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IL GRANDE ERRORE:
IDENTIFICARE LA FEDE CON IL RITO

Paolo Cugini

 Aver identificato il rito con la fede: è questo il grande errore. Aver identificato il cammino di fede, che esige un cammino di conversione, un cambiamento di mentalità, con la partecipazione al rito: è stata questa la grande bestemmia che è stata prodotta e riprodotta nei secoli. Un tempo ci credevano tutti – ci ho creduto anch’io-, nel senso che tutti pensavano che fosse proprio così. Secoli e secoli di messe domenicali, hanno fatto credere che per andare in paradiso, che rappresenta un altro grande problema d’interpretazione, bisognava andare a messa la domenica e, il non andarci, significava cadere in peccato mortale e, di conseguenza, la necessità di confessarsi per non rischiare di aggiungere peccati su peccati. Anche perché a quel tempo, che in realtà è l’altro ieri, di preti ce n’erano a bizzeffe, per lo meno in Occidente, nel continente cristiano.

Il rapporto tra pastorale e abbondanza di preti
 I seminari erano pieni di bambini e di ragazzi, ed erano pieni perché ce li mandavano i genitori. Le numerose famiglie cattoliche regalavano volentieri alla chiesa un figlio maschio o una figlia al seminario o al convento. Il mondo era tutto cattolico ed avere in famiglia un prete o una suora era un onore e non una vergogna come ai nostri giorni.

Dicevo che c’erano tanti preti e, di conseguenza, era possibile un certo tipo di pastorale che poneva il prete al centro del discorso. La pastorale, infatti, nasce dalle esigenze del momento, dai problemi incontrati, dal contesto specifico. Non ci si deve meravigliare, dunque, se nel corso della storia le scelte pastorali cambiano e se in un lugo si agisce in modo differente da un altro.

C’è stato, dunque, un tempo in cui ci si poteva permettere il lusso d’inventare che, il non andare a messa, fosse un peccato mortale e che, per accedere nuovamente al banchetto eucaristico, fosse necessaria la confessione sacramentale, che non costava nulla, vista la quantità industriale dei preti a disposizione. Ce n’erano così tanti, ma così tanti che un giorno, negli anni ’50 del secolo scorso, un vescovo in visita ad un seminario del Nord Italia nella Regione dell’Emilia-Romagna, in quella città che rimane tra la Pilotta e la Ghirlandina, disse con tono sconsolato al rettore: “e dove li metteremo tutti questi futuri preti?”.

Ce n’erano così tanti di preti da far credere che davvero Gesù avesse inventato la chiesa al maschile, che davvero le donne servivano solo per lavare la biancheria dei preti e delle sacrestie, perché, come si diceva a quei tempi che, in realtà era ieri pomeriggio, è stata la donna a mangiare la mela e a darla poi all’uomo. Tutto un mondo, una cultura, una spiritualità, ma anche un’economia e, perché no, una pedagogia è stata costruita su questa abbondanza spaventosa – in tutti i sensi – di preti.

Un errore di valutazione
Quello che viene chiamato patriarcato ha fornito il substrato culturale per il diffondersi di pratiche ecclesiali, spacciate per oro colato dal Vangelo, mentre, in realtà, si trattava di scelte pastorali, anche se di pastorale in senso stretto c’era ben poco, perché si trattava d’imposizioni vere e proprie dettate dall’alto e, in altro, a quel tempo, c’erano loro: i preti. Si è fatto credere, e tutto un mondo ci ha creduto per secoli, che l’uomo fosse superiore e la donna inferiore e, per questo, solo gli uomini potevano entrare nei seminari e diventare preti.

Il problema, se così possiamo parlare, è che si è creduto che questa sovrabbondanza di preti fosse un dono della provvidenza. Poi si è scoperto che non era proprio così, che in diversi casi la provvidenza divina c’entrasse poco o nulla, anzi!

Questo errore di valutazione è stato il problema, l’inizio dei problemi. Si è chiaramente confuso la quantità con la qualità. Ne hanno sfornati così tanti, da non permettere alcun tipo di lettura differente. Tanti preti hanno voluto dire per secoli tante messe, a tutte le ore del giorno.

