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CON VOCE DI DONNA

«Da cristiana dentro la Chiesa avevo patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di me come donna, il più delle volte contrabbandate attraverso altrettanto povere interpretazioni della complessa figura di Maria di Nazareth. Ho sofferto quando le ho riconosciute nel magistero dei papi, ma ancora di più quando le ho viste passare sottotraccia nella pastorale comune…». Ave Mary, il “pamphlet religioso” di Michela Murgia,è un libro che nasce dall’esperienza e, collegandole a un orizzonte più ampio, sollecita quello stesso orizzonte a un cambiamento che tenga appunto conto di quella esperienza, che non è non unica né tantomeno isolata. Anzi: la ragione del libro sta proprio nella convinzione che l’educazione cattolica costituisce un imprinting culturale che “continua a condizionare il nostro stare insieme da uomini e donne con tanta più efficacia quanto meno viene compreso e criticato”.

E così la giovane autrice di “Il mondo deve sapere” e di “Accabadora” si addentra nei vari scenari della costruzione del femminile da parte del magistero, della pastorale, della liturgia, oltre che di quell’insieme di “narrazioni distorte e silenzi chirurgici” con cui viene trasmessa la Scrittura. La valutazione è netta ed esplicita: questo complesso di messaggi e dottrine, pressioni e omissioni, dice alle donne che la loro “natura” è funzionale agli altri, nell’amore come nel dolore; che la volontà e il consenso non fanno parte del loro corredo ontologico;  che si è madri, spose o vergini, mai donne “a prescindere”, libertà che invece è data agli uomini; i quali in compenso ricevono in dote una somiglianza con Dio, “Padre”, che alle donne è negata, perché, come ha ribadito Benedetto XVI, non possiamo invocare Dio Madre (cosa che avrebbe comunque i suoi rischi, ma sarebbe meglio di niente).

Murgia, con il suo stile inconfondibile, spesso di grande efficacia e originalità, tocca tutti i grandi temi che teologhe e bibliste hanno, negli ultimi decenni, messo sotto la lente critica della prospettiva di genere, producendo una bibliografia enorme ma generalmente ostracizzata da chi detiene le leve del dibattito teologico e della sua trasmissione a livello pastorale. Partendo dalla cronaca, mostra come la sofferenza di tantissime donne abbia, nel discorso ecclesiale accreditato come ortodosso, se non la sua causa sicuramente i suoi puntelli di rinforzo e le condizioni del suo perpetuarsi.

Tuttavia, per fedeltà alla parola di Dio, cambiare si può e si deve; lo mostra ad esempio il capitolo che Murgia dedica alla “vera” Maria di Nazareth, lo mostrano tanti altri passi della Bibbia, e si può continuare.

Resta da chiedersi se qualcuno ascolterà questa voce, e quelle che l’hanno preceduta; se, come si augura e cristianamente spera l’autrice, si deciderà di fare i conti con questa intricata storia. A giudicare da certe recensioni, c’è da dubitarne. Un motivo in più per leggere il libro.

Rita Torti

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