LA PARTE DEL PRETE NELLA COMPAGNIA DI GESU’
(se Gesù faceva teatro)
La figura di Gesù di Nazaret rappresenta il mistero dell’incarnazione, che per i profani significa la condivisione divina della fratellanza nelle sue molteplici diversità. Infatti il Maestro accoglie tutti, anche i soggetti discriminati secondo stereotipi diventati tradizione: le divisioni sociali, le malattie incurabili, e perciò derivate da peccati, le donne condannate all’inferiorità dal mestruo e i peccatori, davvero peccatori e peccatrici. I “miracolati”, per come descritti nei vangeli sono esseri umani con loro caratteristiche comuni, come del resto i discepoli e soprattutto quelli che sono diventati apostoli. Non sempre esemplari: Gesù predicava il “Regno” e la “madre dei figli di Zebedeo” gli chiedeva una carica di altissimo livello per i figli, come i tanti in attesa che Gesù diventasse re. Pietro, che invece aveva detto di aver capito, rinnega tre volte. Dopo la condanna tutti i maschi rimpiattati in casa per paura delle retate. Una frana. O un teatro.
Marco Campedelli è un prete che si permette di cogliere il sigillo positivo e gioioso della sua fede, una fede che ha le caratteristiche di quella semplicità che è punto di arrivo. Può avere tutta la confidenza con Dio come la si ha con la mamma, con gli oggetti d’amore che capita di incontrare nella vita. E non crede di poter escludere qualcuno dalla gratuità del piano della salvezza.
Forse bisogna essere poeti (e io credo che Marco conservi quaderni di poesie in qualche cassetto pudico). E’ un amico, che ho conosciuto attraverso un suo mezzo espressivo strano, la passione dei burattini, burattini in quanto è lui il burattinaio. Non posso dimenticare la prima volta che lo vidi in una drammatizzazione della storia di Giona e la sua relativa balena: una teologia non convenzionale, ma la Bibbia può fornire tutti i copioni che vuoi.
Campedelli è consapevole di essere un po’ fuori dai ranghi, ma è uno che non vuole neppure sapere che ci sono dei ranghi nella sua Chiesa e procede – come dire? – senza problemi. Ogni tanto c’è qualcuno che non capisce: un suo vescovo trovandolo anomalo gli aveva tolto l’insegnamento nel liceo dove insegnava religione: sono cose che fanno male ai preti sensibili e colpisce venire a sapere che a don Milani, offeso da uno spietato mons. Florit, venne da dire, in pianto, “avrei potuto suicidarmi”. Marco deve non averci dormito, ma i suoi studenti – che “capivano” – portarono lo scandalo in piazza e, siccome il vescovo era pensionando, il successore seppe riparare.
Ma Marco Campedelli è un prete – non è frequente – che è un intellettuale condivisibile da laicisti e non credenti: scrive cose che rischiano di sembrare paradossali, ma rappresentano una prosecuzione di quella che mi piace chiamare l’evangelizzazione con altri mezzi.
Ha pubblicato libri e articoli singolari. Sul Vangelo. Declinati, però, nello spirito di quella Compagnia di Gesù non gesuitica che è in continuo debutto per condividere dubbi, ansie e dolori che a molti “cattolici dell’ideologia” sembrano vivere una vita così strana da non immaginare che invece stiano evangelizzando: è solo che spesso non capiscono la Parola. Ad esempio, Alda Merini, la grande poeta che ha visto il Cristo gridare nel manicomio, che Marco ha conosciuta quando non era affermata e lui era un prof di religione che la metteva in relazione con i suoi studenti, emozionati quanto lui – il prof. di religione! – dall’incontro con la donna straordinaria amante anche di Dio. Ma anche Pierpaolo Pasolini, “il non credente che crede che Cristo sia divino” e ha avuto l’intuizione abissale che suona come una liberazione del vangelo dalla religione, anche lui uno che trova nella parola di Cristo la bellezza, che per lui è sempre morale e custodisce lo scandalo della differenza.
Infatti, secondo Marco, sarà proprio la differenza, alla fine, a salvare la terra.
Ma c’è anche “Il re magio Eduardo De Filippo”, come dice il titolo dato dal card. Ravasi alla recensione sul Sole24Ore del libro di Marco. Il Vangelo secondo Eduardo sta nel “presepio in casa Cupiello” che si sdoppia il giorno dell’Epifania – la “manifestazione” di Gesù nel mondo – tra la dolcezza della sacra famiglia e quella disastrata di Luca Cupiello, nella cui casa si agisce un transito dalla vita alla morte alla presenza di un Gesù invisibile a conferma che ai poveri è portata la buona novella.
I Magi esprimono il “potente messaggio dell’apertura ai “diversi”, “agli stranieri”, ai “lontani”: in ogni cultura si può cercare Dio…. ma ancor più ogni cultura può rivelare il divino, esprimerlo nelle differenze delle lingue e dei volti. Così Filumena Marturano intuisce che il Cristo è lì, con lei e il padre dei suoi figli, così De Pretore Vincenzo, “mariuolo sulamente pé campà”, che confonde il Padreterno accusando i condizionamenti del sistema: Perché si voglio fa na vita onesta e nisciuno m’aiuta, che me resta? Industrializzo la disonestà. Il vangelo può anche essere visto “secondo Dario Fo”, il giullare che sta con il Gesù dei perdenti che esprime simpatia per i perduti.
Le idee non arrivano se non c’è la carne, direbbe Pereira. I perdenti e i perduti, secondo Marco, stanno in un mondo in cui anche la Chiesa abbandona il dono per il possesso, subisce la seduzione del potere che nasce da un grave deficit d’amore. L’obesità del potere non è estranea all’anoressia dell’amore. Il corpo del potere ha paura del corpo dell’amore.
E’ l’agape del Vangelo. Secondo Marco Campedelli.
Giancarla Codrignani
M. Campedelli, Il Vangelo secondo Eduardo, l’ultimo Re Magio, Claudiana Torino 2022, pp.128