GUARDARE ALLE RADICI DELLE DIFFERENZE
PER SUPERARE I CONFLITTI
Italo De Sandre
Stiamo leggendo con interesse quello che viene detto e scritto su chiesa cattolica e pandemia, sull’avvio non facile del sinodo italiano, su ciò che di recente ha detto anche il convegno dei teologi italiani sul rapporto tra teologia e ‘pubblico’ (che riguarda la vita di tutti) per imparare e non solo insegnare.
Avere occhi e non voler vedere?
Riflessioni su problemi importanti, su cui esistono differenze di opinioni anche numericamente consistenti, registrate in alcune indagini sulla chiesa e sulla religiosità.
Si verificano contraddizioni, si parla di frammentazione identitaria, ma è evidente che di fronte a ciò non è sufficiente riconoscere – quasi con amara sorpresa – che ci sono separazioni tra opzioni di fede ed opzioni politiche. Si dovrebbe prendere atto piuttosto che si fanno pochi passi per cercare le radici delle opinioni e delle azioni così evidentemente diverse e diversamente amplificate sui più diversi canali di comunicazione.
Non si può concepire un cammino sinodale senza il coraggio ed anche la serietà e serenità di dare un nome alle radici di quelle differenze non per accusare ma per capire, per esplorare a più voci, da punti di vista diversi ma argomentati, una società e una chiesa cambiate anche là dove si sono bloccate. Avere occhi e non vedere potrebbe essere non voler vedere?
Per aprire una piccola finestra vorrei proporre alcune piste di osservazione e comprensione della realtà sociale prendendo spunto da ricerche non socio-religiose di alcuni anni fa che – con obbiettivi culturali ed economici – cercavano di capire periodicamente i ‘bacini valoriali’, le ‘aree socioculturali’ attive nella nostra società, come campi complessi di valori e di scelte nella vita personale e sociale in cui tutto è intrecciato: emozioni e ragioni, barriere e ponti. Le culture, le sub-culture interne anche alla nostra società, sono costruite da rappresentazioni sociali, modi di pensare e di credere, che si trasformano nel corso delle vite individuali e collettive, con radici e frutti su cui non sempre le persone riflettono.
Chiusure versus Aperture
Quelle ricerche hanno fatto notare che dal fondo dei diversi orientamenti di scelta emergevano soprattutto due fattori che spiegavano bene molta parte delle diversità rilevate. La prima polarità risultava – e a mio avviso ancora è – basata sul legame più o meno esplicito con le tradizioni, le istituzioni esistenti, i modi di pensare vigenti, con una tendenziale diffidenza verso il nuovo e il diverso, o all’opposto dal rifiuto delle tradizioni, dal desiderio di cambiare i modi di pensare e le regole, magari eliminandole, dall’apprezzamento della (post)modernità, contraddittoria ma aperta, con tutto quello che le tecnologie e le conoscenze e fantasie consentono anche agli individui di immaginare e fare. L’altra importante polarità, che incrocia e si intreccia con la precedente, fa emergere un’altra forza potente: l’orientamento che da un lato è legato al ‘mio’, al privato, ai propri interessi, al qui, e dall’altro è invece proiettato sul sociale, sul pubblico, sull’altrove, sull’ambiente, su radici e valori universali.
La validità di queste dimensioni etiche diventa ancora più rilevante se vi accostiamo anche le credenze e le scelte religiose, che fanno parte della cultura, non sono ‘altro’. Le tradizioni culturali oggi sono spesso fondate su rituali religiosi ma senza più conservarne il senso originario e creativo, diventate forme socialmente identitarie con un diverso o nullo senso di fede; al contrario il rifiuto di tali tradizioni ed istituzioni può non voler dire affatto un rifiuto della fede ma il desiderio di trasformarne radici e linguaggio.
Così l’orientamento al ‘mio’, nel clima attuale di compresenza di religioni diverse, porta molti – in Italia ma in tutto il mondo – a sentire che la verità in cui credono è soltanto la propria, a suo modo intoccabile, con dei dettami e dei confini precisi, in cui o si è dentro o si è fuori. Al polo opposto vi è invece chi pensa che la verità non è chiusa, non è ‘mia’, ma aperta a tutti, che non è rappresentata da una dottrina definita una volta per tutte ma va condivisa e trasmessa traducendola nella storia che cambia.
Il cambiamento degli stili comunicativi
Tutto questo diventa ancora più complesso se si tiene conto di due cambiamenti, entrambi enormemente rilevanti dal punto di vista comunicativo (e quindi anche relazionale): in campo culturale la diffusione rapida anche se disuguale delle tecnologie digitali, da relativamente poco tempo a disposizione di qualsiasi individuo e gruppo, laico e religioso, che voglia dire la ‘sua’ verità e cercare consensi in forme semplici; in campo religioso cattolico il cambio di stile al vertice della chiesa, tra Papa Ratzinger e Papa Bergoglio (che chiamo per nome perché sono pur sempre persone, e non solo ruoli), tra un’elaborazione dottrinale alta recepita come definitoria e un’apertura legata piuttosto al ‘vangelo della misericordia’ espressa con linguaggio corrente per chi è dentro e soprattutto a chi è fuori della chiesa.
