I “MINISTERI FEMMINILI”
UNA PICCOLA RIVOLUZIONE?
Giorgio Campanini
Non ha suscitato particolare interesse nel “mondo cattolico”, e nemmeno da parte di quella cultura laica che segue attentamente la vita della Chiesa, qualche volta in positivo (per i fermenti di novità che la Chiesa esprime) e talvolta in negativo (per i presunti ritardi nell’affrontare l’una o l’altra questione). Eppure il Motu proprio (Spiritus domini) di Papa Francesco, che estende alla componente femminile la possibilità di accedere ai “ministeri” dell’accolitato e del lettorato, ha una portata per certi aspetti “rivoluzionaria”: per la prima volta nella Chiesa post-tridentina vi sono due “ministeri istituiti” aperti anche alle donne.
La questione dei ministeri femminili si è posta con forza, in Occidente, quasi soltanto dopo il Concilio Vaticano II, in stretta relazione con il movimento mondiale di “emancipazione” della donna e con la progressiva, impetuosa ed irresistibile “ascesa” che ha portato al voto le donne, alla “parità di genere”, al riconoscimento di una serie di diritti a lungo negati: a tal punto da far considerare la permanente esclusione, nella Chiesa cattolica, dall’Ordine sacro una sorta di “scandalo” e di inammissibile discriminazione.
E’ su questo sfondo che, a partire dal citato Motu proprio, mette conto di svolgere alcune essenziali notazioni, lasciando agli specialisti la riflessione sul senso di questa prima “apertura” ai ministeri femminili, sulla sua portata e sulle sue conseguenze di lungo periodo.
Uno sguardo alla storia
Per inquadrare questo gesto “rivoluzionario” di Papa Francese è necessario riprendere, sia pur e soltanto a grandi linee, la storia della Chiesa. Non vi è dubbio che sino dagli inizi il presbiterato, e poi l’episcopato ed ogni altra importante carica, siano stati riservati ai soli uomini: a partire dalla constatazione che tutti gli apostoli (i più diretti e autorevoli collaboratori del Signore) erano uomini.
Ciò non ha mai significato nella Chiesa, l’emarginazione delle donne – che già negli scritti del Nuovo Testamento sono riconosciute come cristiane a tutti gli effetti e come preziose ascoltatrici della Parola e collaboratrici attive e competenti del ministero degli apostoli. Ma mentre gli uomini di Chiesa hanno potuto ricevere un vero e proprio “ministero”, le donne hanno avuto nella Chiesa altri ruoli e responsabilità: basti per questo pensare – al di là di figure evangeliche ben definite come Maria, Marta, Maddalena e così via – all’importanza che nella vita della Chiesa hanno avuto i monasteri femminili e le donne insigni che, da Ildegarda di Bingen a Teresa d’Avila, da Teresa di Calcutta, a Edith Stein – hanno avuto nella vita della Chiesa rilevanza non minore di quella dei vescovi e dei presbiteri (di uomini).
Rimane il fatto che, almeno dopo il Concilio di Trento, la “ministerialità” in senso proprio (diaconato, presbiterato, episcopato, pontificato) è stata sempre declinata al maschile; e tuttavia è legittima la domanda in ordine alla possibilità di declinare in modo diverso la “ministerialità” femminile, tradizionalmente declinata attraverso il servizio, ma senza una specifica forma di riconoscimento. Una ministerialità di fatto, dunque, quella femminile, non di diritto: restando aperto tuttavia il problema del diaconato femminile, praticato nella Chiesa, soprattutto in quelle dell’Oriente, sicuramente fino al VII secolo. Nei successivi secoli, invece, la ministerialità in senso proprio è stata declinata soltanto al maschile, almeno nella Chiesa cattolica.
Quale ministerialità femminile?
