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LE COMUNITÀ CRISTIANE
TRA PLURALISMO E UNIFORMITÀ

Paolo Ricca

In occasione del cinquecentenario della Riforma, Paolo Ricca è stato relatore al nostro IV incontro di “Letture bibliche” (Parma, 26 novembre 2016) dedicato al tema “Le comunità cristiane delle origini, tra pluralismo e fraternità”.
In ricordo di Ricca, scomparso il 14 agosto scorso, pubblichiamo una delle relazioni tenute durante l’incontro dedicata a “I conflitti nelle prime comunità cristiane e la loro composizione” che aveva come sottotitolo questo versetto della Prima lettera dell’apostolo Paolo ai Corinti: Fratelli, mi hanno fatto sapere che vi sono litigi fra voi(1, 11).
Il testo, trascritto dalla registrazione, risente del parlato nonostante alcuni interventi redazionali.

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         La chiesa di Corinto è quella che conosciamo meglio di qualunque altra chiesa dell’epoca apostolica per il semplice fatto che abbiamo due lunghe Lettere di Paolo ai Corinzi e gli studiosi ci informano che probabilmente le lettere furono quattro, perché ci sono le risposte e poi le repliche ulteriori di Paolo. Perciò, è vero che Paolo ha avuto un rapporto privilegiato con la chiesa di Corinto.

La chiesa di Corinto
Ciò che colpisce leggendo queste Lettere è che nella chiesa di Corinto, nei pochi anni in cui si è svolta l’azione di Paolo a cui si riferiscono le Lettere che egli ha scritto, troviamo un repertorio di tutti i grandi problemi che poi via via incontreremo nel corso dell’intera storia della chiesa.

Che cosa troviamo in questa chiesa di Corinto? Troviamo scandali sessuali, processi intentati da cristiani ad altri cristiani, tanto che l’apostolo Paolo si scandalizza. Dice: Ma come? cristiani processano altri cristiani davanti a tribunali pagani, una cosa assurda.

E troviamo tutti o molti dei problemi che conoscono tutte le coppie di questo mondo, cioè problemi legati alla vita coniugale e in particolare problemi delle coppie miste, cioè un coniuge cristiano e un coniuge pagano (si devono dividere? non si devono dividere? …).

Incontriamo, poi, il grande problema del rapporto tra libertà e carità; la libertà del cristiano che è totale, tutto è lecito dice addirittura l’apostolo Paolo, tutto è lecito al cristiano ma non tutto è utile; un’affermazione pericolosissima, come si può immaginare. Quale dev’essere il rapporto tra la libertà, che rende tutto lecito al cristiano, e la carità, cioè l’amore che si deve avere per il fratello, per la sorella nella stessa comunità? Perché se la tua libertà diventa motivo di scandalo allora devi rinunciare alla tua libertà in nome della carità. Un problema immenso che ritroviamo in tutta la storia della chiesa.

Un’altra questione è il contestatissimo apostolato di Paolo. Sorgono diversi interrogativi: tu sei apostolo, o ti sei fatto apostolo da solo? chi t’ha fatto apostolo? Dici che Gesù Cristo ti è apparso, le apparizioni le abbiamo tutti quanti, le apparizioni sono invenzioni tue.

Per non parlare di altri grandi problemi: come si costruisce il culto cristiano; la glossolalia come manifestazione dello Spirito Santo; la cena del Signore; le agapi che divengono luoghi di spreco e addirittura di discriminazione tra chi si porta da casa cibo abbondante, e invece qualcuno che da casa non può portarsi nulla e quindi fa la fame mentre l’atro mangia a quattro palmenti; il grande tema della risurrezione, come test del cristianesimo, cioè l’identità cristiana si misura sulla tua fede nella risurrezione.

Le divisioni nella comunità di Corinto
Tutti questi temi che noi ritroviamo nella storia della chiesa attraverso i secoli, sono già presenti in questa comunità di Corinto; naturalmente non poteva mancare il tema di cui adesso ci occupiamo, quello dell’unità e della divisione nella chiesa.

Paolo comincia dicendo: fratelli, fratelli miei, cioè mette il fondamento a tutto il discorso, siamo fratelli e sorelle. Dunque l’espressione del Concilio Vaticano II “fratelli separati”, Paolo non la potrebbe capire. Ma come? Se sei fratello non sei separato, se sei separato non sei fratello.