Tante messe, moltissime messe, sempre più messe ha fatto credere che il centro di tutto, il centro della religione cristiana fosse il rito e non il contenuto. Per questo per secoli si sono prodotte tantissime messe in cui la stragrande maggioranza dei fedeli partecipava senza capire assolutamente nulla. Del resto, non ce n’era bisogno di comprendere, perché chi portava in paradiso era la messa, il rito e non il contenuto, che avrebbe potuto provocare dei cambiamenti di comportamento o, addirittura, dei cambiamenti culturali.

Convertirsi al Vangelo
Eppure, il discorso di Gesù all’inizio del Vangelo era chiaro, anzi, chiarissimo, al punto da non dare adito ad alcun tipo di fraintendimento. e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15). Più chiaro di così! Non c’è nemmeno bisogno di chiamare un interprete, un esegeta: è tutto molto chiaro. Del resto, il Vangelo è scritto per le persone semplici ed è, quindi alla portata di tutti.

L’invito è all’accoglienza del Vangelo e alla disponibilità al cambiamento, per permettere allo Spirito del Signore di modellare la nostra umanità, per fare in modo che i tratti dell’umanità di Gesù, del suo modo di essere nel modo, del suo stile non-violento, della sua capacità di accogliere tutti e tutte senza escludere nessuno, siano riprodotti in noi.

È di questo che avevamo bisogno! È di questo che il modo aveva sete e continua ad averne! Certamente, lo si capisce bene che il rito è più facile, che una quantità di riti da ascoltare è più facile che essere disponibili a cambiare idea, a modificare il proprio modo di essere e di pensare. È più facile pensare e far credere che se tieni le manine in un certo modo e ti inginocchi in un altro Gesù è contento.

Più difficile è smettere di essere disonesto. Difficile è condividere quello che si ha con i più poveri. Difficile è rispondere all’arroganza del mondo con gesti di amore e comprensione. Spacciare il rito come una scorciatoia per il paradiso: è stata questa la grande furbata.

Una sintonia da scoprire
Se uno ci guarda dentro bene, però, se si osserva il rito da vicino ci si accorge quasi immediatamente che c’è della sintonia, dell’armonia, c’è del sincronismo tra rito e contenuto del Vangelo. Il centro della messa, infatti, contiene in sintesi lo stile della vita di Gesù: un corpo spezzato per tutti, un sangue sparso per amore, una vita donata in modo gratuito e disinteressato. Forse per questo che, ad un certo punto, qualcuno ha cominciato a dire: meno messe più messa! Che cosa voleva dire quel furbacchione?

Probabilmente che la religione fa male alla salute, che una vita religiosa fatta solo di precetti e di riti nuoce all’equilibrio esistenziale, perché ci porta a credere che possiamo controllare Dio, possiamo pretendere di aver il pass per il paradiso e, di conseguenza, rischiamo di entrare nella pericolosissima fase di delirio di onnipotenza.

Il Vangelo, invece, ci propone uno stile di vita in cui il rito è una parte del percorso, un ricordo di ciò che è stato e un invito per continuare il cammino insieme ai fratelli e alle sorelle.

Paolo Cugini
Presbitero, Docente di filosofia e teologia nella Facoltà Cattolica dell’Amazzonia (Manaus-Brasile)

[Pubblicato il 11.5.2024]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: matrice.it]

5 Commenti su “IL GRANDE ERRORE:
IDENTIFICARE LA FEDE CON IL RITO”

  1. Grazie Paolo Cugini del tuo articolo chiarificatore di un certo nostro momento storico della Chiesa dove tanti hanno lasciato il rito (S.Messa o Rosario) per un modo di vita più vicino alle realtà dei vicini familiari e non, compagni di viaggio.
    Il Vangelo è chiarissimo.
    Bisogna cambiare mentalità ed uscire dagli schemi del mainstream dettato dal Potere che ci governa e tornare anche ad un preciso ruolo politico.
    Saluti