Restando aperto, almeno per ora, il ripristino del diaconato femminile (in ripresa di un’antica tradizione), sino al citato Motu proprio di Papa Francesco, nessun “ministero” poteva essere, sempre nella Chiesa cattolica, conferito alle donne. D’ora in poi non è più così: le donne potranno essere soggetto di due ministeri laicali sino ad oggi loro preclusi: solo “formalmente”, in verità, perché già da molti decenni vi sono donne lettrici della parola e catechiste, con riconoscimento solo di fatto che è diventato di diritto d’ora in poi le donne possono essere titolari di due ministeri, alla pari con gli uomini.
Si tratta soltanto di un riconoscimento di fatto (da decenni vi sono donne lettrici della Parola e catechiste) invece di un importante passo in direzione di un più largo accesso femminile alla ministerialità? Sarà la storia a dare una risposta a questo interrogativo, ma fin da ora alcune notazioni si impongono.
La prima fa riferimento al dato che, dopo questa “apertura” – occorrerà operare un salto di qualità nell’esercizio dei ministeri prima ricordati: lettrici della Parola ben preparate, buone conoscitrici della Parola, apprezzate in vista di una dizione puntuale ed udibile o, in altro ambito, seriamente preparate a svolgere l’importante ruolo di catechista (ma il discorso, ovviamente, vale anche per gli uomini, non sempre competenti e preparati, che fungono da lettori e da accoliti, ma spesso solo di fatto, senza una formale investitura).
Si impone, dunque, al riguardo un più forte impegno di formazione (tanto degli uomini a suo tempo frequentatori nelle varie scuole diocesane quanto delle donne ora ammesse all’itinerario, che porterà al conferimento dell’uno e dell’altro ministero).
Oltre il dilettantismo
L’apertura dei due citati ministeri alle donne potrà avere un effetto benefico in ordine ai criteri di formazione di queste due specifiche ministerialità: non più l’incarico dato a “persone di buona volontà”, a volonterosi catechiste e catechisti (le prima in numero di gran lunga maggiore), ma la frequenza a momenti di riflessione e di incontro preparati dalle chiese locali e da ritenere “conditio sine qua non” per l’esercizio dell’uno o dell’altro ministero. La cultura teologica e la conoscenza della Bibbia dovrebbero rappresentare la condizione necessaria – come del resto già avveniva per gli uomini – per l’ammissione anche delle donne ai due già ricordati ministeri.
Ciò impone – a partire da un franco e schietto riconoscimento di alcuni limiti fin qui registrati in ordine alla preparazione dei lettori e dei catechisti – un serio lavoro formativo, che sarà comunque prezioso in vista della stessa pastorale. Oggi, in presenza di forti riduzioni delle presenze presbiterali, si deve riconoscere che nessuna comunità cristiana potrà svolgere la sua opera evangelizzatrice se non potrà fare riferimento anche ad altri soggetti: talché è ipotizzabile – e, sia pure in tempi non brevi, realizzabile – una comunità in cui accanto ai presbiteri e ai diaconi vi siano accoliti e lettori (in quest’ultimo caso anche donne) disponibili a giocare parte della loro vita a servizio del Regno: e non semplicemente uomini e donne “di buona volontà”, ma cristiano adeguatamente formati e generosamente disponibili a porsi a servizio della Chiesa.
Un primo passo?
Vi è chi considera questa nuova forma di ministerialità solo un primo passo sul cammino del pieno inserimento della donna nella ministerialità della Chiesa. Ma – senza dimenticare che vi è una sorta di “ministerialità diffusa” da sempre praticata di appassionate e componenti femminili – non vi è dubbio che alcuni problemi da tempo posti all’ordine del giorno debbano essere ora affrontati con maggiore decisione. Si fa riferimento qui, in particolare, alle questioni oggetto di studio da parte di ben due commissioni sul diaconato insediate da Papa Francesco (si trattò di una delle prime decisioni del suo pontificato) e le cui risultanze ufficiali a quanto ci risulta ancora attendono di essere rese note: con il rischio che la soluzione della questione sia rinviata sine die.
Per quanto possa valere l’opinione di un semplice laico, una via di soluzione potrebbe essere rappresentata dal rinvio alle singole Conferenze episcopali nazionali, in via sperimentale, della decisione sul diaconato femminile e sui ministeri laicali. Assai diverse, infatti, sono le situazioni nel modo.
