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GIACOMO LERCARO
Vescovo dei poveri, uomo di pace

Un altro libro della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna che i curatori hanno giustamente voluto introdotto da una ben documentata bibliografia di Nicla Buonasorte:
Giacomo Lercaro entra in diocesi a Bologna nel 1952 e, nonostante la pregnanza del suo nome e dei tempi in cui visse, siamo in un passato orami lontano. I saggi di importanti studiosi, docenti dell’Alma mater o della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna, sono invece modernissimi per il taglio: proprio trattandosi di cose lontane, i documenti parlano più liberamente e il giudizio mantiene l’interesse sulle conseguenze, che si proiettano all’oggi.
La pubblicazione nasce, tra l’altro, secondo un originario desideratum dello stesso Lercaro, riproposto qualche anno fa dal card. Zuppi, una ricerca, “bolognese” come divenne Giacomo Lercaro a cui l’Amministrazione Comunale (a maggioranza comunista) diede la cittadinanza onoraria nel 1966. Tempi e situazioni politico/ideologiche e cattolico/teologiche che vengono opportunamente rievocate dagli autori che, laicamente e con acribia, parlano di storia, certamente lontana. Storia di una città con tutte le sue peculiarità, che diffidò di un vescovo arrivato con le idee della vecchia chiesa dogmatica e, come dice Dainese “monarchica”, una chiesa tutt’altro che scomparsa, che non tollerava da parte di un tribunale italiano la condanna del vescovo di Prato che aveva verbalmente offeso la dignità del matrimonio civile: Lercaro aveva fatto parare a lutto la cattedrale.
Tuttavia, soprattutto l’incontro con il giovane Giuseppe Dossetti che stava anticipando le idee di una chiesa non più in lotta con il mondo che uscirà dal Vaticano II contribuì alla conversione. Parallela la trasformazione di “Bologna la rossa” che si schiodava dal pregiudizio anticlericale restando rossa ma ormai dialogante con la chiesa di Giovanni XXIII. D’altra parte il comunismo bolognese era sempre stato devoto alla madonna di san Luca.
Di queste dinamiche, con ampiezza di riferimenti sia sul versante religioso che su quello politico, si fa interprete un bel saggio di Umberto Mazzone, storico e testimone politico. Giuseppe Battelli è entrato nel cuore degli interessi sociali e lavorativi di Lercaro e della sua chiesa, democristianamente (anche se non si chiama molto in causa il partito di governo) anticomunista e nostalgica dei tempi di Pio XII. In fondo era ovvio che il primo Lercaro fosse desideroso di una rivincita cattolica, un’ambiguità ideologica che lo indusse a volere la candidatura a sindaco di Bologna di Dossetti, una mossa destinata a sicura sconfitta. La delusione si attenuò mano a mano che si veniva preparando la mentalità preconciliare di molti teologi (ma era anche vicino il “sessantotto” e arrivò la partecipazione al Concilio, mentre tornarono i problemi della riforma della diocesi, in gran parte resistente alle innovazioni (con conseguenze ancor oggi perduranti).
L’analisi di Giovanni Turbanti ha affrontato proprio il tentativo di aggiornare la diocesi secondo le indicazioni del Concilio, per realizzarne non tanto le normative, ma lo spirito, secondo un lavoro di numerosi gruppi coordinati da Dossetti, per rinnovare la vita ecclesiale, purtroppo senza che il clero diocesano, abituato a “istituti e consuetudini che non costituivano l’essenza della chiesa”, non seguì. Se la prospettiva pastorale delle parrocchie era “limitata a una funzione di presidio delle istituzioni, di controversia apologetica, di eloquenza propagandistica e celebrativo, di devozionalismo pietistico, lontano dai veri centri generatori della vita e della coscienza ecclesiale”, Lercaro non potè portare fino in fondo le innovazioni che richiedevano continuità di esperienze coraggiose.
Non hanno fatto tradizione la pratica dei “piccoli sinodi” come metodo da “estendersi a macchia d’olio” e nemmeno è cresciuta quella nuova liturgia che, pur essendo maturato nella gente il gusto di capire “le ragioni, il senso e la bellezza dei sacri riti”, impedisse al popolo di Dio di diventare “inerte e muto spettatore”, secondo la rievocazione di Maurizio Tagliaferri. Quella liturgica era stata la grande passione di Lercaro, insieme con la ricerca effettiva della pace, che – era in corso la guerra del Vietnam – coinvolgeva nel conflitto nord/sud anche le responsabilità cattoliche in riferimento alle altre chiese cristiane (in particolare i patriarcati orientali, nell’indagine di Enrico Morini, o l’ebraismo secondo il prezioso saggio ampiamente argomentato di Gian Domenico Cova, tematiche non di minor peso che si ritrovano, nell’attualizzazione di Fabrizio Mandreoli, nell’amplissima agenda di papa Francesco) che gli costò la fine dell’esperienza di pastore attento ai “segni” del futuro.

Giancarla Codrignani

Davide Dainese – Umberto Mazzone (a cura di), Giacomo Lercaro, Il Mulino, Bologna 2021, pp. 304

 

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