Poi va avanti: vi esorto, ecco mi è stato riferito fratelli miei da quelli di casa Cloe che tra voi ci sono litigi o, appunto meglio si può tradurre, contese, diverbi così accesi che rischiano di diventare divisioni. Divisioni che sono presenti nel versetto precedente: “Vi esorto nel nome del Signore Gesù Cristo a non avere divisioni tra voi”.

Schismata, è la parola greca schismi da cui viene la parola scismi, vi esorto a non avere scismi, divisioni, cioè queste sono contese – erides in greco che vuol dire appunto contesa, conflitto, diverbio, ma diverbio acceso -, che possono diventare divisione, scisma.

Di che divisioni si tratta? L’apostolo Paolo le spiega così: «Ciascuno di voi dice “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “E io di Pietro”, “E io di Cristo”». Chi sono questi? Sono dei veri e propri partiti religiosi che si erano formati all’interno della comunità di Corinto? Sono addirittura delle scuole teologiche che presentavano l’evangelo cristiano in una certa maniera?

No, sembra piuttosto si trattasse di preferenze personali. Cioè, a me piace Apollo come parla, mi piace piuttosto Paolo che è un po’ più semplice, Apollo è un po’ più complicato, un po’ più complesso; ma c’è chi ama la complessità, c’è chi ama la semplicità; un altro dice no, io preferisco Pietro perché è uno dei Dodici, mentre Apollo e Paolo non sono dei Dodici e allora io sono di Pietro, mi piace avere alle mie spalle un apostolo, uno dei Dodici.

Poi c’è chi dice: io sono di Cristo. Chi sono questi? Probabilmente sono coloro che dicevano: io ho un rapporto diretto con Gesù Cristo e quindi non ho bisogno né di Paolo né di Pietro né di Apollo e vivo di questo rapporto personale diretto, magari accompagnato da qualche rivelazione personale, da qualche esperienza unica direttamente con Cristo, non ho bisogno di nessun apostolo.

Si tratta di un ritorno alla fonte ignorando tutto quello che c’è in mezzo, quella che potremmo chiamare la tradizione, tradizione apostolica o tradizione ecclesiastica, comunque la tradizione. Come hai notizie di Gesù Cristo? Attraverso chi te ne ha parlato; allora, c’è chi dice: no, tutto questo non conta, conta ormai il mio rapporto personale diretto con Cristo e tutto il resto lo metto da parte; questi potrebbero essere quelli che dicevano: io sono di Cristo.

Non erano ancora divisioni. Si trattava di gruppi personali, cioè gruppi di cristiani che si richiamavano a uno o all’altro o direttamente a Cristo, ma che rischiavano di diventare divisioni. Paolo risponde a questa situazione di rischio di divisione con due argomenti, che troviamo in 1Cor 1,13.

Le argomentazioni di Paolo
Primo argomento: “Cristo è forse diviso?” Cioè c’è un Cristo di Paolo, un Cristo di Apollo, un Cristo di Pietro? No, c’è un unico Cristo, che non è diviso rispetto ai diversi modi con cui viene presentato. Se Cristo non è diviso allora neanche i cristiani possono essere divisi, perché se sono divisi vuol dire che non sono di Cristo.

Paolo intende sia il Cristo storico (vissuto, morto, crocifisso e risorto) sia il corpo di Cristo, come risulta da questa stessa Lettera al capitolo 12 (vv. 12-27); perciò quando si domanda “Cristo è forse diviso?” intende affermare che non solo Cristo non è diviso secondo i diversi modi con cui viene presentato, ma che non è diviso neanche il suo corpo, perché se lui è uno, il corpo è uno. Così, non c’è un corpo di Cristo diverso da quello che c’è: la comunità cristiana.

Perciò, c’è anche questa dimensione del corpo che non può essere divisa: se i cristiani sono divisi non sono di Cristo, né gli uni né gli altri. Non è allora che uno è di Cristo e l’altro no, tutti e due non sono di Cristo. Si tratta di un discorso molto serio che mette in discussione il nostro essere divisi. Noi cristiani siamo divisi, c’è poco da fare. Questo è il primo argomento, molto solido.