Se queste dimensioni possono aiutare a distinguere a grandi linee le traiettorie dei soggetti e dei gruppi nelle realtà non più così liquide come sembravano negli ultimi anni ma con durezze e rotture sempre più evidenti (anche nella chiesa), possiamo comprendere meglio come si collocano i diversi comportamenti nell‘incrocio tra queste polarità, abbozzando alcune aree culturali e religiose.
Tra tradizione e modernità
• Le spinte al privato unite al legame con le tradizioni portano a comportamenti ed opinioni che scelgono la famiglia tradizionale, il localismo, un etnocentrismo che teme gli estranei anche se magari li utilizza per lavori di poco valore, un senso dell’economia come ‘industria’, lavoro sodo, e contemporaneamente una religiosità animata da un attaccamento alle pratiche e credenze popolari, che danno sicurezza, contro l’insicurezza della società che volente o nolente è costretta ad aprirsi. E l’uso delle nuove tecnologie consente iniziative ad es. di siti web che sostengono con forza tali tradizioni.
Nella chiesa ci sono chierici anche di alto livello e laici che sentono necessaria tale difesa perché temono le aperture, molte delle quali vengono soprattutto dal Papa, come ci sono volontari disposti a fare del bene in parrocchia a singoli immigrati ma mantenendo la propria ostilità verso le altre religioni e culture.
• Il legame con le tradizioni e le istituzioni unito ad un diverso senso della verità ‘per tutti’ porta comprensibilmente ad altre scelte: disponibilità a cambiare alcune regole sociali anche nei ruoli di genere, importanza del welfare e di un volontariato impegnato, un senso critico verso il consumismo, una valorizzazione della natura e dell’ambiente, un’attenzione alla persona ed alla spiritualità che in termini religiosi vuole un rapporto più diretto con le Scritture come fonti della fede, una partecipazione più forte di laiche e laici nella vita quotidiana delle chiese.
• Il senso aperto dei valori sociali ed anche delle radici della fede unito però alla volontà di cambiare regole e idee apre al cosmopolitismo, al multiculturalismo attivo, ad essere sensibili ad una ecologia concreta, a voler rivedere il senso e le regole dei generi, ad essere diversamente secolarizzati, ridimensionando o rifiutando il ruolo delle gerarchie religiose e il senso degli obblighi tradizionali. Queste spinte hanno già portato a pensare un post-teismo e post-cristianesimo.
• Infine, l’apertura al nuovo e al moderno, il senso di un individuo libero, cosmopolita e sostanzialmente allergico alle regole e alle tradizioni, quando si unisce alla centralità degli interessi privati, al prevalere del ‘mio’, si esprime nel liberismo pratico, in scelte consumistiche, nella ricerca anche dell’apparenza, ed in alcuni non è estraneo a legami religiosi pubblici, gesti di beneficienza, rispetto esteriore per la chiesa come tutrice sociale della morale. E a suo modo dagli anni ’90 la chiesa italiana con il suo ‘progetto culturale’ ed i ‘principi non negoziabili’ ha cercato di diventare il dominus etico pubblico di questa quarta area e della prima, quella legata alle tradizioni cattoliche ed ostile alle altre culture e religioni (come ha suggerito in senso critico anche Fulvio De Giorgi nel recente incontro on line dei Viandanti del 9.11.21).
Un cammino per affrontare e gestire i conflitti
Queste prime riflessioni sulle differenze anche radicali tra aree culturali, etiche, religiose, intendono solo aiutare a ‘vedere’ alcune radici e alcuni frutti di vite quotidiane molto diverse nella società e nella chiesa.
Certamente ci sono strumenti migliori per cogliere con trasparenza e rispetto le implicazioni di tali differenze reali, che implicano differenze anche dei punti di vista. Altrimenti la chiesa cattolica italiana in cammino resterà un campo complesso in cui difficilmente si riuscirà poi a dialogare, perché si procederà per pregiudizi, gli ‘altri’ ridotti a stereotipi, in un’epoca in cui la stima e la fiducia sono risorse scarse.
Nella chiesa, nelle chiese locali, si evitano questi discorsi perché non si vogliono né cultural wars all’americana né conflitti da affrontare? Ci si limiterà a separare persone e pensieri cercando di accontentare in qualche modo le diverse cerchie etiche e religiose?
Italo De Sandre
Già docente di ‘sociologia’ all’Università e di ‘sociologia e religione’ all’Istituto di liturgia pastorale e alla Facoltà teologica in Padova
[pubblicato il 21 novembre 2021]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: travelonart.com]
Nell’articolo di Italo De Sandre si parla di “frammentazione identitaria” che porta ad una sorta di diaspora tra mille opzioni di vita. Se nel sinodo italiano si riconoscerà questo dato come un dato di larga comprensione allora si potranno cercare le cause che sottostanno abbandonando da tutte le parti l’idea di condannare “quelli che la pensano diversamente da me” . Allora si potranno cercare le strade comuni che diano alla comunità cristiana il senso di “esserci” in una comunità civile più vasta che si costruisce da “mille strade diverse”. In questo quadro di riferimento si colloca il dover affrontare il problema delle cause dell’allontanamento dalla fede religiosa dei giovani. Il lavoro è molto impegnativo . Il sinodo deve diventare un cammino verso il recupero della possibilità di parlare di Dio al mondo intero.