IL SINODO SILENZIATO
Franco Ferrari
Indubbiamente il sinodo che si è appena concluso e dedicato alla sinodalità (“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”) non è stato un sinodo facile. Pur essendo durato tre anni, dal 2021-2024, si è rivelato difficile da metabolizzare via via che il processo messo in atto (consultazione, assemblee continentali, prima e seconda sessione), faceva emergere – e confermare ai vari livelli – le questioni da affrontare. Già al termine della prima fase si era dovuto constare che un buon numero di vescovi e gran parte dei presbiteri non aveva risposto con convinzione e partecipazione a questo cammino sinodale.
Il digiuno dell’informazione
I lavori sinodali hanno però dovuto fare i conti anche con il problema dell’informazione. Si tratta di una questione che si è posta fin dal primo sinodo convocato da Francesco.
Fino ad allora oltre alle conferenze stampa quotidiane (briefing), venivano fornite alla stampa le sintesi degli interventi che i vescovi facevano in aula durante i lavori, ma a partire dal sinodo sulla famiglia nel 2014, ci sono stati solo i briefing e le sintesi dei circoli minori sui contenuti del dibattito avvenuto sulle varie parti dell’Instrumentum laboris.
Poi, con il cambio di metodologia (suddivisione dell’assemblea in 36 tavoli, utilizzo della conversazione spirituale e poco spazio alle plenarie), inaugurato con questo sinodo, i punti di riferimento per l’informazione sono rimasti i discorsi introduttivi, i briefing e il documento finale, non venendo più fornite nemmeno le sintesi del confronto che pure i vari tavoli dovevano produrre e consegnare alla Segreteria del Sinodo.
A fondamento di questo orientamento di “politica informativa”, scelto fin dall’inizio da Francesco, sta l’idea, esplicitata nel discorso di apertura della prima sessione (ottobre 2013) di questo sinodo, che i lavori sinodali possano essere influenzati dalla “pressione mediatica”: «Quando c’è stato il Sinodo sulla famiglia, – ha detto il papa – c’era l’opinione pubblica, fatta dalla nostra mondanità, che fosse per dare la comunione ai divorziati: e così siamo entrati nel Sinodo. Quando c’è stato il Sinodo per l’Amazzonia, c’era l’opinione pubblica, la pressione, che fosse per fare i viri probati: siamo entrati con questa pressione. Adesso ci sono alcune ipotesi su questo Sinodo: “cosa faranno?”, “forse il sacerdozio alle donne”».
Per custodire il delicato lavorio dello Spirito Santo tra i padri e le madri sinodali «ci vuole – ha detto il papa – un’ascesi, un certo digiuno della parola pubblica» e ai giornalisti è stato chiesto di far capire alla gente, “che la priorità è dell’ascolto”. E compito ancor più difficile: “dare proprio una comunicazione che sia il riflesso di questa vita nello Spirito Santo” dell’assemblea sinodale. In altre parole raccontare più il clima in cui si svolgevano i lavori.
I briefing non hanno informato
La missione di far percorrere alla stampa l’ascesi proposta dal papa, attraverso un digiuno quaresimale della “parola pubblica”, è stata affidata al Dicastero per la comunicazione.
Per entrambe le sessioni (2023 e 2024) il filo conduttore nelle conferenze stampa quotidiane è stato quello di far raccontare ai tre o quattro padri/madri sinodali (vescovi, cardinali, delegati fraterni, esperti e laici), che ogni giorno si sono alternati in sala stampa, la loro esperienza in aula o del percorso sinodale nelle loro realtà. Un evidente spostamento di focus.
La ricerca di un approfondimento delle questioni trattate nei lavori, delle quali pure veniva fornito in apertura un quadro statistico, numero dei presenti e un semplice elenco delle principali questioni emerse senza che si sapesse chi le aveva poste, si è sempre trovata di fronte un muro di gomma. D’altra parte il Regolamento dell’assemblea all’articolo 24, dedicato alla comunicazione, prevedeva che “ognuno dei Partecipanti è tenuto alla riservatezza e alla confidenzialità sia per quanto riguarda i propri interventi, sia per quanto riguarda gli interventi degli altri Partecipanti. Tale dovere resta in vigore anche una volta terminata l’Assemblea sinodale”, questo per “garantire la libertà di espressione” e “la serenità del discernimento comune”.
La conseguenza di questa scelta è stata che un importante sinodo, convocato per ricercare un nuovo modello di Chiesa (la Chiesa sinodale), è passato quasi sotto silenzio nella grande stampa, che si è dovuta concentrare solo su alcune questioni di richiamo in particolare il diaconato femminile, mentre le implicazioni erano e sono di più ampia portata.