Secondo argomento: “Paolo è forse stato crocifisso per voi?”. Ovviamente no, e anche se lo fosse stato non sarebbe stato crocifisso per voi, ma sarebbe stato crocifisso per Cristo. Cioè il martire non è martire a salvezza dei cristiani, ma è martire come testimone di Cristo. Perciò, anche se Paolo fosse stato crocifisso per via della sua testimonianza, come probabilmente sarà decapitato a Roma, non è decapitato per voi ma per la sua testimonianza a Cristo. Per voi è Cristo che è morto.

Ciò che Paolo qui vuole dire è che il ministro, l’apostolo, il pastore, il prete, il vescovo, il papa, per quanto importanti possano essere come testimoni, non c’entrano con la nostra salvezza. Non sono loro il nostro salvatore, il salvatore è Cristo. Ecco perché dice: “Paolo è forse stato crocifisso per voi?” No, per voi è stato crocifisso solo Gesù. Quindi, il ministro è importante, ma è secondario rispetto all’opera della salvezza. Io ti comunico la salvezza di Cristo ma è la salvezza di Cristo che ti salva, non la mia comunicazione.

Ecco allora il problema: l’unità della chiesa è minacciata, è in pericolo; perciò Paolo si domanda cosa dobbiamo fare, per evitare il rischio della divisione, che purtroppo poi non è stato evitato.

Unità nella diversità
L’unità della chiesa, l’unità cristiana, l’unità del popolo di Dio è un’unità che fin dall’inizio è stata caratterizzata come unità diversificata, unità nella diversità. cioè l’unità esiste soltanto a patto di essere diversificata, se non è diversificata non è l’unità cristiana. L’unità di cui parla la Sacra Scrittura, l’unità che noi confessiamo, è un’unità diversificata.

La fede cristiana ci dice che Dio è uno e trino, cioè un’unità nella diversità, attraverso la diversità; Dio non è uno senza essere trino, non è uno senza essere tre, non è uno essendo uno ma è uno essendo tre. Quindi, proprio nella fonte di tutto il pensiero cristiano, di tutta la fede, di tutta la teologia, c’è questo intreccio indissolubile, inseparabile di unità e diversità.

Poi, una Bibbia due Testamenti. Due Testamenti ma tre Alleanze: quella con Noè, quella con Mosè, quella con Gesù. Anche qui, uno e tre. Restiamo ancora nell’Antico Testamento, una rivelazione, ma Legge e Profeti; anzi, Legge, Profeti e Libri Sapienziali (Giobbe, Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, …).

Un testo sacro, la Bibbia, tre lingue: ebraico, aramaico, greco. Ogni lingua è un mondo. Quando si dice ebraico si dice tutta una costellazione di pensieri, di categorie, di modi di vedere la realtà che è diversa da quanto si può avere a partire dalla lingua greca. Quindi, un testo sacro, tre lingue, tre mondi.

Passiamo al Nuovo Testamento: una vita di Gesù, quattro evangeli. Quattro addirittura. Tanto che nell’antichità quando la cultura, chiamiamola pagana, ha cominciato a polemizzare col cristianesimo, cercando di screditarlo dal punto di vista culturale e non religioso, uno dei grandi argomenti è stato proprio questo: quattro redazioni della vita di Gesù diverse tra loro, vuol dire che non c’era accordo; neanche loro esprimevano una verità. Effettivamente questi quattro evangeli parlano tutti di Gesù di Nazaret, dello stesso Gesù, ma in quattro modi molto diversi tra loro.

Non solo, se proiettiamo la figura di Gesù sul ventaglio degli scritti del Nuovo Testamento, troviamo dei ritratti, dei volti di Gesù profondamente diversi. Pensiamo al Cristo dell’Apocalisse; al Cristo di Giovanni; al Cristo di Paolo, tutto concentrato sulla croce, sulla resurrezione di Gesù; al Cristo della Lettera agli Ebrei, Gesù che presiede la liturgia celeste…; ma si tratta sempre di Gesù.

