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IL SACERDOZIO COMUNE DEI BATTEZZATI

Il sacerdozio dei fedeli, chiaramente fondato sulle Scritture, nel corso del tempo è stato pressoché dimenticato. E ciò a causa di una visione di Chiesa divisa in parti giustapposte, gerarchia e laicato, aggravata dalla preoccupazione di far prevalere la prima sul secondo, a difesa di strutture ecclesiastiche consolidate. A tale concezione si oppone Lutero. Egli afferma che tutti i credenti, in forza del Battesimo e della fede, sono tutti sacerdoti, partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. E nega che esista un sacerdozio gerarchico, fondato su un sacramento dell’Ordine, a suo giudizio non fondato biblicamente. Riconosce la legittimità dei pastori e del loro ministero, ma solo in quanto conferiti dalla comunità. A Lutero si oppone il Concilio di Trento, il quale esalta la funzione e la insostituibilità del sacerdozio ordinato, a detrimento di quello dei fedeli. Questo non viene negato, ma ridotto ad un valore metaforico. Ne consegue, per la chiesa cattolica, una dimenticanza del sacerdozio dei fedeli, durata più di tre secoli.

Esso tornerà in primo piano solo agli inizi del ‘900, soprattutto grazie al movimento liturgico (ma anche al rinnovamento teologico e alla ripresa degli studi biblici), le cui istanze sono accolte dallo stesso magistero pontificio. PioX, Pio XI e soprattutto Pio XII si soffermano su tre concetti. Anzitutto distinguono nettamente il sacerdozio dei fedeli da quello ministeriale o ordinato. In secondo luogo, riconoscono che i fedeli partecipano del sacerdozio di Cristo in virtù del Battesimo, che li fa sue membra. Questo fa sì che essi prendano parte attiva al sacrificio eucaristico, non più solo assistendovi ma offrendo direttamente, assieme al sacerdote, la vittima divina, ed unendovi l’oblazione della loro stessa esistenza, in sacrificio spirituale. Infine, ricordano che, a motivo della loro partecipazione al sacerdozio di Cristo, tutti i credenti sono resi atti a contribuire alle opere di apostolato, assieme ai loro preti e vescovi. Nell’insieme tuttavia il sacerdozio dei fedeli, così come risulta configurato dal magistero pontificio, ha un valore puramente metaforico.

Il secondo capitolo è interamente dedicato al movimento liturgico e teologico e, più esattamente, agli autori che hanno contribuito al loro sviluppo. La rassegna comprende sette autori: Beauduin, Thils, Dabin, Mersch, Cerfaux, De Ambroggi, Congar. Non essendo possibile illustrare, anche solo sommariamente, il contributo di ognuno d’essi, basterà ricordare alcuni tratti. In generale è abbastanza evidente che molti spunti costituiscono, se non la fonte, quanto meno degli stimoli per il magistero pontificio, appena evocato. Vi è poi un superamento della concezione metaforica del sacerdozio dei fedeli e l’abbandono progressivo della espressione “sacerdozio dei fedeli” (che sembra escludere i membri del sacerdozio ordinato) a vantaggio della dizione più corretta di “sacerdozio comune” (che sarà poi adottata dal Concilio). Sono da notare, inoltre, da una parte l’attenzione alla teologia del laicato (soprattutto ad opera di Congar) e, dall’altra parte, lo spazio dedicato alle fonti bibliche (cfr. i contributi di Cerfaux e di De Ambroggi). Cosa, quest’ultima, opportuna, considerando l’assenza, nel testo, di una sezione dedicata a tali fonti.

Giungiamo, così, al Concilio. La Costituzione sulla liturgia non tratta esplicitamente del sacerdozio comune dei fedeli, ma concepisce come soggetto delle celebrazioni liturgiche (e in primis del sacrificio eucaristico) tutta la chiesa, senza alcuna distinzione. Il documento fondamentale per il nostro tema è naturalmente la Lumen Gentium, la quale, come si è già notato, parla esplicitamente di sacerdozio comune. Comune a tutti i battezzati, anche qui senza distinzioni, i quali formano una comunità sacerdotale, un popolo sacerdotale. Unico vero sacerdote è Gesù Cristo. Il sacerdozio comune è partecipazione al sacerdozio di Cristo, in virtù del Battesimo. Esso si attua nella vita, offrendo a Dio l’intera esistenza, e nella liturgia, offrendo nella celebrazione eucaristica la vittima divina e se stessi, attraverso il ministero ordinato. Il sacerdozio ministeriale è un servizio al popolo di Dio, servizio finalizzato ad annunciare il Vangelo, presiedere l’eucarestia, rimettere i peccati, guidare la comunità. I due sacerdozi, ministeriale e comune, sono partecipazioni diverse all’unico sacerdozio di Cristo. Il primo appartiene all’ordine dei mezzi, il secondo a quello dei fini. Grazie al sacerdozio comune i laici, come tutti i credenti, partecipano alla vita e alla missione di Gesù e dunque al triplice munus di Cristo – sacerdotale, profetico e regale – ma lo esercitano secondo l’indole secolare, che è loro propria. Spetta dunque soprattutto ad essi (anche se non esclusivamente) il compito che incombe al cristianesimo nei confronti del mondo. Gli altri documenti conciliari ribadiscono questi concetti e ne sottolineano la fecondità in relazione, ad esempio, ai problemi del laicato, all’attività missionaria e all’ecumenismo.

