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MISSIONE IN ITALIA LE ATTESE DEL VESCOVO DI ROMA

Franco Ferrari

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La missione cambia. Da attività per Istituti religiosi “specializzati” si riaffaccia ora alla vita ordinaria di tutta la Chiesa; non è più tanto e solo ad gentes, in territori lontani tra i pagani, ma intra gentes, cioè tra i popoli convertiti da secoli. La modernità, prima, e la post-modernità, ora, con la conseguente secolarizzazione rendono necessario riproporre l’Evangelo anche tra i popoli di cosiddetta “antica evangelizzazione”. È nella Francia degli anni ’40 del secolo scorso che si avvia, con sorpresa e scandalo, questa presa di coscienza, ma bisogna attendere il Concilio con il Decreto Ad gentes perché la missione sia considerata un elemento costituivo della Chiesa, “La Chiesa è per sua natura missionaria” (n. 2), con la conseguenza che ogni Chiesa locale è missionaria nei confronti del proprio ambiente.

Cambiare la prospettiva
Un cambiamento di prospettiva che, rimasto per tutti questi anni impigliato nelle pagine degli studi specialistici, è stato ripreso in modo forte da papa Francesco nell’Evangelii gaudium. È in questo più ampio contesto che occorre collocare le sollecitazioni del Vescovo di Roma alla Chiesa italiana.

Molta enfasi è stata posta sul discorso di Firenze ai rappresentanti del V Convegno nazionale della CEI (9-13.11.2015), ma Firenze possiamo dire che sta al culmine, perché viene dopo quattro discorsi che papa Francesco, dal maggio 2013 (a due mesi dalla sua elezione), ha tenuto ai vescovi italiani in occasione di altrettante Assemblee generali della CEI. Tante sfumature di una precisa “catechesi” ai Pastori della sua Chiesa.
“Cosa ci sta chiedendo il papa?” È la domanda che Francesco ha posto sulla bocca dei suoi interlocutori fiorentini; il quesito era sì retorico, ma anche domanda vera che molti – pastori ed establishment cattolico – si pongono di fronte a questo imprevedibile successore di Pietro. Il linguaggio diretto di Francesco non costringe a sottili interpretazioni o a giri di parole per dare la risposta. 

 Una Chiesa dinamica, fedele alle origini. A conclusione del discorso di Firenze si legge: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, […]. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza.”, che guardi all’autenticità delle origini, secondo l’invocazione a Maria, fatta a chiusura del primo incontro con la CEI: “Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria:/torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente”. (23.5.2013). È la conferma di Evangelii gaudium, 49: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata”.

 Una Chiesa con una spiritualità cristocentrica. Chiesa comunità del Risorto, corpo del Signore, anticipo e promessa del Regno: sono le tre forti caratteristiche della Chiesa, che Francesco ha ricordato all’Assemblea generale del maggio 2014. Perciò “i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Signore, che ci spalanca continuamente gli orizzonti della missione”. E a Firenze l’invito è stato quello di assumere tre sentimenti, tre tratti di Gesù: umiltà, disinteresse, beatitudine; per non essere una Chiesa ossessionata dal potere, ”anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa”, per vivere nella beatitudine della solidarietà, della condivisione, del lavoro quotidiano, per superare la rassicurante autoreferenzialità delle nostre istituzioni, delle nostre abitudini.

 Una Chiesa sinodale, che valorizzi tutto il popolo di Dio. Le indicazioni sono chiare: “Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme”, “sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori” (10.11.2015); “rinforzare l’indispensabile ruolo dei laici”, che “non dovrebbero aver bisogno del Vescovo-pilota […] o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità” (18.5.2015); “ascoltate il gregge. Affidatevi al suo senso di fede e di Chiesa” (19.5.2014). Sinodalità e “decentralizzazione” sono due pilastri della Chiesa che Francesco sogna e che ha ampiamente illustrato nel discorso tenuto ai Padri sinodali in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi (17.10.2015).

 Un rinnovamento e un governo della pastorale che manifestino sensibilità ecclesiale. Francesco, si rifà alla visione globale della Chiesa, che gli offre il suo ministero, per indicare esigenze che sono espressione di un trend non solo italiano. Si tratta di manifestare una “sensibilità ecclesiale” che deve portare: a sconfessare senza timidezze la “mentalità di corruzione pubblica”; a non attardarsi su “una pastorale di conservazione, di fatto generica, dispersiva, frammentata e poco influente”, orientandola verso i bisogni del popolo e del paese; a riconoscere “spazi di pensiero, di progettazione e di azione alle donne e ai giovani; ad operare per l’inclusione sociale dei poveri; a curare la capacità di dialogo e di incontro con tutti i mondi; fino a prestare attenzione all’esigenza di ridurre il numero delle Diocesi e all’invecchiamento degli Istituti religiosi con l’invito ad operare accorpamenti “prima che sia troppo tardi”. (Discorsi del 23.5.2013, 19.5.2014, 18.5.2015, 10.11.2015).

Si può capire quanto il papa ritenga urgenti, non più rinviabili questi interventi e non più accettabili le varie resistenze, se si considera che alla 66^ Assemblea generale della CEI, ha fatto distribuire in copia personale il discorso che Paolo VI tenne, proprio alla CEI da poco costituita, cinquant’anni fa (14.4.1964), chiosando: “È un gioiello. È come fosse stato pronunciato ieri”. Un lungo testo nel quale Montini affrontava varie questioni, e in un passaggio diceva “L’ordinaria amministrazione del governo pastorale non è più sufficiente a pareggiare la misura dei Nostri doveri e delle altrui necessità!”, invitando poi i vescovi a sprovincializzarsi con qualche “saggia e fraterna conversazione con i gruppi episcopali degli altri paesi […] per una fraterna emulazione”. 

 Uno stato di missione permanente. È di questo che si tratta. È questo che il Vescovo di Roma vuole per tutta la Chiesa e in particolare per la Chiesa italiana, che sembra in difficoltà nel trovare la giusta sintonia con un ordine di priorità e uno stile pastorale profondamente innovativi. È questo il senso dell’invito esplicito, dopo tre anni di auspici, a leggere e realizzare l’Evangeli gaudium. “Permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni – ha concluso Francesco a Firenze – in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”. 

Per la realizzazione di questi compiti non servono preti, Pastori e laici clericali e tantomeno dei funzionari, occorre realizzare “la vocazione cristiana, di andare contro corrente” (18.5.2015), occorre che tutti ci facciamo “ponti per l’incontro tra Dio e il mondo” (8.11.2015).

Ferrari Franco
Presidente dell’Associazione Viandanti

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L’articolo è apparso su Missione Oggi  (n. 2, febbraio-marzo 2016, pp. 55-56).
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