Uno Spirito, molti carismi, molti ministeri. Molteplicità, pluralità, diversità, ma sempre lo stesso Spirito (cfr. 1Cor, 12). E poi, una chiesa, un corpo di Cristo ma diversi modelli di chiesa. Quindi, riassumendo questo punto, unità nella diversità, ma anche, come dice Cullmann[1], unità attraverso la diversità, mediante la diversità. Cioè è la diversità che costituisce l’unità, quindi la diversità non è una degenerazione dell’unità, al contrario, è l’unità che risulta da una diversità unificata. Questa è la visione cristiana dell’unità e dell’unità della chiesa.

La perdita della diversità
La diversità originaria col tempo è andata perduta. Già nel secondo secolo si delinea questa perdita a favore di un’unità interpretata come uniformità. Ecco, potremmo dire così, mentre nel secolo apostolico unità e diversità si integravano una nell’altra, erano parte una dell’altra, nel secondo secolo l’unità diventa sempre più uniformità, attraverso un duplice processo che riguarda la figura del vescovo.

Il ministero del vescovo diventa il perno istituzionale della comunità cristiana, ma soprattutto diventa il titolare di tutti i ministeri, colui nel quale tutti i ministeri si riassumono. Per cui il presbitero, quello che oggi si chiama prete, è l’emanazione del vescovo a livello locale. Il vescovo non è più il vescovo di una parrocchia, è il vescovo di una diocesi, concetto ereditato dal diritto romano, dall’organizzazione romana dell’impero.

Non è più, dunque, il vescovo ministro della comunità locale, è ministro di una diocesi e il prete è il rappresentante locale, il vicario locale del vescovo. Ma in realtà è come se fosse presente il vescovo perché il vescovo è titolare di tutti i ministeri. Si tratta di una contrazione fatale della diversità dei ministeri che era attestata nel Nuovo Testamento e, in conseguenza, l’unico modello di chiesa che si afferma nel terzo e quarto secolo, a partire dal secondo, è il modello episcopale, che in realtà nel secolo apostolico come tale non esisteva. Però si è affermato ed è quello che è diventato egemone nella chiesa cosiddetta costantiniana, che poi ha caratterizzato tutta la sua storia nei secoli successivi.

La pluralità nella divisione
Perciò, l’unità è diventata uniformità. Che cosa è successo poi? Naturalmente semplifico, perché si tratta di una storia di secoli. È successo che con le cosiddette divisioni, cioè lo scisma tra Oriente e Occidente nel 1054, – data simbolica naturalmente, che prendiamo per buona -, e la divisione del XVI secolo tra cattolicesimo e protestantesimo, nasce una pluralità di modelli di chiesa che era stata sepolta grosso modo a partire dal IV-V secolo. E allora, con l’Ortodossia orientale, a partire dal 1054, nasce una chiesa senza papa, cioè una chiesa in cui non esiste più un vescovo universale, quello che il vescovo di Roma, il papa, pretendeva di essere. Il vescovo di Roma, patriarca dell’Occidente, da quel momento potrà governare solo l’Occidente.

Quando Francesco è stato eletto e la sera dell’elezione si è presentato coram populo dicendo sono il vescovo di Roma, ha fatto un’affermazione molto importante ecumenicamente. Naturalmente non dobbiamo spingere troppo l’interpretazione, però il significato è: non sono il vescovo del mondo, non sono il vescovo di tutti i cristiani, sono il vescovo di Roma. Che poi il vescovo di Roma attraverso la storia pretenda di essere il vescovo di tutti i cristiani, d’accordo, però Francesco non l’ha detto.

Con la riforma del XVI secolo scompare il vescovo, non dappertutto, perchè nelle chiese luterane del nord c’è l’episcopato; le chiese scandinave, la chiesa di Danimarca, le chiese baltiche sono chiese luterane con l’episcopato. Addirittura a Lund c’era una donna arcivescova della chiesa svedese[2]. Ma la maggioranza del protestantesimo, nato dalla riforma del XVI secolo., a torto o a ragione, ha scelto una forma di chiesa senza vescovo. Noi valdesi, che siamo una chiesa lillipuziana, da otto secoli siamo senza vescovo. È una forma di chiesa, non sarà la migliore, non si discute, ma può esistere una chiesa senza vescovo.

