrali per i cattolici, ma anche per gli Orientali e per gli stessi Riformati (salvo alcune frange marginali).
    E’ presumibile che – almeno sui due punti in precedenza indicati – l’autrice non condivida il pensiero dei “teologi” cui fa riferimento, ma chiarimento al riguardo potrebbe essere opportuno, anche per non rischiare di fornire, dei Viandanti, un’immagine quasi caricaturale.
    Giorgio Campanini

  3. Penso che la carità sia innanzitutto operare nella consapevolezza e nella accettazione della complessità delle relazioni che caratterizzano la realtà dell’esistere, unita alla speranza che la condizione di mistero che la accompagna abbia un senso che è la fede poi a esplicitare in forme e contenuti diversi, pur sempre storicamente e culturalmente relativi. Gli sviluppi delle scienze moderne, sia in senso scientifico che antropologico, e i nuovi rapporti dovuti alla globalizzazione chiedono alle fedi ripensamenti radicali per contribuire nello specifico e con originalità al bisogno di carità del mondo. Anzichè preoccuparsi di oliare i catenacci della stalla cattolicesimo e cristianesimi è urgente si interroghino sull’adeguatezza, oggi, di quei recinti dogmatici e pastorali sedimentati anche da secoli e destinati un tempo a radunare un gregge di fatto oggi sempre più “smarrito”.

  4. Quasi sempre a messa mi annoio. Con il “credo” del 325 d.C. e il resto tridentino….
    gc

  5. Credo sia importante svecchiare l’istituzione e cercare punti di contatto con i cristiani di altre confessioni e con tutti gli uomini di buona volontà. La sfida è farlo senza snaturare il messaggio.E quali sarebbero i “riti del tutto compatibili con la religiosità tradizionale?” Per caso la messa?

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