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Lucas Cranach il Vecchio, Adamo ed Eva nel giardino del’ Eden (1530). Dresda, Gemaldegalerie

LA VOCAZIONE ALLA CURA

Milena Simonotti

Il messaggio di Papa Francesco, per la cinquantaquattresima Giornata Mondiale della Pace, merita un’attenzione particolare. Francesco parla di un Dio creatore, origine della vocazione umana alla cura. Parole estremamente importanti, basilari nella costruzione quotidiana della vita di ciascuno: “Nella Bibbia, il Libro della Genesi rivela, fin dal principio, l’importanza della cura o del custodire nel progetto di Dio per l’umanità, mettendo in luce il rapporto tra l’uomo (l’adam) e la terra (‘adamah) e tra i fratelli. Nel racconto biblico della creazione, Dio affida il giardino “piantato nell’Eden” (cfr. Gen 2,8) alle mani di Adamo con l’incarico di “coltivarlo e custodirlo” (cfr. Gen 2,15). (…) I verbi “coltivare” e “custodire” descrivono il rapporto di Adamo con la sua casa-giardino e indicano pure la fiducia che Dio ripone in lui facendolo signore e custode dell’intera creazione”

Osservare e riconoscere
La parola cura trova la sua etimologia nell’antica radice Ku/Kav: osservare. Si apre uno spazio infinito. Osservare è lo sguardo che sa cogliere l’immediatezza e la profondità dell’altro e di tutto ciò che partecipa ai nostri giorni: la natura, il cosmo, la terra e il cielo. Osservare richiede tempo, un tempo che è sinonimo di vita, dove noi sentiamo di crescere aprendo un orizzonte di avvenire, e richiede l’interiorizzarne i significati, designare l’importanza che diamo a ciò che ci circonda, che è bene e che dobbiamo preservare perché non diventi male. Non si può gustare la pace se i nostri atti non sono volti alla custodia, alla protezione del Creato e delle sue Creature. Bisogna partire da un atto di verità, di spogliazione, di liberazione da molti orpelli, consuetudini, pregiudizi, lasciare alle spalle una cultura di potere e di morte per “osservare e riconoscere”.

La spogliazione di San Francesco, sulla pubblica piazza di Assisi – così che tutti potessero osservare – è l’immagine di chi non solo s’allontana materialmente da tutto ciò che non ritiene vero, ma è anche il ricoprirsi, dopo essere tornato nudo, di un mantello, frutto di un dono. Francesco se ne va avvolto in un pallium, dentro al quale reimpara a guardare, a riconoscersi nell’infinito creato e a divenire atto di cura, a partire dal patire insieme ai lebbrosi, umanità scartata perché malata e misera. Il suo non è un atto formale, ma è custodire una intimità speciale, quella di chi non si sente amato. Imparare a conservare e a essere custodi di segreti, di lacrime e attimi di gioia, custodi di vite che ci interpellano, che chiedono vicinanza, non è altro che essere fratelli tra noi e dell’unica terra che ci ospita, alla quale dobbiamo una grande gratitudine.

Curare ed essere curati
Essere “cura” significa, dunque, osservare, essere vigili, custodire, serbare silenzi e parole, abbracci e lontananze. L’evangelista Luca, parlando di Maria, ci dice che Lei serbava nel suo cuore tutte le cose, mentre a Nazareth il figlio di Dio cresceva. Serbare nel cuore, raccogliere tutto in uno scrigno per servire, riconoscere di essere curati e curanti perché noi siamo Suo popolo, il popolo consolato e consolante. In questo atto di spogliazione riconosciamo, come dice Levinas, che è l’altro che mi fa esistere, che siamo prima di tutto dono, soprattutto relazione, perché è la relazione che salva, che dà risposte alla paura, alle mille domande esistenziali.

Non siamo singoli bastanti a noi stessi, ma siamo umanità, figli e fratelli, le azioni che compiamo devono essere responsabili per la realizzazione di quello che papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” auspica: “Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità. Tra tutti … nessuno può affrontare la vita in modo isolato … da soli si rischia di avere dei miraggi per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme. Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della propria fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!”

Desiderare e sognare
La cura, quindi si appropria di altre due grandi parole: desiderio e sogno. Desiderare di poter avere la fiducia innata dei bambini, la loro innocenza, così che la cura e la pace siano fonte di semplicità, di delicatezza. Sognare perché cura e pace siano protette in un luogo sacro, qual è la nostra natura di Figli, e abbiano la grazia di essere continue, di essere eternità, cioè, non si spezzi nessun filo, anche quello più sottile, che ci lega all’attenzione verso l’altro:

Vegliamo / teniamo gli occhi aperti /tra le due grevi fatiche/ assicuriamo il riposo/ spiamo / ostinatamente chiamiamo / il bordino di luce /il pallido margine /e la sua promessa d’alba. / L’oscuro chiarore. (Colette Nys-Mazure).

Ascoltiamo la voce dei poeti: in pochi versi si delinea ciò che penso possa essere il nostro camminare terreno, immersi in un progetto di cura. Osservare, custodire, servire, desiderare, sognare. Cioè, proteggere il riposo, stare con qualcuno per annullare il sentirsi soli e confidare in lui, consolare per essere consolati. Vegliare perché questo “riposo” sia quell’atto d’amore che non viene meno, che non si frantuma in lontananze, e in quel riposo innalzare la preghiera a Dio Padre che ci ha voluto porre in una casa-giardino creata perché tutte le sue creature si sentano amate.

Affinchè la luce di Betlmme non si spenga
Ostinatamente, senza interruzioni, teniamo gli occhi aperti e seguiamo il moto del cuore che ci aiuta ad essere compassionevoli, cioè com-patibili con l’altro per portarlo, volto nel volto, con sé in un tempo senza tempo e poter, insieme, adorare la divina tenerezza con lo stesso sguardo dei pastori e dei magi che hanno intravisto nel Bambino la cura divina per il mondo.

Ho scritto nel giorno dedicato alla grande solennità dell’Epifania, al termine di questo periodo iniziato con l’Avvento e proseguito con la venuta di Gesù povero tra i poveri. In questo giorno in cui la grazia del dono si fa più forte, il Figlio dell’uomo si manifesta a tutti i popoli e a Lui tutti i popoli portano doni e lo adorano. Giorno in cui l’agnello dimora con il leone in pace.

Tutti dobbiamo saper veder la luce che investì e condusse i pastori e i Magi, e tutti noi abbiamo il dovere di far sì che questa luce non cessi di splendere, dobbiamo averne cura affinché non si spenga:

“Nei suoi giorni fiorisca il giusto / e abbondi la pace/ finché non si spenga mai la luna” (Salmo 71,7). 

Milena Simonotti
Membro dell’Associazione ecumenica di cultura religiosa “Città di Dio” (Invorio/Novara) che aderisce alla Rete dei Viandanti.

[Pubblicato il 25 gennaio 2021]
[L’immagine è ripresa dal sito: regnum.ru]

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