LA DIFFICILE PRATICA DEL DIALOGO
“Le bocche e le cronache sembrano piene, talvolta fino quasi all’esondazione, della parola ‘dialogo’. Ce n’è di tutti i tipi e per tutti gli auspici: dialogo politico e politica del dialogo, dialogo fra studenti e docenti e tra professori e famiglie, dialogo fra imprenditori e sindacati, dialogo tra marito e moglie, tra genitori e figli, dialogo religioso e interreligioso”. Ma bisogna fare attenzione e non lasciarsi trarre in inganno; tante volte questo “dialogo” assomiglia molto di più a un esorcismo: accade quando, nel confronto con l’altro, si cerca (consapevolmente o meno) di estirpare da lui ciò che viene percepito come “il male”. È il dialogo di chi parte dal presupposto di essere nel giusto. Di chi pensa: “c’è solo una verità, e sono io a possederla”.
Da qui inizia il testo di Lorenzo Dani (Il dialogo dell’esorcista. Breve descrizione d’un infelice modo di confrontarsi coi diversi, QuiEdit, 2020), un breve saggio che accompagna il lettore nella scoperta dei cortocircuiti di un dialogo che dialogo non è, e che assomiglia piuttosto a una lotta, al tentativo assillante e morboso di sconfiggere il rivale, l’oppositore.
Per descrivere la figura del “dialogante-esorcista”, Lorenzo Dani dà vita a un personaggio fittizio: Giantivio. Si tratta di una figura a tratti comica, grottesca, ma che è capace di diventare autoritaria e dispotica. Bloccato nelle sue ovvietà, nelle sue certezze, Giantivio non soltanto è convinto di dialogare, ma fa del dialogo la sua stessa missione. Lui deve dialogare. Il dialogo è la sua crociata, la sua lotta contro “Satana” (che in lingua ebraica indica appunto l’avversario, il nemico).
Il suo punto di partenza si fonda su di una certezza incrollabile; egli pensa: “Io ho ragione!” Giantivio è profondamente convinto, infatti, che il suo pensiero non sia uno dei tanti modi di ragionare, ma l’unico modo giusto di farlo. “Alla luce di questa verità egli divide il mondo in due parti: quelli che sono d’accordo con lui e quelli che la pensano diversamente. Questi ultimi, secondo Giantivio, hanno solo due modi per venir fuori da questo assioma, da questa sacrosanta verità: o si convertono, e dunque cambiano testa e si assimilano a Giantivio, oppure si tolgono di mezzo, si allontanano da Giantivio, riconoscendosi battuti, vinti, naufragati nel loro errore”.
Contro quale nemico si batte Giantivio (pur credendo, si badi bene, di stare dialogando)? Contro chi si oppone alla norma, alle “leggi di natura”.? Difatti, il suo modo di definire la realtà, di stabilire che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, non è nient’altro – crede lui – che il modo “naturale”, e dunque esatto. Per contro, chi si distanzia dalla sua visione è “a-normale”, “contro-natura”. E quindi dev’essere corretto, guarito, perché la sua diversità minaccia di sovvertire la norma, le fondamenta stessa della realtà in cui vive. La logica che guida il suo dialogo, insomma, è del tipo “o io, o lui!”.
In questo perspicace ritratto del dialogante-esorcista Dani ci ricorda che il dialogo è una cosa seria. Che la parola “dialogo” non è sufficiente a camuffare atteggiamenti e modalità di relazione che con essa hanno ben poco a che fare, e che assomigliano invece molto di più a un esorcismo. Ci rammenta – soprattutto – che il dialogo presuppone la disponibilità a non rimanere gli stessi, a cedere qualcosa di sé, a rivedere le proprie certezze, e al tempo stesso ch’esso impone di rispettare l’alterità irriducibile dell’altro, una diversità che non si può eliminare, assimilare o espellere.
Oggi, all’interno di una società sempre più plurale, una franca riflessione sulla pratica del dialogo non è solo importante, ma addirittura imprescindibile.
Come ci ha ricordato papa Francesco, non viviamo in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca. In questo viaggio oscuro in cui ci siamo avviati la tentazione talvolta può essere quella di “mettere in salvo” ciò che ci è caro, proteggendolo dal diverso, rifugiandoci in ciò che percepiamo come “normalità”. Così facendo, dimentichiamo che le cose importanti non vanno salvate dal cambiamento, ma piuttosto nel cambiamento, che il nostro tempo non dev’essere combattuto o esorcizzato, ma ascoltato e abitato.
Questo vale in special modo per la Chiesa. Oggi, infatti, proprio sul dialogo si regge la credibilità stessa della sua testimonianza. È a partire dal dialogo con le altre religioni, con la società civile e con il popolo di Dio che la Chiesa è chiamata a ripensare se stessa dentro al mutamento d’epoca che stiamo percorrendo.
Per questo motivo, bisognerà che si metta in dialogo non come un Giantivio, ma abbandonando ogni pretesa esclusivista (cioè non interessata a ciò che l’altro ha da offrire) o inclusivista (ossia incapace di cogliere che l’alterità è irriducibile), rammentandosi che la verità non è un oggetto di conoscenza racchiuso in una definizione metafisica, un principio enunciato una volta per sempre, ma un accadimento che si fa presente nella relazione. Che il dialogo stesso è un cammino di verità. Viceversa, corre il rischio di diventare sempre più estranea alla realtà stessa, sempre meno capace di interagire con essa, sempre più chiusa in una stretta cerchia d’individui uniti solo dalla nostalgia del passato. Di fare, in altre parole, la fine di Giantivio.
Filippo Binini
Lorenzo Dani, Il dialogo dell’esorcista. Breve descrizione d’un infelice modo di confrontarsi coi diversi, Verona QuiEdit, 2020, p. 152