Home > Archivio > Editoriali > DAL SINODO DEI VESCOVI NON ABBIATE PAURA
Stampa
Fr. Timothy Radcliffe

DAL SINODO DEI VESCOVI
NON ABBIATE PAURA

Timothy Radcliffe

Pubblichiamo la prima riflessione che il frate domenicano Timothy Radcliffe, già Maestro generale dell’Ordine dei Predicatori, ha tenuto agli esercizi spirituali (1-3 ottobre) per i padri e le madri sinodali alla “Fraterna Domus” di Sacrofano nei giorni immediatamente precedenti all’inizio dei lavori sinodali.
La riflessione di fr. Radcliffe aiuta a capire il clima e la posta in gioco di questo Sinodo, che si svolgerà in due sessioni (ottobre 2023 e ottobre 2024) con il compito di ridisegnare il modello di Chiesa: da una comunità ecclesiale rigidamente gerarchica ad una più marcata dalla partecipazione di tutte le sue componenti e da un diverso stile di esercizio dell’autorità e del potere. [V]
Il titolo originale della meditazione era “Sperare contro ogni speranza”; i titoletti sono redazionali.

** ** **

Quando il Santo Padre mi ha chiesto di predicare questo ritiro, mi sono sentito molto onorato, ma anche nervoso. Sono profondamente consapevole dei miei limiti personali. Sono anziano – bianco – occidentale – e uomo! Non so che cosa sia peggio! Tutti questi aspetti della mia identità limitano la mia comprensione. Vi chiedo quindi perdono per l’inadeguatezza delle mie parole.

Siamo tutti radicalmente incompleti e abbiamo bisogno gli uni degli altri. Karl Barth, il grande teologo protestante dei cattolici ha scritto “e/e”. Per esempio, Scrittura e tradizione, fede e opere. Si racconta che lo abbia definito il “dannato ‘e’ cattolico”, “das verdammte katholische ‘Und’”. Quindi prego perché, quando nelle prossime settimane ci ascolteremo reciprocamente e non saremo d’accordo, possiamo dire spesso “Sì, e…” invece che “No”! È questa la via sinodale. Naturalmente qualche volta è necessario anche il No!

Gioia e paura
Nella seconda lettura delle Messa, oggi, san Paolo dice ai Filippesi: “rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti” (Filippesi 2, 2). Siamo qui insieme perché non siamo uniti nel cuore e nella mente.

La stragrande maggioranza di quanti hanno partecipato al processo sinodale è rimasta sorpresa dalla gioia. Per molti è la prima volta che la Chiesa li ha invitati a parlare della loro fede e speranza. Ma alcuni di noi hanno paura di questo cammino e di ciò che abbiamo di fronte.

Alcuni sperano che la Chiesa venga cambiata drasticamente, che prendiamo decisioni radicali, per esempio sul ruolo delle donne nella Chiesa. Altri hanno paura proprio di questi cambiamenti e temono che portino solo alla divisione, addirittura allo scisma.

Alcuni di voi preferirebbero proprio non essere qui. Un vescovo mi ha raccontato di aver pregato di non essere scelto per venire qui. La sua preghiera è stata esaudita. Voi potreste essere come il figlio del vangelo odierno, che all’inizio non voleva andare nella vigna, ma poi ci va!

Nei momenti fondamentali, nei vangeli sentiamo sempre queste parole: “non abbiate paura”. San Giovanni ci dice che “l’amore perfetto scaccia il timore”. Incominciamo, dunque, pregando perché il Signore liberi i nostri cuori dalla paura. Per alcuni si tratta di paura del cambiamento, per altri di paura che nulla cambierà. “Ma la sola cosa che dobbiamo temere è la paura stessa” [1].

Naturalmente tutti noi abbiamo delle paure, tuttavia san Tommaso d’Aquino ci ha insegnato che il coraggio è rifiutarsi di essere schiavi dalla paura. Possiamo essere sempre sensibili alle paure altrui, specialmente quelle di coloro con cui siamo in disaccordo! “Come Abramo, partiamo senza sapere dove andiamo” (cfr. Ebrei 11, 8). Ma se libereremo i nostri cuori dalla paura, sarà molto più bello di quanto possiamo immaginare.