Occupandosi poi del Magistero nella Chiesa postconciliare l’autrice si sofferma sul Codice di Diritto Canonico, sulla Cristifideles laici, sul Catechismo della chiesa cattolica e, più diffusamente, sul pensiero di Giovanni Paolo II. Il contenuto di questi testi costituisce una ripresa e illustrazione dell’insegnamento conciliare. Vi sono peraltro alcune accentuazioni, tra cui ne ricordiamo alcune. Anzitutto l’uguaglianza tra tutti i credenti (quali che siano le funzioni esercitate), derivante dal sacerdozio comune; poi la distinzione tra l’indole secolare, propria dei laici in quanto ricercano il regno di Dio trattando direttamente le cose secolari, e la dimensione secolare, propria di tutta la chiesa, in quanto immersa nel mondo e ad esso inviata; infine il diritto-dovere dei laici di manifestare ai sacri pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa.

Nelle “Prospettive teologiche” – argomento della terza parte – sono esaminati cinque autori: Dacquino, Feuillet, Vanhoye, Vanni, Bourgeois. Anche in loro il riferimento alle fonti bibliche è ampio e seguito in tutte le implicazioni. A parte questo, si impone, tra le altre cose, la valorizzazione dei sacrifici spirituali, in quanto includono l’oblazione di sé e la proclamazione delle opere di Dio, confluiscono nel sacrificio eucaristico, trasformano l’intera esistenza e si estendono alla testimonianza di vita e alla diffusione della fede e dell’amore. Hanno perciò una dimensione personale e una dimensione comunitaria. Apparentato ad essi e connesso alla partecipazione al triplice munus – sacerdotale, profetico e regale – è l’esercizio dei carismi, riconosciuti dai pastori e finalizzati al bene della chiesa e al sostegno della sua missione nel mondo. Con ciò vengono dischiusi il tema della corresponsabilità di tutti nella Chiesa e, almeno in prospettiva, anche se non affrontato direttamente ed esplicitamente nel volume, quello della sinodalità. A cui, peraltro, conduce anche lo stretto legame, teorizzato soprattutto da Vanni, tra sacerdozio comune e regno di Dio. Comuni a tutti gli autori sono il superamento della concezione metaforica del sacerdozio comune, la uguaglianza ch’esso istituisce tra tutti i battezzati e la sua differenza per essenza (non per grado) dal sacerdozio ordinato. Su questo punto e sulla relazione tra i due sacerdozi viene ribadito il principio secondo cui il sacerdozio ministeriale appartiene all’ordine dei mezzi, laddove quello comune appartiene all’ordine dei fini. Ma su ciò va segnalato soprattutto il contributo di Bourgeois il quale, dopo aver rivendicato il fondamento sacramentale (rispettivamente nei sacramenti dell’ordine e del battesimo) dei due sacerdozi, formula così la loro relazione: «Ciascuno dei due sacerdozi esprime, secondo le tre funzioni di significazione sopra descritte [il triplice munus], sia il Cristo autore della salvezza, ed è la sacramentalità del sacerdozio ministeriale – sia il Cristo compimento, ricapitolando in lui tutto ciò che è salvato per mezzo di lui, e questa è la sacra mentalità del sacerdozio battesimale».

Benché ormai datato (la prima edizione, seguita da due ristampe, è del 2007) questo studio, come riconosce nella Prefazione il Card. Vanhoye «presenta con ordine e chiarezza un insieme di dati importanti che aiutano a capire il problema e apprezzare i progressi compiuti”. Ed è a questo titolo che merita di essere segnalato.

Marco Bertè

Campagnoli L., Il sacerdozio comune dei battezzati. Bilancio storico e prospettive future
Edizioni ADP, Roma 2010, pp. 133

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