Quindi rinasce la diversità, con la divisione però. Mentre la diversità nel primo secolo era nell’unità, a partire dal secondo millennio nasce una pluralità ma nella divisione. È quello che il movimento ecumenico cerca di superare. L’unità cristiana è diversificata; se non è diversificata non è cristiana, ed è diversificata non come degenerazione dell’unità ma come costituzione dell’unità.

Da dove nasce la divisione? Ecco la grande domanda alla quale si può rispondere in modi molto diversi. Io do due risposte. La prima è che, non dico tutte, ma molte divisioni sono nate dalla scomunica della diversità, cioè la diversità è stata fin dall’antichità volentieri scomunicata; la divisione è nata da questa scomunica, naturalmente non solo. E la seconda è che la divisione nasce dalla complessità della verità cristiana, cioè la verità cristiana non è così semplice. Prendiamo, ad esempio, la Trinità, non è semplice. Ecco allora i due elementi della divisione: la scomunica della diversità e la complessità della verità cristiana che costituisce la sua unità.

La scomunica della diversità: vediamo ciò che è stato motivo di divisione attraverso i secoli; la divisione è antica come l’unità, è antica come la chiesa. Nel secondo secolo, ad esempio, ci sono state molte divisioni ma due in particolare, due dissidenze cristiane, dico cristiane, sono particolarmente importanti e voglio solo menzionarle. Sono state dichiarate eretiche; in un certo senso lo erano, in un altro senso non lo erano.

Montano e Marcione
Una è il montanismo. Il montanismo è un grande movimento, seguaci di questo Montano, che tra l’altro ha dato moltissimi martiri alla fede cristiana. In realtà poi dietro Montano c’erano due donne, Domitilla e Priscilla, che erano due profetesse (loro si chiamavano La Nuova Profezia). Mentre i vescovi dicevano: titolari dello Spirito Santo siamo noi, l’abbiamo ricevuto attraverso gli apostoli che l’hanno trasmesso ai vescovi, perciò lo Spirito Santo parla attraverso noi; i montanisti, invece, dicevano: veramente lo Spirito Santo è dato a tutti i cristiani e la profezia, cioè il discorso ispirato dallo Spirito, è un discorso che tutti i cristiani possono fare. Non mi sembra, se questo era, come credo che fosse, che il montanismo fosse un’eresia così spaventosa. Praticamente loro contestavano il monopolio dello Spirito Santo da parte dei vescovi e dicevano: lo spirito Santo è dato alla comunità, non è dato soltanto ai vescovi. Comunque, eretici e quindi divisione, separazione, scomunica.

L’altra grande dissidenza, che è durata fino al V secolo d.C., è la cosiddetta eresia di Marcione. Lui sì aveva delle posizioni che giustamente la Chiesa ha ritenute eretiche, contrapponeva il Dio dell’Antico Testamento al Dio del Nuovo Testamento e diceva: il Dio dell’Antico Testamento non è lo stesso di quello predicato da Gesù, perché era un Dio violento, un Dio irato, un Dio degli eserciti, un Dio guerriero. Il Dio rivelato da Gesù è il Padre di tutti gli uomini, che fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli ingiusti, è assolutamente un altro Dio.

La chiesa credo abbia avuto ragione nel dire che il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe era il Dio di Gesù ed è il Dio della fede cristiana. Che questi due modi di essere di Dio non si escludono a vicenda, sono lo stesso Dio. Marcione è stato il primo nella storia cristiana che ha creato un canone biblico costituito dall’evangelo di Luca (un unico evangelo appunto per evitare la pluralità che veniva criticata dai pagani, quattro sono troppi, allora lui ne sceglie uno, l’evangelo di Luca) e dalle lettere di Paolo.

Canone vuol dire la parola autorevole che la Chiesa, la fede deve ricevere come parola di Dio.

Ma perché Marcione crea il canone che non c’era? C’era l’Antico Testamento che circolava ancora e poi c’erano tanti scritti del Nuovo Testamento, anche i cosiddetti apocrifi, che continuavano a circolare per le chiese e che venivano letti. E invece ad un certo punto Marcione ritiene che occorra scegliere tra tutta questa letteratura, e dire: questi sono canonici, cioè sono scritti che hanno autorità sulla fede, cioè scritti che richiedono di essere creduti e non soltanto essere letti e sfogliati.