Perché dunque non consentire il passaggio – l’investitura ufficiale – da “ministeri di fatto” a “ministeri istituiti”, con corrispondenti, adeguati percorsi formativi (e, anche in questo caso, senza distinzione fra uomini e donne?).
In conclusione su questo punto, parrebbe opportuno evitare la rigidità di un “Codice di diritto canonico” che è stato pensato e scritto soprattutto in riferimento all’Occidente cristiano e dare un’ampia delega alle Conferenze episcopali dei singoli Paesi per individuare le forme di ministerialità meglio corrispondenti alle esigenze di ogni specifico territorio. Riflessione, questa, che potrebbe valere anche per il diaconato (maschile e femminile), nel contesto di una Chiesa, da questo punto di vista, “polimorfa”, come era del resto quella antica, nella quale erano presenti variegate esperienze ministeriali, al maschile e al femminile.
Un’occasione da non perdere
Al di là delle prospettive di lungo periodo che il Motu proprio pontificio apre, non vi è dubbio che esso, mentre apre nuove prospettive al servizio laicale alla Chiesa, pone nello stesso tempo alle comunità locali un serio problema: quello della qualificazione culturale, e pastorale, di tutti coloro, uomini e donne, che si pongono a vario titolo a servizio della Chiesa. Non si tratta di moltiplicare le “bardature”, ma di rendersi conto che è ormai conclusa, probabilmente per sempre, la stagione del presbitero-tutto fare, senza il quale nulla può essere realizzato; e si apre la stagione dell’ autentica polifonia della ministerialità, al maschile e al femminile: ciò che imporrà un necessario impegno formativo del laicato e una forte disponibilità del presbiterato al confronto, al dialogo all’impegno comune a servizio della Chiesa, da tutti amata e da tutti servita.
Giorgio Campanini
Sociologo e storico. Già docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Parma
[Pubblicato il 2 marzo 2021]
[L’immagine è ripresa dal sito “vatinannews.va”]
Stimatissimo professor Giorgio Campanini,
in merito alla sua affermazione “Non vi è dubbio che sino dagli inizi il presbiterato, e poi l’episcopato ed ogni altra importante carica, siano stati riservati ai soli uomini”, Le segnalo l’articolo di Teodora Tosatti “Ministeri femminili. Un’offerta di chiese alla Chiesa Universale” (in Rocca, n. 5, 1° marzo 2021), dove viene detto che “[…] nel maggio del 1973 la Santa Sede aveva creato una commissione incaricata di studiare «la missione della donna nella Chiesa e nella società». Poco tempo dopo, attraverso un memorandum, si affermava che: «Fin dall’inizio della ricerca, si deve escludere la possibilità dell’ordine sacro dato alle donne»: quale valore si può dare a uno studio che esclude in partenza uno dei possibili sbocchi? La Pontificia Commissione Biblica, nell’aprile del 1976, si è però pronunciata: il NT non esclude il ministero ordinato femminile e consentirlo non trasgredirebbe il piano di Dio. Ma il successivo documento vaticano non tenne conto di questo parere, che anzi non venne mai pubblicato in italiano ma soltanto in inglese e in versione ridotta; ciò comportò la protesta di alcuni degli estensori”.
La Tosatti, inoltre, sul ministero ordinato precisa: “Non bisogna dimenticare che Gesù non ‘ordinò’ nessuno nel senso odierno del termine, e gli studi specifici mostrano come le donne avessero, nelle comunità neotestamentarie, tutti quei ruoli da cui sarebbero nel tempo sorti gli attuali ministeri ordinati”.
Se è vero che la Tosatti, come rappresentante della Chiesa «vetero-cattolica» italiana, potrebbe essere considerata di parte, più recentemente, però, Romano Penna in “Un solo corpo. Laicità e sacerdozio nel cristianesimo delle origini”, Carocci editore, 2020, ci introduce “[…] alla presa d’atto di quale sia la novità e l’autentico DNA del fenomeno “cristiano”.
