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L'incendio di Notre-Dame

LA CHIESA DI FRANCIA UN EDIFICIO DA RIPARARE

Piero Pisarra

Notre-Dame

Riparare la Chiesa, consolare i cattolici. Si svolge su due fronti la battaglia che il mondo cattolico d’Oltralpe si trova ad affrontare. Sul fronte interno, malmesso dagli scandali e dalla condanna dell’arcivescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, a sei mesi con la condizionale per omessa denuncia di un prete pedofilo. E nell’opinione pubblica: mai così bassa, secondo i sondaggi, è stata la fiducia nella Chiesa, mai così debole la credibilità di un’istituzione che pure ha attraversato altre tempeste storiche.

Consolare e rassicurare
Così, riecheggiando motivi francescani, il quotidiano La Croix ha lanciato una campagna, con relativa raccolta di testimonianze, sulla necessità di riparare la Chiesa, di avviare un processo di ricostruzione e di purificazione. E la Conférence des Baptisés – l’associazione che raggruppa i cattolici critici della stagione segnata dal defunto cardinale Jean-Marie Lustiger, l’arcivescovo di Parigi fedelissimo di papa Wojtyla – si fa interprete dello sconforto, per non dire dell’incredulità, dello stupore e della collera in cui sono sprofondati i fedeli di fronte alle nefandezze di alcuni pastori. Consolare e rassicurare i cattolici è percepito dunque come un imperativo morale. Ma non senza aver fatto prima chiarezza sugli scandali, sulle colpe, aver denunciato i colpevoli e difeso le vittime.

In questo clima di tensione, ha aggiunto stupore a stupore l’accusa di molestie sessuali contro il nunzio a Parigi, monsignor Luigi Ventura, decano del corpo diplomatico. Situazione doppiamente imbarazzante, perché Ventura, su cui pendono tre querele, avrebbe agito in occasione di cerimonie ufficiali, pubbliche.

Una crisi che dura da tempo
Il quadro già fosco si sarebbe poi completato con il colpo più duro, un’inchiesta della rete televisiva franco-tedesca Arte sugli abusi di sacerdoti su religiose.

Scossi, attoniti, amareggiati, i cattolici di Francia hanno cominciato a far sentire la loro voce. E a inondare di testimonianze La Croix e altri quotidiani. Sotto accusa, al di là degli scandali, è un modello di Chiesa, clericale ed estetizzante, appiattito sulla bioetica e che non fa più presa sulle classi popolari. E un episcopato che, con poche eccezioni, risente dell’eredità di Lustiger e di nomine recenti, favorite dal nunzio Ventura, non certo in linea con la Chiesa in uscita voluta da papa Francesco.

La «figlia maggiore della Chiesa», secondo la vecchia definizione, è insomma in crisi da tempo. Per non aver colto la sfida della modernità, per essersi rifugiata in qualche ridotto sicuro (le grandi città, Versailles, le regioni tradizionalmente cattoliche, Bretagna e Vandea…), privilegiando movimenti ecclesiali di impronta carismatica, comunità monastiche allergiche al Concilio, gruppi insensibili al vento della storia.

Una drammatica mancanza di grandi visioni
Siamo lontani dal cattolicesimo sociale e dai fermenti pastorali favoriti dall’Action catholique e dai teologi che hanno anticipato e accompagnato la svolta conciliare, i Congar, Chenu, de Lubac… Non che manchino i teologi di valore e qualche gigante – basti pensare al centenario gesuita Joseph Moingt –, ma essi non sono più l’avanguardia creativa di un tempo.

Alcuni indicano nell’appoggio alla Manif pour tous, il movimento che si opponeva alla legge sul matrimonio omosessuale del 2013 voluta dal presidente Hollande, il punto di rottura o di svolta. Ma la crisi è certamente più antica e più complessa. Ed è frutto della secolarizzazione, di un paesaggio radicalmente cambiato rispetto a cento o cinquanta anni fa, di una società forse neppure liquida ma atomizzata, fatta di appartenenze temporanee, di fedi à la carte.

Così nella drammatica mancanza di grandi visioni, nell’impotenza di un cattolicesimo che invecchia inesorabilmente, tornano d’attualità le quattro ipotesi sul futuro del cristianesimo formulate dal teologo e psicanalista Maurice Bellet nel 2001 (La quatrième hypothèse. Sur l’avenir du christianisme, Desclée de Brouwer, Parigi).

La quarta ipotesi di Bellet sull’avvenire del cristianesimo
La prima è la sua scomparsa pura e semplice, senza clamore, una morte per consunzione. La seconda è la sua dissoluzione, la trasformazione definitiva in un insieme di valori morali, senza la novità dirompente, la forza rivoluzionaria del Vangelo. In questa seconda ipotesi, Gesù è considerato un maestro spirituale fra i tanti, non di più. Nella terza ipotesi, il cristianesimo continua: si tenta di conservare, restaurare, adattare, conciliare chiusure reazionarie e spinte progressiste, rinunciando, però, senza volerlo, alle domande radicali sul senso della vita e della morte.

La quarta ipotesi, che è quella scelta da Bellet, prevede un altro scenario: vi è qualcosa che finisce inesorabilmente ed è un sistema religioso, debitore, più di quanto si pensi, di un modello di società nato con la prima età moderna, tra Cinque e Seicento. Un mondo finisce e qualcos’altro nasce, grazie alla novità del Vangelo. Ma questo tempo inaugurale, aurorale, richiede coraggio e creatività, il coraggio di abbandonare vecchi schemi e vecchie strutture e inventarne di nuove.

Per ora sembra prevalere una reazione sottotono, non all’altezza delle sfide. Ma non è detto che dietro la spinta della crisi e l’impulso di Francesco non possa farsi avanti l’ultima ipotesi, la quarta. Forse ormai l’unica possibile.

Piero Pisarra
Giornalista – Parigi

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