L’origine della pressione mediatica
Indubbiamente i sinodi (Famiglia, Giovani, Amazzonia e Sinodalità) convocati da papa Francesco sono andati a toccare punti sensibili della vita ecclesiale e sono stati sempre caratterizzati da un contorno di preoccupazioni e di polemiche che, pur nella diversità della loro qualità, hanno avuto il loro baricentro nell’opposizione ad ogni aggiornamento della pastorale o reinterpretazione della Dottrina e della Tradizione. Operazione che il rapido mutamento delle società ha reso sempre più urgente.
Quella che viene definita «pressione mediatica» si era manifestata già alla vigilia e durante i lavori, entrambi movimentati, del Sinodo sulla famiglia: la pubblicazione di libri, a firma di cardinali, di critica preventiva ai temi del Sinodo; il clamoroso coming out di monsignor Charamsa; la lettera di tredici cardinali con obiezioni sui lavori sinodali e i dubia di altre quattro eminenze sulla successiva Esortazione apostolica Amoris laetitia.
È continuata, poi, in varie forme nei sinodi successivi, in particolare per quest’ultimo c’è stata ancora una lettera di cinque cardinali che sollevava cinque dubbi sul percorso sinodale, ma ancor più straordinario è stato il convegno internazionale significativamente intitolato “La babele sinodale” tenuto al Teatro Ghione, a due passi da San Pietro, il giorno prima dell’apertura dei lavori della sessione del 2023, con il cardinale americano Burke come relatore principale.
La “pressione mediatica”, perciò, sembra avere la sua origine prima soprattutto dall’interno della realtà ecclesiale e in particolare è una pressione color porpora. Di questa il papa stesso ebbe a rilevare a fine Sinodo che “le opinioni diverse si sono espresse liberamente, e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli” (24.10.2015).
La “pressione” del popolo di Dio
Ma questo Sinodo ha dovuto confrontarsi con la legittima “pressione”, se così si può dire, del popolo di Dio, che ha preso forma a partire dalla consultazione iniziale passando per le sette Assemblee continentali, per l’Instrumentum laboris e i lavori della prima sessione. Un percorso caratterizzato, nonostante il passaggio per vari livelli, dalla trasparenza, dal rispetto delle opinioni di minoranza (v. Vademecum per la consultazione, settembre 2021) e dalla circolarità della comunicazione centro-periferia (v. Documento per le Tappe continentali, ottobre 2022).
Un percorso che ha raccolto “le speranze e le preoccupazioni del Popolo di Dio sparso su tutta la terra”. Speranze e preoccupazioni validate dai vescovi, come richiesto, nei tre livelli: diocesi, conferenza episcopale e assemblea continentale.
Abbiamo così appreso, non dalla stampa ma dall’encomiabile documentazione ufficiale che ha scandito il cammino di tre anni, che le preoccupazioni del Popolo di Dio sono molteplici: dall’esigenza di organismi di partecipazione che possano essere dotati di poteri decisionali, alla riforma del Diritto canonico; dal maggiore riconoscimento del ruolo delle donne fino ad arrivare al diaconato; da un rinnovamento delle liturgie nel linguaggio e con maggiore inculturazione; dal ripensamento della formazione dei presbiteri al possibile superamento del celibato ecclesiastico fino ad un diverso stile di esercizio dell’autorità/potere dei vescovi e molto altro ancora. Una mole di problemi che la sintesi della Conferenza episcopale italiana aveva definito “annose questioni che affaticano il passo” delle comunità. Tutte questioni che da tempo, da troppo tempo, attendono risposte.
La comunicazione, fortemente raccomandata per le fasi preparatorie, si è però bruscamente arrestata sulla porta delle assemblee delle due sessioni. Il dibattito sinodale è stato sostanzialmente silenziato.
Non mettere a tacere e non ignorare
In un momento drammatico per la vita della Chiesa a causa dello scandalo degli abusi sui minori, il papa ha scritto una Lettera al Popolo di Dio, che era anche una richiesta di aiuto, nella quale troviamo questo passaggio impietoso, ma significativo al di là del motivo al quale si riferisce: “È impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita” (28 agosto 2018).
Ora non si può non osservare che affinchè il Popolo di Dio possa svolgere una “partecipazione attiva”, e aggiungeremmo adulta e consapevole, deve essere messo in condizione di conoscere, di capire, non solo le piccole e a volte insignificanti questioni della vita parrocchiale, ma anche le questioni che agitano la Chiesa universale. Sono questioni anche sue. E come scrive il papa non può essere soppiantato, messo a tacere, ignorato o rappresentato da piccole élites.
Conoscere per partecipare attivamente
La consultazione operata per giungere a questo Sinodo ha fatto emergere una consapevolezza dei problemi che ha sorpreso i Pastori. Chiamati ad affrontarli per ora hanno risposto che c’è bisogno di tempo, che occorre approfondire, che i tempi della Chiesa sono più lenti di quelli della società. E si sono “accorti” che tra di loro esistono diversità di vedute in alcuni casi inconciliabili. Già nel Sinodo sulla famiglia il papa aveva concluso: “abbiamo visto che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi uno scandalo, per il vescovo di un altro continente”. La sfida è proprio questa: ricercare l’unità nella diversità.