  2. Un grazie a chi ha scritto l’articolo sull’errore secolare, l’equivoco risalta sempre di più e viene progressivamente accantonato dal divenire storico, ma non pochi si aggrappano ancora a quel modo di deviare il messaggio cristiano, che ha invece una vastità grande quanto il mondo e comprende tutti e tutte in qualsiasi condizione si trovino, fosse anche di sbaglio e di vita moralmente malata. Fuor di dubbio che c’è una parte di Chiesa che non intende lasciare il suo piccolo porticciolo, ma è fuor di dubbio che è una Chiesa destinata a finire,solo questione di tempo, per lasciare posto ad una comunità intrisa di fraternità evangelica , magari con numeri limitati, ma con vite risorte alla luce delle Parole di Gesù da applicare in ogni incontro umano con amici o persone ostili,credenti o meno. Non so se vedo giusto, ma credo che il futuro della Chiesa sarà entusiasmante , luminoso, gioioso e vedrà formarsi comunità molto mescolate,sorridenti, pacificate dall’amore praticato prima e dopo ogni rito e anche durante il rito… dove nessuno chiederà se sei o meno battezzato, comunicato e cresimato, se sei perfetto o imperfetto,ovvero come tutti…,se sei cattolico , cristiano e basta, islamico, buddista, non credente o agnostico,sposato o meno, in chiesa o altrove, se sei omosessuale, ma ti sarà chiesto sola una cosa e anche cortesemente. TI posso chiamare fratello e possiamo camminare insieme?

  3. Per chi come me (classe 1947) viene da scuole di suore (Figlie di Maria Ausiliatrice), di Gesuiti e infine di Salesiani fino alla maturità classica, e ancora sempre a contatto, pur con famiglia e lavoro, con il mondo clericale, l’editoriale di Don P. Cugini appare come una lucida e finalmente pragmatica conferma di ciò che nel corso degli anni, e adesso senza supponenza, si delineava nella mia mente e nel mio sentire di cattolico, anche pessimo testimone della mia fede. Un teologo cattolico e filosofo ha detto che la Chiesa dovrà prima definire una volta per tutte il problema della pedofilia al suo interno, poi potrà pensare ad un sano rinnovamento.
    La credibilità della Chiesa, pur con tutti gli sforzi di Papa Francesco, è andata scemando.
    Non è stato un caso che Papa Ratzinger si sia dimesso.
    Crisi morali, spirituali e gravi disastri economici hanno minato ciò che è il “primum movens” della Chiesa e dei suoi rappresentanti, preti e suore: la diffusione della Parola, come dice lo stesso Don Cugini.
    Grazie dell’attenzione

  4. Ho letto in questi giorni l’articolo di Don Paolo Cugini, o meglio di Paolo, dal titolo
    “IL GRANDE ERRORE”;
    e’ stata come una bomba che mi è scoppiata nel cuore, nella mente, nell’anima.

    Un articolo di una profondità profetica dirompente!
    A mio avviso, il punto di partenza per una vera nuova Messa, una vera nuova Chiesa, una vera nuova Fede.

    Rileggendo il suo articolo mi ha colpito un suo passo che mi ha davvero fatto capire cosa sia il Vangelo: “ il Vangelo in fondo è un semplice e gioioso libero invito a CAMBIARE e quindi a convertirsi”
    Ma come può essere credibile una Chiesa che non ha il coraggio di “cambiare”?
    Forse è proprio questa incoerenza della Chiesa che sta allontanando tanta gente da essa.
    Pensandoci bene Gesù è stato soprattutto il più grande comunicatore e colui che ha avuto il coraggio di voler CAMBIARE ogni cosa ed ogni singola persona.
    Se Gesù vivesse ai giorni d’oggi, probabilmente sarebbe un Repper, venuto con un barcone, per parlare a tossici, barboni, divorziati, gay, atei e a tutti i perdenti-diversi della nostra società.
    Ma cambiare vita (convertirsi) e’ davvero difficile, soprattutto per noi che stiamo bene…..meglio una messa ed un rosario in più….molto più facile!!!
    Carissimo Paolo,
    prega per noi perché nella vera fede troviamo il coraggio di cambiare (convertirci), come ci ha insegnato semplicemente Gesù attraverso il Vangelo
    Andrea Passerini

  5. Tutto molto vero, quanta strada ancora da percorrere per far luce su questo errore. Dobbiamo essere noi stessi il
    Cambiamento che vorremmo avvenisse consapevoli che siamo solo un seme.

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