Il ritiro della Trasfigurazione
A guidarci in questo ritiro sarà la meditazione sulla Trasfigurazione. È questo il ritiro che Gesù dà ai suoi discepoli più prossimi prima che si avventurino nel primo sinodo della vita della Chiesa, mentre camminano insieme (syn-hodos) verso Gerusalemme.

Quel ritiro era necessario perché avevano paura del viaggio che dovevano compiere insieme. Finora hanno percorso in lungo e in largo il nord d’Israele. Ma a Cesarea di Filippo, Pietro ha confessato che Gesù è il Cristo. Poi Gesù li invita a recarsi con lui a Gerusalemme, dove soffrirà, morirà e sarà resuscitato dai morti.

Loro non riescono ad accettarlo. Pietro cerca di impedirglielo. Gesù lo chiama “Satana”, “nemico”. La piccola comunità è paralizzata. Così Gesù la porta sul monte. Ascoltiamo il racconto di san Marco di quanto è accaduto.

“Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: ‘Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!’. Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: ‘Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!’. E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro” (Marco 9, 2-8).

Verso la morte e a risurrezione della Chiesa
Quel ritiro dà loro il coraggio e la speranza per mettersi in cammino. Non va sempre molto bene. Subito non riescono a liberare il bambino dallo spirito maligno. Litigano su chi è il più grande. Fraintendono il Signore. Ma sono in cammino con una fragile speranza.

Così anche noi ci prepariamo al sinodo svolgendo un ritiro dove, come i discepoli, impariamo ad ascoltare il Signore. Quando ci metteremo in cammino, tra tre giorni, saremo spesso come quei discepoli e ci fraintenderemo e addirittura litigheremo. Ma il Signore ci guiderà per andare avanti, verso la morte e risurrezione della Chiesa.

Chiediamo anche al Signore di darci speranza: la speranza che questo sinodo porti a un rinnovamento della Chiesa e non alla divisione; la speranza che ci avvicineremo di più gli uni agli altri come fratelli e sorelle. È questa la nostra speranza non solo per la Chiesa cattolica, ma anche per tutti i nostri fratelli e sorelle battezzati. La gente parla di un “inverno ecumenico”. Noi speriamo in una primavera ecumenica.

Ci riuniamo anche nella speranza per l’umanità. Il futuro sembra buio. La catastrofe ecologica minaccia di distruggere la nostra casa. Quest’estate incendi e inondazioni hanno divorato il mondo. Piccole isole iniziano a scomparire sotto il mare. Milioni di persone sono per strada, in fuga da povertà e violenza. Centinaia di persone sono affogate nel Mediterraneo, non lontano da qui.

Molti genitori si rifiutano di far nascere bambini in un mondo che appare condannato. In Cina, i giovani indossano magliette con la scritta “siamo l’ultima generazione”. Riuniamoci nella speranza per l’umanità, specialmente nella speranza per i giovani. […]

Sperare contro ogni speranza
Ci riuniamo dunque nella speranza per la Chiesa e per l’umanità. Ma sta qui la difficoltà: abbiamo speranze contraddittorie! Come possiamo dunque sperare insieme? In questo siamo proprio come i discepoli.

La madre di Giacomo e Giovanni sperava che i figli sedessero alla sinistra e alla destra del Signore in gloria e quindi togliessero il posto a Pietro; c’è rivalità anche nella cerchia più ristretta degli amici di Gesù. Giuda probabilmente sperava in una ribellione che avrebbe cacciato i romani. Alcuni di loro forse speravano semplicemente di non essere uccisi. Ma continuano a camminare insieme. Quale speranza condivisa possiamo avere noi?