Marcione crea il canone per combattere la tesi di certi vescovi che dicevano: non abbiamo nessun bisogno di canone, perché il canone siamo noi, noi siamo i successori degli apostoli; vuoi sentire la voce degli apostoli? la nostra è la voce degli apostoli. Contro questa tesi Marcione crea il canone per affermare che la voce degli apostoli è la lettera ai Romani, è la lettera ai Corinzi, sono le lettere dell’apostolo Paolo, questa è la voce dell’apostolo, non la vostra voce.

Una tesi interessantissima. Infatti, la chiesa poi ha preso per buona questa idea di Marcione e ha creato, attraverso un lungo processo, il canone che abbiamo noi. Anche Marcione, che pure aveva delle idee francamente non accettabili dal punto di vista della fede cristiana, ha avuto intuizioni profonde. Il fatto di averlo scomunicato, cioè di aver escluso tutto il discorso di Marcione dalla chiesa, è stato un impoverimento.

Ario e la questione trinitaria
Proseguiamo e arriviamo al IV secolo dove abbiamo la grande contesa tra l’arianesimo (Ario) e gli ortodossi (Atanasio), cioè i sostenitori della dottrina trinitaria così come noi l’abbiamo ricevuta, la crediamo e la confessiamo. Siamo tutti amanti della dottrina della Trinità, io comunque lo sono al cento per cento. Ma Ario che cosa diceva? Cristo è Dio ma non allo stesso livello del Padre. Cioè all’interno della divinità vedeva una gerarchia, una differenza, tra la divinità del Padre, che è assoluta e originaria, e la divinità del Figlio, che è derivata e secondaria.

Chi ha ragione? Chi è entrato nel mistero di Dio trinitario? Nessuno di noi. Ario è stato scomunicato, tutti i vescovi ariani sono stati deposti. Ma l’arianesimo è andato avanti fino al Medio Evo, perché non è con le leggi che si può veramente vincere una battaglia, occorre convincere se si vuole vincere. Anche in questo caso certe posizioni, che sono state escluse, scomunicate, e quindi si è creata una divisione non nella chiesa ma fuori dalla chiesa, in realtà sono posizioni che potevano benissimo coesistere in una dialettica; dobbiamo infatti considerare che la verità non è così semplice.

Da Calcedonia al Vaticano I
Nel V secolo incontriamo il concilio di Calcedonia. A Calcedonia viene definito il dogma sulla persona di Cristo, veramente Dio e veramente uomo, l’unità della persona, della mente, della volontà, dei sentimenti. Ci sono chiese che accettano il dogma di Calcedonia. Noi cattolici e protestanti siamo tutti d’accordo, ma all’interno dell’ortodossia ci sono chiese che non accettano il dogma di Calcedonia, per la sua formulazione, non per la sua intenzione. Dobbiamo considerare che sono tutte posizioni discutibili, su argomenti che ci superano da tutti i punti di vista. Anche in questo caso, ritengo che la scomunica della posizione perdente non sia stata una vittoria, è stata, se non una sconfitta, un impoverimento della complessità della verità cristiana.

Ancora, nell’VIII secolo, ci sono polemiche a non finire sulla questione delle immagini. La divinità è rappresentabile o no? Il movimento iconoclasta, cioè il movimento contrario alle immagini, sosteneva che non sono rappresentabili né Dio Padre né lo Spirito Santo, ma neanche Gesù.

Il movimento iconoclasta sosteneva che fare un dipinto di Gesù che riesca ad esprimere in eguale misura il suo essere Dio e il suo essere uomo è praticamente è impossibile; qualunque immagine di Gesù si faccia o è troppo divina o è troppo umana. Anche in questo caso la polemica tra chi sostiene che si possa rappresentare l’immagine e chi sostiene il contrario, è una polemica che non bisogna risolvere con una scomunica, deve restare una dialettica.

Anche noi valdesi siamo stati scomunicati perché Valdo, essendo laico, rivendicava il diritto di predicare l’evangelo. I valdesi imparavano a memoria la Bibbia, porzioni della Bibbia, soprattutto il Sermone sulla Montagna, e andavano in giro per le piazze, per le strade, nelle case. Valdo è stato scomunicato perché un laico non ha il diritto di predicare.

