Le chiese la ricchezza, la povertà e i beni della terra
Giancarla Codrignani
A distanza di tempo le tematiche della 55° sessione del Segretariato attività ecumeniche (Sae) confermano che la scelta era stata davvero opportuna. È sempre più grande l’impressione che noi cristiani, ma anche cittadini, abbiamo posizioni di coscienza ben precise, ma sostanzialmente più etiche che politiche, che spesso inducono ad errori non del tutto involontari.
Oggi Christine Lagarde dice in parole povere che il debito mondiale è eccessivo e il Fmi rischia la recessione. Il Sae ha rispecchiato la Chiesa del Popolo di Dio, indivisa sia sulle reciproche mancanze e contraddizioni, sia nelle reciproche strutture e relazioni: una rappresentazione non nuova, ma bisognosa di un’analisi dei macigni ereditati dal passato; portati insieme, con maggior consapevolezza, possono “rotolare via come la pietra dal sepolcro all’alba della risurrezione”.
Darsi regole per evitare il cedimento a Mammona
Così “l’ecumenismo diventa l’annuncio che, nonostante il corpo di Cristo sia stato diviso, è vivo”, e il Sae si è confermato, anche nella tradizionale sessione estiva di quest’anno, annuncio di risurrezione alle Chiese perché riprendano il coraggio di testimoniare insieme il vangelo nel mondo senza scorciatoie.
Partendo da sé, nella consapevolezza che il nodo della giustizia economica e della condivisione dei beni è questione di vita o di morte per le Chiese e che l’annuncio del Regno dev’essere accompagnato da un imperativo di giustizia sociale, da far valere, innanzitutto, tra i credenti.
“Ricchezza, povertà, beni della terra”: e le Chiese. Piero Stefani ha citato Thomas Mann e il suo Giuseppe che spiega al Faraone la previsione dei sette anni di abbondanza e dei sette di carestia: un Roosvelt ante litteram che sa che Dio ama i poveri, non la povertà.
Non è più la pagliuzza altrui contro la mia trave: non è solo questione dello Ior se parliamo di investimenti o anche di etica. Gesù, citando il Deuteronomio e la remissione dei debiti, implicitamente riconosceva che in società disuguali si fanno i prestiti; ma se “i poveri li avrete sempre con voi”, bisognerà formulare proposte che evitino il cedimento a Mammona.
Un rapporto complesso e ambiguo
La problematica è complessa e ambigua: non si può ignorare, ha ricordato Enzo Pace, che Max Weber evocava Calvino nella sua teoria del capitalismo: il denaro sarebbe dono di Dio e il successo segno di salvezza? Anche la storia del rapporto dell’ebraismo con la dimensione economico-finanziaria appare complessa, essendo aperta – secondo il necessario riferimento alla Torah – all’economia di mercato sia liberale sia solidale: se dio ha lavorato e si è riposato, il lavoro è sacro come la negazione della schiavitù, per il popolo che ha sperimentato la servitù in Egitto.
Il protestantesimo denuncia la deriva di una “società della prestazione” che snatura il lavoro, rende auto-sfruttatore il lavoratore e ne causa la depressione psichica: la vecchia dottrina del lavoro come Beruf, la “vocazione” come quella del prete, induce perfino l’avventismo (l’ha detto il peruviano Hans Gutierrez) a conteggiare il numero dei battesimi come promozionale della fede.
Comunque, anche senza sparare con il bazooka contro l’economia, magari recuperando l’economista francese Thomas Piketty, un po’ di autocritica va fatta: in fondo, abbiamo creduto che per sempre il reddito da lavoro sarebbe stato superiore al reddito da patrimonio. Intanto il divario tra crescita della finanza e crescita dell’economia è diventato psicopolitico (interventi di Quaglio e Becchetti).
Il mondo è troppo forte per una Chiesa divisa
Quanto alle Chiese, anche secondo l’ecumenismo della giustizia e della salvaguardia dei beni della terra, ha ragione Simone Morandini: ”il mondo è troppo forte per una Chiesa divisa”, mentre l’attenzione ai valori sociali non deve avere riserve a collocarsi sul piano della salvezza, le Chiese del Sud del mondo si dissociano dalla globalizzazione perché se ne sentono vittime.