All’Ultima Cena hanno ricevuto una speranza che va oltre a tutto ciò che avrebbero potuto immaginare: il corpo di Cristo e il suo sangue, la nuova alleanza, la vita eterna. Alla luce di questa speranza eucaristica, tutte le loro speranze contrastanti devono essere sembrate nulle, tranne che per Giuda, che si disperava. È questo che san Paolo ha definito “sperare contro ogni speranza” (cfr. Romani 4, 18), la speranza che trascende ogni nostra speranza.

Una speranza eucaristica
Anche noi siamo riuniti come i discepoli all’Ultima Cena, non come camera di dibattito politica in gara per vincere. La nostra speranza è eucaristica. […] Durante l’Ultima Cena sembrava non esserci futuro. In apparenza non si prospettava altro che fallimento, sofferenza e morte. E in quel momento più buio, Gesù ha fatto il gesto più ricco di speranza nella storia del mondo: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi. Questo è il mio sangue, versato per voi”. È questa la speranza che ci chiama al di là di qualsiasi divisione.

Uno dei miei fratelli nell’est dell’Ucraina si è recato a dire messa per alcune sorelle che stavano traslocando. Tutto era impacchettato. Come patena non potevano offrire altro che un piatto di plastica rosso. Egli ha scritto: “È così che Dio ci ha mostrato di essere con noi. ‘Sei seduto in una cantina, tra l’umidità e la muffa, ma io sono con te – sul piattino di plastica rosso da bambino e non su una patena d’oro’”.

È questa la speranza eucaristica del presente cammino sinodale. Il Signore è con noi.

La speranza dell’Eucaristia riguarda ciò che va oltre la nostra immaginazione, il libro dell’Apocalisse: “Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: ‘La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello’” (Apocalisse 7, 9s.). È questa la speranza che i discepoli hanno intravisto sul monte nel Signore Trasfigurato. Fa sembrare il conflitto tra le nostre speranze poco importante, quasi assurdo. Se davvero siamo in cammino verso il Regno, è realmente importante se vi allineate con i cosiddetti tradizionalisti o progressisti? Anche le differenze tra Domenicani e Gesuiti diventano insignificanti! Quindi ascoltiamolo, scendiamo dal monte e continuiamo a camminare con fiducia. I doni più grandi giungeranno da coloro con cui saremo in disaccordo se avremo il coraggio di ascoltarli.

Ma concluderemo qualcosa?
Nel corso del nostro cammino sinodale forse ci domanderemo se stiamo concludendo qualcosa. I media probabilmente decideranno che è stato solo una perdita di tempo, solo parole. Guarderanno se vengono prese decisioni audaci su quattro o cinque temi scottanti.

Ma i discepoli di quel primo sinodo, camminando verso Gerusalemme, sembravano non concludere nulla. Cercarono perfino di impedire che il cieco Bartimeo venisse guarito. Apparivano inutili.

Quando le grandi moltitudini affamate si riuniscono attorno a Gesù, i discepoli domandano al Signore “E come si potrebbe sfamarli di pane qui, in un deserto?”. Gesù chiede loro quello che hanno, appena sette pani e pochi pesci (cfr. Marco 8, 1-10). È più che abbastanza. Se in questo sinodo daremo con generosità ciò che abbiamo, sarà più che sufficiente. Il Signore della messe provvederà. […]

Noi compiamo piccole azioni e lasciamo che il Signore della messe dia loro il frutto che lui desidera. Oggi siamo qui riuniti nella festa di santa Teresa di Lisieux. Nata 150 anni fa, ci invita a seguire la sua “piccola via” che conduce al Regno. Ha detto “Ricordate che nulla è banale agli occhi di Dio”.

