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LAICI E CREDENTI SENZA APOLOGIE

Le due foto di copertina valgono più di una prefazione: nel frontespizio del libro un Giovanni Paolo II accigliato e a braccia conserte ascolta il vescovo che ebbe uno scambio di lettere con l’onorevole Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano; nell’ultima di copertina, un Papa sorridente con le mani e col volto dimostra il dissolversi delle sue perplessità. Il vescovo in questione è monsignor Luigi Bettazzi, una figura notissima dell’episcopato italiano, divenuto nel 1962 vescovo ausiliare di Bologna a soli 39 anni col titolo di Tagaste, la città nativa di sant’Agostino. Trasferito nel 1966 a Ivrea, guidò quella diocesi per ben 33 anni, dal 1966 al 1999. Ora egli propone una sua riflessione – profondamente intrisa di spirito conciliare (Bettazzi è, infatti, uno dei pochi vescovi che hanno potuto partecipare a quasi tutto il Concilio Vaticano II) – su uno dei temi più frementi nel dibattito ecclesiale e politico dei nostri giorni, quello della “laicità” e del “laicismo” irreligioso, sotto il titolo provocatorio Vescovo e laico?
Forte del suo lungo impegno nel dialogo tra credenti e non – in un certo senso egli è stato il precursore di quel «Cortile dei Gentili» voluto da Benedetto XVI e messo ora in azione proprio del Pontificio Consiglio della cultura, il dicastero vaticano che presiedo –, monsignor Bettazzi delinea un originale profilo del “laico” autentico attraverso quelle che paradossalmente sono le virtù per eccellenza “teologiche”, ossia fede, speranza e carità. Accostando la duplice declinazione di questa triade da parte del cristiano e del laico a partire dalla carità-amore, passando attraverso la fede-pensare, fino alle speranze storiche e alla speranza ultima, egli dimostra che “laico” e “cristiano” non sono un ossimoro e neppure sono necessariamente un contrappunto dialettico, ma costituiscono una suggestiva coincidentia simbolica, purché si esorcizzino gli estremi devastanti dell’integralismo sacrale e del laicismo aggressivo, del fondamentalismo acceso e del sincretismo incolore. Non è nostra intenzione ora riassumere le pagine di questa limpida eppur appassionata riflessione: la lettura sarà fruttuosa per vescovi e sacerdoti, per laici ecclesiali e laici civili, per credenti e per agnostici. Noi, prendendo spunto proprio da questa «spiegazione per gli amici», come è sottotitolato lo scritto, suggeriamo una nostra modesta ed essenziale considerazione sul dialogo tra chi crede e chi si classifica come “laico” nel senso “profano” che questo termine di matrice ecclesiale ha ormai assunto.
È un incontro possibile quando si lasciano alle spalle le apologetiche feroci e le dissacrazioni devastanti e si toglie via la coltre grigia della superficialità e dell’indifferenza, che seppellisce l’anelito alla ricerca delle ragioni profonde della speranza del credente e dell’attesa dell’ateo. È ciò che monsignor Bettazzi aveva fatto anni or sono nel suo dialogo con l’onorevole Enrico Berlinguer, Segretario del Pci, espresso appunto nella famosa Lettera a Berlinguer (1976) e nella relativa risposta. Quando si dialoga, tenendo però ben saldi i piedi ciascuno nel proprio territorio ideale senza facili concordismi, le identità non creano cortine di ferro invalicabili, perché gli sguardi si incrociano e gli orecchi e la mente ascoltano le ragioni dell’altro. Come insegna anche in questo libro monsignor Bettazzi, per un simile incontro non ci si deve armare di spade dialettiche, ma di coerenza e di rispetto: coerenza con la propria visione dell’essere e dell’esistere, senza slabbramenti sincretistici o sconfinamenti fondamentalistici o approssimazioni propagandistiche; rispetto per la visione altrui alla quale si riservano attenzione e verifica oggettiva.

Gianfranco Ravasi (da: “il Sole 24 Ore”, 08 maggio 2011)

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