Valdo era un mercante, che ha avuto una crisi, si è convertito, ha venduto tutto, come farà Francesco d’Assisi trent’anni dopo. Francesco ha fatto la stessa cosa che ha fatto Valdo, il messaggio era lo stesso: povertà e predicazione popolare, alfabetizzazione dei cristiani, ecc.

Anche Francesco d’Assisi era un itinerante permanente. Però ad un certo punto il vescovo di Ostia gli ha detto: caro Francesco, se vuoi restare nella Chiesa e non diventare un eretico come i valdesi, devi diventare chierico, devi entrare nella gerarchia, perché soltanto così hai il diritto di predicare. Francesco ha accettato la tonsura; ha accettato di entrare, sia pure nell’ultimo posto come sud-diacono, proprio in fondo alla scala gerarchica della chiesa cattolica; ha accettato e allora ha potuto proseguire, altrimenti anche lui sarebbe stato scomunicato, perché anche lui predicava.

Ancora e per ultimo. Nel 1870 con il Vaticano I ci fu la definizione del dogma dell’infallibilità e del primato del papa. All’interno della gerarchia cattolica ci fu un movimento di resistenza capitanato da un cardinale, il cardinale Döllinger, un grande personaggio coltissimo, che ha scritto opere molto importanti di storia della chiesa. Lui era contrario a questo dogma; ha combattuto tutta la sua battaglia, l’ha persa, il dogma è stato approvato e lui, che era contrario, doveva sottomettersi; non l’ha fatto e quindi è stato scomunicato, lui e i suoi seguaci, ed è nata una chiesa, che in Italia praticamente non esiste, ma che esiste in Austria, in Olanda, in Svizzera: si chiama chiesa vetero-cattolica, cioè sono cattolici ma non hanno il dogma sull’infallibilità. Anche in questo caso, si può considerare un delitto spirituale così grande il non credere come articolo di fede, perché questo è un dogma, all’infallibilità e al primato del papa?

La complessità della verità cristiana
Ecco perché ritengo che un ruolo notevole nella divisione l’abbia svolto la scomunica di tante posizioni, che si possono discutere naturalmente, ma che sostanzialmente dialettizzavano la verità cristiana; sarebbe stato utile che questa dialettica relativa alla verità cristiana fosse rimasta nella chiesa e questo sarebbe stato possibile se non fosse intervenuta la scomunica. Quindi, c’è una rigidità delle strutture in cui si articola la vita della chiesa, le strutture portanti, e c’è una rigidità delle strutture mentali, che rendono difficile l’unità della diversità.

Accanto a tutto questo c’è un altro nodo della questione unità/diversità e cioè la complessità della verità cristiana. Faccio due esempi. Prendiamo le parole di Gesù: Hoc est corpus meum, “questo è il mio corpo”. Ci sono molte interpretazioni diverse di questa parola, che Gesù non ha spiegato, che Paolo non ha spiegato pur riferendola, che nessun apostolo ha spiegato, che nessun teologo del secondo secolo ha spiegato, ma le vogliamo spiegare noi e nasce la divisione, perché c’è chi le intende in un modo, chi le intende in un altro. Non essendoci un criterio di interpretazione, tutto è possibile, nulla è possibile.

Altro esempio: Tu es Petrus, quello che c’è scritto nella cupola della basilica di San Pietro. C’è chi sostiene: quando Gesù dice “Tu sei Pietro”, intende Pietro e i suoi successori. Chi sono i suoi successori? Sono i vescovi di Roma, perché Pietro è venuto a Roma. Non solo, poi è diventato vescovo di Roma. È una spiegazione, discutibilissima, ma è una spiegazione, anche a partire dal fatto che Pietro sia venuto a Roma.

L’altra interpretazione, quando Gesù dice: “Tu sei Pietro”, non parla del successore di Pietro e quindi è una parola che si riferisce solamente a Pietro. Allora possiamo discutere all’infinito. Io dico semplicemente che sono diverse letture possibili. Se ne scomunichiamo una, non è che si vinca una battaglia, semplicemente priviamo quella parola della polisemia, cioè della molteplicità di significati che essa può avere e che deve avere proprio perché non è stata spiegata. E quindi c’è un guadagno per tutti se resta aperta. La verità cristiana è aperta e questo secondo me è fondamentale.

Le divisioni nascono naturalmente da tanti aspetti, io ho messo in luce, perché di solito non viene evidenziata, la scomunica della diversità, cioè della pluralità interpretativa di tante realtà e di tante parole anche bibliche, e dalla complessità della verità cristiana.

L’unità come diversità riconciliata
Quale prospettiva, abbiamo oggi, per il superamento del conflitto? La prospettiva che oggi viene presentata da più parti, la proposero i luterani nell’assemblea mondiale di Curitiba in Brasile intorno 1990, ma ho avuto la grande sorpresa di trovare questo concetto nella Evangelii gaudium, la prima Esortazione apostolica dell’attuale papa, cioè la prospettiva della diversità riconciliata.

Il papa la cita riferendola a una dichiarazione dei vescovi del Congo che si riferivano a loro volta alla diversità delle culture e proponevano questa diversità riconciliata; non so se sapessero che questa categoria, questa nozione risale ai luterani del 1990 ed è il loro programma ecumenico, comunque il papa la fa sua e la propone come una via possibile.

Dalla diversità non si torna indietro, anche perché con tutti i suoi angoli acuti la diversità, io credo profondamente, è un dono dello Spirito, quindi non è l’invenzione di qualche esaltato. Però deve essere riconciliata, perché una diversità non integrata in una visione unitaria è una diversità solitaria, una diversità che non ha tutto il valore che deve avere nel quadro di un’unità ritrovata, riconquistata.

Nella stessa Evangelii gaudium il papa afferma che ci sono tante cose che ci uniscono come cristiani di diverse chiese, di diverse confessioni, e possiamo veramente imparare molto gli uni dagli altri, non soltanto per conoscerci meglio, cosa peraltro sempre necessaria e sempre utile, ma per scoprire se crediamo veramente nell’azione generosa e libera della Spirito Santo. Possiamo scoprire nell’altra chiesa, nell’altro cristiano quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi (cfr. EG 246). Noi vediamo qui proprio il rovesciamento dello sguardo di un cristiano o di una chiesa nei confronti dell’altro.

Anch’io cresciuto nella chiesa valdese di cui faccio parte fin dall’infanzia, sono stato abituato a veder nella chiesa cattolica tutti i suoi difetti, tutto quello che secondo noi valdesi è sbagliato; questo è un giudizio che di solito si dà, cioè si guarda all’altra chiesa, all’altro cristiano per vedere quello che le manca per essere veramente chiesa o quello che ha di troppo o quello che ha sbagliato. Invece il papa dice: tu devi cercare quello che lo Spirito ha seminato là come un dono anche per te.

Si potrebbe pensare ma perché Dio non me lo ha dato direttamente questo dono? Se te lo avesse dato direttamente tu potresti pensare che non hai bisogno dell’altro: sono cristiano senza di te; non ho bisogno di te, ho tutto. Invece no, ho bisogno di te per essere cristiano, perché lo Spirito ha seminato nella tua comunità qualche cosa che mi vuole regalare, affinchè io abbandoni l’idea dell’autosufficienza e sia per così dire obbligato a venire da te per trovare il dono che Dio vuole fare a me.

Questa è la quintessenza dell’ecumenismo. 

Paolo Ricca
Teologo e pastore Valdese

 – – Note – – – –
[1] Oscar Cullmann (1902-1999) è stato un teologo luterano. L’unità attraverso la diversità è una sua opera del 1986 [ndr].
[2] Il riferimento è all’incontro di preghiera nella cattedrale di Lund (Svezia) in occasione della Commemorazione comune luterano-cattolica della Riforma e alla firma di una Dichiarazione congiunta con la partecipazione di papa Francesco (31 ottobre 2016) [ndr].

[Pubblicato il 20.8.2024]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: www.lanazione.it]

2 Commenti su “LE COMUNITÀ CRISTIANE
TRA PLURALISMO E UNIFORMITÀ”

  1. Grazie, grazie, stupenda, come sempre , questa riflessione ampia e profonda di Paolo Ricca, che ascoltavo molto volentieri alle Sessioni del SAE e alla trasmissione su RAI3 ‘Uomini e profeti”.Grazie di averla riportata! Gina Abbate ( Merano)

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