Ad Auschwitz l’ebreo italiano Primo Levi ogni giorno riceveva un tozzo di pane da Lorenzo. Scrisse: “io credo che proprio a Lorenzo debbo di essere vivo oggi; ne non tanto per il suo aiuto materiale, quanto per avermi costantemente rammentato, con la sua presenza, con il suo modo così piano e facile di essere buono, che ancora esisteva un mondo giusto al di fuori del nostro, qualcosa e qualcuno di ancora puro e intero, di non corrotto e non selvaggio […]; qualcosa di assai mal definibile, una remota possibilità di bene, per cui tuttavia metteva conto di conservarsi […]. Grazie a Lorenzo mi è accaduto di non dimenticare di essere io stesso un uomo”[2]. Quella piccola porzione di pane ha salvato la sua anima. […]

Durante questo sinodo, condividiamo non solo le nostre parole e convinzioni, ma anche noi stessi, con generosità eucaristica. Se apriremo i nostri cuori gli uni agli altri, accadranno cose meravigliose. I discepoli raccolgono tutti i pezzi di pane e di pesce rimasti dopo avere dato da mangiare a cinquemila persone. Nulla va perduto.

Ascoltarsi per capire dove andare
Un ultimo punto. Pietro cerca di impedire a Gesù di andare a Gerusalemme perché per lui non ha senso. È assurdo andarvi per essere ucciso. La disperazione non è pessimismo, bensì il terrore che nulla abbia più senso. E la speranza non è ottimismo, bensì la fiducia che tutto ciò che viviamo, tutta la nostra confusione e il nostro dolore, in qualche modo verranno visti come aventi un senso. Abbiamo fiducia, come dice san Paolo: “Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (1 Corinzi 13, 12).

La violenza insensata distrugge ogni significato e uccide la nostra anima. […]

Spero che in questo sinodo non ci sarà violenza! Però probabilmente ci domanderemo spesso qual è il senso di tutto questo; tuttavia se ascolteremo Lui e ci ascolteremo gli uni gli altri, finiremo col comprendere la via per andare avanti. È questa la nostra testimonianza cristiana in un mondo che spesso ha perso fiducia nel fatto che la vita umana ha un significato.

Il Macbeth di Shakespeare afferma che la vita non è altro che un “racconto fatto da un idiota, pieno di grida e furia, che non significa niente”[3]. Ma pregando e riflettendo insieme sulle grandi questioni che la Chiesa e il mondo devono affrontare, offriamo testimonianza della nostra speranza nel Signore che dà senso a ogni vita umana. […]

Quindi, fratelli e sorelle, possiamo essere divisi da speranze diverse. Ma se ascolteremo il Signore e se ci ascolteremo gli uni gli altri, cercando di capire la sua volontà per la Chiesa e il mondo, saremo uniti in una speranza che trascende i nostri disaccordi e verremo toccati da colui che sant’Agostino ha definito quella “bellezza così antica e così nuova […] Ti ho gustato, e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato, e ora ardo dal desiderio della tua pace”[4].

Timothy Radcliffe

[1] Franklin D. Roosevelt.
[2] Survival in Auschwitz, “The Tablet”, 21 gennaio 2006.
[3] Macbeth, atto V scena V.
[4] Confessioni, lib. VII, lettura del Breviario per la sua festa.

[Pubblicato il 2.12.2023]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: www.agensir.it ]

2 Commenti su “DAL SINODO DEI VESCOVI
NON ABBIATE PAURA”

  1. Il dire pacato di Padre Timothy Radcliffe giunge di per sé comunionale,
    come pure dritto al pensiero e al cuore il suo afflato.
    Le cose dette possono non essere nuove, ma tali le rende il vivo desiderio di tornare a sentirle indispensabili e quindi con-dividerle. Rendendole desiderio di ri-acquisizione e quindi di rinnovata con-divisione. Grazie

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati

INTELLIGENZA ARTIFICIALE
STRUMENTO AFFASCINANTE E TREMENDO

LE DONNE DIACONO: UN SEGNO DEI TEMPI

ALBERTO SIMONI
DELL’ORDINE DEI PREDICATORI
FONDATORE E ANIMA DI “KOINONIA”

ARENA 2024
PER USCIRE DAL SISTEMA DI GUERRA

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie tecnici da parte nostra. [ info ]

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi