INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA:
UNO SGUARDO EUROPEO
Alberto Bondolfi
I mesi che stanno dietro a noi hanno visto una ripresa delle discussioni attorno alla regolamentazione giuridica dell’interruzione di gravidanza in vari paesi europei. Come interpretare questa ripresa nel contesto preciso in cui ci troviamo a vivere? Mi sembra difficile porre una diagnosi precisa in questo ambito poiché i paesi europei che ne discutono in maniera esplicita sono alquanto diversi tra loro anche se tutti confrontati ad uno scenario mondiale che li accomuna.
I paesi europei che ne stanno parlando esplicitamente sono la Francia, la Germania e la Polonia, e ciò avviene secondo procedure legislative diverse e con risultati che probabilmente saranno visibili solo nei prossimi mesi.
La Polonia e il caso francese
Partendo dalla Polonia si può ipotizzare che sia, per così dire, un “caso semplice”, nella misura in cui il cambiamento auspicato da una maggioranza di centro-sinistra molto a rischio, è nel segno di un’uscita da un proibizionismo radicale che caratterizza questo paese governato da una passata maggioranza “cattolico-nazionalpopulista.”
Il governo attuale intende introdurre una liberalizzazione parziale in materia, ma la tenuta dello stesso e delle sue intenzioni riformatrici sono fortemente in bilico.
Il caso francese è alquanto diverso e non può essere interpretato adeguatamente senza conoscere i meccanismi dell’iter legislativo francese.
La legge in vigore (che risale all’operato della ministra Simone Veil) del 1975 prevede una depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza durante le prime dieci settimane di gravidanza.
Da allora questa legge non è mai stata impugnata, ma è stata precisata nel 2001 ammettendo interruzioni fino alla dodicesima settimana ed aprendole a donne minorenni senza ricorrere all’approvazione dei genitori.
Nel 2014 il parlamento francese adotta una risoluzione (ma che non ha il medesimo valore di una legge in vigore) che intende garantire un diritto fondamentale all’interruzione volontaria di gravidanza. Mi sia permesso osservare al riguardo, il fatto che simile risoluzione non vada considerata come un semplice inciso, bensì come un cambiamento paradigmatico nell’interpretazione del testo di legge che già vigeva. In altre parole, il parlamento francese già considerava la legge Veil come una forma di legalizzazione e non di semplice depenalizzazione di questa pratica.
Un segnale per le destre e i populisti
Il 4 marzo di quest’anno, infine, la sostanza della risoluzione entra nella Costituzione francese. Che cosa significa questa decisione? I costituzionalisti francesi ritengono che non si tratti semplicemente di una “conferma solenne” di quanto già stabilito da una legge in vigore, quanto piuttosto di una “garanzia di irriformabilità”, qualora parlamenti futuri arrivassero a promulgare leggi di segno diverso. Anche governi futuri dovranno, qualora organismi internazionali prevedessero convenzioni internazionali di orientamento opposto, non aderirvi o ratificare simili disposizioni. In altre parole, nulla cambia in Francia, ma si sono messi paletti nella Costituzione per impedire a priori passi indietro da potenziali governi futuri.
Due sono, a mio avviso, gli elementi che hanno portato a simile decisione. Macron ed il suo governo hanno voluto impedire che una nuova maggioranza di estrema destra possa ribaltare i risultati della legge Veil. I media francesi hanno messo in evidenza anche un secondo aspetto di questa decisione: il governo attuale ha voluto dare un segnale anche all’opinione pubblica americana, qualora Trump arrivasse ad una sua rielezione. Il nuovo proibizionismo americano non è esportabile in Europa e non troverà consensi nei suoi organismi.
Germania: dalla depenalizzazione alla legalizzazione
Anche in Germania bolle qualcosa in pentola, anche se la legislazione teutonica e la cultura giuridica sottostante è alquanto diversa da quella francese. Infatti il codice penale di questo paese mette l’interruzione volontaria di gravidanza tra i delitti contro la vita umana e considera questa pratica come “contraria alla legge” (widerrechtlich).
Al contempo, se sono rispettati altri criteri previsti dal medesimo codice, questa condotta non è considerata come punibile, e ciò per tutti gli attori che vi partecipano.
Questa formulazione di compromesso tra due posizioni fortemente contrapposte sembra convincere sempre meno almeno tra i membri attuali del parlamento tedesco. Una miniriforma del Codice penale ha cercato di spinare la via ad una vera e propria legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza in Germania.
Un paragrafo che vietava fare propaganda a favore dell’aborto è stato depennato dal codice penale tedesco permettendo così a medici di diffondere materiale di informazioni tra giovani donne toccate da possibili conflitti in materia. I membri della coalizione attualmente al governo discute al suo interno sulla necessità di passare dalla semplice depenalizzazione alla legalizzazione. Nulla di definitivo è stato finora deciso poiché il paese non intende ricadere in un contesto di “guerra di religione”.
Una risoluzione europea
Come ciliegina sulla torta evoco infine il fatto che il parlamento europeo a Bruxelles ha approvato, proprio ad inizio aprile scorso, una risoluzione a grande maggioranza (336 voti a favore e 163 contrari) che prevede che il diritto all’aborto sia introdotto tra i diritti fondamentali nella omonima carta dell’Unione europea. Anche qui va precisato il fatto che una risoluzione non ha ancora effetto vigente per i paesi membri dell’Unione, ma solo lo può diventare quando una serie di altri meccanismi lo permetteranno. Questa dichiarazione di intenti va dunque pure interpretata nel contesto della vigilia delle prossime elezioni europee e del loro possibile risultato.
Alberto Bondolfi
Professore emerito di etica teologica presso la Facoltà teologica dell’Università di Ginevra. Corresponsabile della redazione del trimestrale “Dialoghi”, che aderisce alla Rete dei Viandanti.
[Pubblicato il 30.7.2024]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: https://www.ohga.it]