Poiché il porto della sinodalità sembra essere ancora lontano e non facile da raggiungere, se non si vuole dare spago ai profeti di sventura, sarebbe bene che tutti, proprio tutti (dal cardinale alla vecchietta che in fondo alla Chiesa recita il rosario), potessimo conoscere quali sono le tesi che si confrontano, quali le difficoltà/divisioni che si devono superare, qual è la posizione che una Chiesa (la propria) ha sostenuto in Sinodo.
Solo così il Popolo di Dio, non considerato come infante da non scandalizzare, può maturare e rispondere ai ripetuti appelli del Vescovo di Roma per una partecipazione attiva.
Così non è stato per i lavori di questo Sinodo.
Franco Ferrari
Presidente dell’Associazione Viandanti
L’articolo è stato ripreso dal sito dell’Istituto Humanitas Unisinos dell’Università dei gesuiti di di Vale do Rio dos Sinos (Brasile): “O sínodo silenciado”
Altri articoli sul Sinodo presenti nel sito:
Franco Ferrari, Il sinodo degli esperti
Giacomo Canobbio, Le donne diacono: un segno dei tempi
Andrea Grillo, Sinodo dei Vescovi. Verso la seconda sessione
Ormond Rush, La lotta con la Tradizione
Timothy Radcliffe, Non abbiate paura
Franco Ferrari, Il Sinodo delle cento domande
Franco Ferrari, Le Tappe continentali del Sinodo. Un flash sulla Chiesa
[Pubblicato il 7.11.2024]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: “ilsismografo”]
Collegandomi al quesito espresso da Teresina Caffi, aggiungo un corollario: perché si è vista tanta inerzia, o anche forse da parte di molti tanta riluttanza, a dare tempestivamente atto alle proposte emerse da quanto per tre anni si è ascoltato, parlato e discusso? Mica si dirà che, finché mancava il placet di Roma, proprio a nulla si poteva dare inizio?! C’era tutto lo spazio e il tempo almeno della “sperimentazione”, in un profluvio di idee scaturite dalle Sintesi annuali. Secolarmente parlando, non aspettiamoci una recezione convinta e tempestiva, una intraprendenza solerte e tenace, una nuova prorompente evangelizzazione in questo arido terreno spirituale odierno di cui il mondo ha bisogno ed è per noi essenziale per poterci dire cristiani. Natura non facit saltus. Ripeto: secolarmente parlando.
Grazie a Franco Ferrari per questa analisi chiara e sofferta, secondo il motto di Viandanti “mai andarsene e non tacere”. Ci resta il documento finale che più che toccare singoli problemi, mi sembra voglia creare un quadro di rapporti nuovi, di serio ascolto, di doveroso rendiconto a tutti i livelli. Come si passerà adesso a mettere in pratica questo cambiamento di mentalità che in qualche modo ci tocca tutti?
Dire che il Sinodo -oggettivamente rimasto fermo sulla soglia di qualsiasi problema di qualche peso, sollevato nel vivente popolo di Dio- si è limitato a “creare un quadro di rapporti nuovi, di serio ascolto, di doveroso rendiconto”, significa constatare il fallimento dell’intera operazione; che si è risolta, evidentemente, in un rinvio ‘sine die’ a nuovo esame, nel merito, delle non poche questioni affiorate a un minimo di consapevolezza critica nell’assemblea sinodale. Una soluzione procedurale, come dire un’acquisizione di buon costume dialogico, in attesa del momento giusto per iniziare ad entrare nel merito delle questioni contemporanee! Ben poco per chi, a distanza di sessant’anni da un concilio largamente inadempiuto, se ne attendeva, di contro, un minimo di coraggioso rilancio creativo…
“La sfida è proprio questa: ricercare l’unità nella diversità”. Vale per il Sinodo, vale per l’ecumenismo, vale per l’impegno politico. Luigi Sandri, nel suo ultimo “Diario Vaticano” su l’Adige del 4 novembre: “Cattolici e luterani, accordo mancato”, conclude così: “Per le Chiese è più facile gridare ai popoli in guerra ‘Riconciliatevi’, piuttosto che osare di farlo esse stesse”. Leggiamo “Sinodo silenziato” di Franco Ferrari il giorno dopo la vittoria di Donald Trump. L’editoriale di Massimo Faggioli sul Regno n.16 ci ha illustrato la situazione delle Chiese in America, di quella cattolica innanzitutto. Il risultato, preoccupante per il mondo intero, è frutto anche della fatica del confronto, coraggioso, all’interno del popolo di Dio, e dei vescovi, anche sulla politica, in America, in Europa, in Italia. La Gaudium et spes, n.75, che parla di impegno politico nel pluralismo è quasi ignorata.