Le Chiese Ortodosse (Sevastianov e Zelinsky) non sono univoche: i russi (con il 2% dei praticanti) estremizzano e pongono l’alternativa “o la Chiesa converte lo Stato o lo Stato condiziona la Chiesa”, dato che, nella passività generale del popolo russo, nemmeno il monachesimo ricusa il modello capitalistico se è vero che “Dio non vuole disoccupati”; mentre Zelinsky ritiene che questo ragionamento riporta a Teodosio e non ha nulla a che vedere con il Vangelo; tuttavia sarebbe la prima volta che si intende partire dal Vangelo se si fa memoria dell’increscioso fatto che, nonostante Gesù, “i servi non sono diventati fratelli, ma sono rimasti servi”. Infatti, Paolo per primo più volte ha confermato in linea di principio che “non c’è più né libero né schiavo, ma più volte ha confermato l’esistenza della categoria servile (1Cor, 7,20; Ef.6,5; Col 3,22;1 Tim 2,9).
Anche la lettera di Pietro invita, in termini un po’ reazionari, “Domestici, state sottomessi con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli buoni e miti, ma anche a quelli prepotenti”. Ci sono voluti molti secoli e qualche rivoluzione per superare l’ipocrisia e arrivare a riconoscere i diritti. Diritti che non sono mai conquistati per sempre, ma ormai le Chiese li debbono difendere.
L’economia al femminile
Sarò certamente parziale, ma i lavori dei gruppi e gli interventi non hanno fatto avanzare il terreno delle aspettative e della progettualità, come era da prevedere nelle difficoltà sistemiche di un sistema sostanzialmente malato, ma condizionante Chiese e governi, religiosi e laici.
Invece, Sarah Kaminsky, intervenendo sull’ “Economia femminile nel mondo ebraico”, ha evocato le donne attive nella diplomazia e negli intrighi che stanno da sempre dietro ogni economia: da Betsabea che forse ha costruito strategicamente un bagno sul terrazzo, a Ester, regina, leader internazionale, salvezza del suo popolo, o anche alla scomoda profeta e studiosa Noadiah (cfr. Neemia), alla figlia di Jefte e via via fino alla prima donna rabbina (1935) morta ad Auschwitz e rimasta sconosciuta. Ma non meno esemplare la concretezza operativa della signora a cui, nel IV secolo, a Babilonia, venne negato di bere vino “perché incompatibile con il suo ruolo di madre”: andò in cantina e spaccò 400 anfore… una metafora per le frustrazioni di tanti riformisti delusi.
Una Chiesa ancora divisa tra ricchi e poveri
L’ultima tavola rotonda della sessione (“Testimoniare il vangelo nelle società delle diseguaglianze economiche”) ha avuto come relatori Erio Castellucci, il vescovo della diocesi di Modena-Nonantola, che si è ricondotto al magistero di papa Francesco per sollecitare gli esseri umani a continuare i “segni” di Gesù a favore di tutti, e la pastora battista Lidia Maggi, che ha concluso la sessione paragonando la Chiesa a una donna che da troppo tempo perde energia vitale, si dissangua nel tentativo di vivere e generare futuro, ma non osa trasgredire, “toccare il mantello” per essere guarita.
È simile anche alla prima generazione di discepole che sotto la croce osservano sconcertate morire Gesù il cui volto oggi è quello del profugo da guerre e disastri climatici, della ragazza vittima di tratta, del disoccupato senza futuro. Cristo continua a morire crocifisso dal capitalismo selvaggio di fronte a una Chiesa afona per omissione colpevole e complice perché non lo ha protetto.
In questo eterno venerdì santo testimoniare il vangelo della risurrezione significa «fare seriamente i conti con il nostro fallimento di Chiesa divisa tra ricchi e poveri» che ha sostituito la comunità di uguali delle origini.
Giancarla Codrignani
Giornalista, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti
Grazie per la bella riflessione.
Il tentativo è quello di vivere ogni giorno con coerenza, almeno nelle intenzioni, una vita che faccia attenzione ai più deboli ormai oggetto di discriminazione anche istituzionale. E’ buonista chi fa attenzione ai più deboli, è comparsa la compassione per il fratello emarginato, figlio di Dio come me.
Grazie. Vi abbraccio. Pino Baldassari