Molto interessanti, infatti, mi sono parse le conclusioni del paragrafo: “La struttura ministeriale della comunità secondo le lettere pastorali”, fra i testi del NT quelli più antichi, canonici, cioè normativi. Penna scrive: “Da quanto abbiamo visto sul fatto dei carismi e delle diakonìe nelle più antiche comunità ecclesiali si devono dedurre almeno tre conclusioni. L’una la pluralità delle forme ministeriali […] Il secondo risultato riguarda un ruolo ministeriale evidentemente svolto da varie donne […] L’ultima conclusione sta nel dover constatare che, in ogni caso, tutte queste forme ministeriali sono di stampo laico”.
Il tema delle “Donne nella Chiesa” non si risolve certamente grazie a poche citazioni o battute, come quelle a cui i “social” ci stanno sempre più abituando. E’ sempre importante “avviare processi”, ma altrettanto importante è giungere a delle conclusioni e decisioni, prima che sia troppo tardi, inquadrando sempre il tutto nella categoria fondamentale del “Popolo di Dio”, che fra l’altro include l’affermazione della “comune dignità e missione di tutti i battezzati/e”.
La biblista Rosanna Virgili in “Le Lettere di Paolo”, Ancora Editrice, 2020, nel capitolo “Le occasioni mancate. La presenza autorevole delle donne nella chiesa”, alle pagg. 1135-1136, così scrive: “Nell’ultimo capitolo della lettera ai Romani, il sedicesimo, vengono citate sette donne e ricordate per il loro impegno evangelico in rapporto alla comunità […] e solo cinque uomini […] Questi gruppi di donne come guida delle comunità rivelano la differenza dal “patriarcato” religioso, quello del tempio, oltre che da quello sociale e familiare, dove qualsiasi ruolo di autorità era inacessibile alle donne […]. Ma questi ruoli vennero ad essere perduti, purtroppo dalle donne, che – ancora oggi, nella chiesa cattolica! – non hanno l’autorità di fare l’omelia”.
La ringrazio per l’attenzione e La saluto cordialmente,
Lorenzo Brunelli
A me pare che non ci sia niente di rivoluzionario, infatti si tratta di lettrici e accolite. Basta entrare in chiesa alla messa domenicale per rendersi conto che le donne, quasi esclusivamente loro, sono le lettrici della parola, escluso il vangelo. inoltre, alle suore è già concesso di distribuire la comunione durante la messa e/o portarla agli ammalati nelle case. La vera rivoluzione, se si vuole continuare a usare questo termine – sarebbe meglio dire conversione – avverrà quando i ministeri ordinati non saranno conferiti in base al genere, ma al carisma e alla capacità di donne e uomini di servire le comunità cristiane . E’ giunto il tempo, credo, che anche la chiesa cattolica riconosca pari dignità alle persone, non essendoci ragioni teologiche e tanto meno sociali per riservare ai maschi i ministeri ordinati.
Un cordialissimo saluto!
Pierpaolo Loi
Ottima delucidazione del tuo pensiero che appoggio pienamente
Per la verità le chiese vedono, ormai, il popolo “delle” fedeli con qualche sparuta presenza maschile.
Grazie, Professore, per l’interessante approfondimento e per le prospettive indicate. Maria Teresa Porcile Santiso poneva la domanda di sapere dov’erano finite le donne al momento dell’istituzione dell’Eucarestia, tenuto conto che si trattava probabilmente della cena pasquale e che le donne avevano accompagnato Gesù al pari dei discepoli uomini fino a Gerusalemme… Qual è l’essenza della nostra fede e che cosa è affidato al coraggio creativo dello Spirito? L’assoluta gratuità del dono di Dio comporta che nulla abbia rilevanza in ordine alla salvezza, né la mascolinità né la femminilità: e quindi, penso, anche in ordine ai ministeri. Amo la chiesa com’è perché è mia madre e attendo con la pazienza di cui anch’io ho bisogno. Un cordiale, riconoscente saluto
Teresina Caffi