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NON C’E’ CHIESA SENZA RIFORMA

«Occorre in primo luogo correggere i mali che si compiono nella chiesa di Dio da parte dei ministri ecclesiastici […] Capita infatti oggi che nella chiesa di Dio assumano comportamenti stolti e dissoluti proprio quelle personalità ecclesiastiche che dovrebbero essere di esempio agli altri» (p.57). Questo brano non è un “pezzo” giornalistico sui recenti scandali vaticani, ma uno stralcio da uno scritto redatto nel 1311 dal vescovo Guglielmo Durand per il Concilio di Vienne (1311-1312). In effetti molti dei testi raccolti in questo volume di Saverio Xeres – una antologia di riformatori cattolici e protestanti, introdotti da una pregevole sintesi storica –  mentre denunciano i mali della chiesa del tempo ed esortano alla riforma, inducono a riflettere sulla situazione della chiesa odierna. Raccogliamo qualche spunto, a titolo di esempio.

La si concepisca come recupero d’una forma antica perduta o come guadagno d’una nuova forma, la riforma sempre è dono di Dio, conformazione a Cristo, rinnovata fedeltà alla Parola di Dio. «La forma della Chiesa non è altro che la vita di Cristo» (Dante, p. 55). «Ogni autentico rinnovamento nasce da uomini che si mettono in ascolto della Parola di Dio così come la Bibbia la rivela» (W.A.Visser’t Hooft, p. 149). In questo senso la riforma non è un’opera straordinaria, ma è connaturale all’essere stesso della chiesa. Può essere stimolata da deformazioni e momenti di decadenza, può essere motivata dalla esigenza d’un dialogo costruttivo col mondo contemporaneo, ma è pur sempre vero che, nella misura in cui vi è sempre chi tenta di conformarsi alla vita di Cristo, la chiesa è sempre in atto di riformarsi. Anche oggi, quando chiediamo una riforma della chiesa, a cominciare dal nostro vivere e operare, dobbiamo renderci conto che ci immettiamo in un movimento in atto, che esige di essere accolto, compreso e orientato.

E tuttavia vi è un dato preoccupante, posto in luce soprattutto dalla Introduzione di Xeres: i movimenti dal basso, quando non sono stati accolti e assecondati dai vertici ecclesiastici, non hanno conseguito una riforma globale della chiesa; e, quando sono stati accolti e assecondati, sono sfociati in assetti istituzionali rigidi, bisognosi a loro volta di essere riformati. Lo dimostrano, ad esempio, la teocrazia di Gregorio VII e il Concilio di Trento. Nel primo caso, «la chiesa venne identificata con la chiesa romana, e questa con la sede papale» (p.12), laddove le chiese locali assunsero il ruolo di istituzioni periferiche; e, nel secondo caso,    si può dire che la chiesa cattolica «abbia rafforzato, in epoca moderna, i caratteri di irrigidimento accentratore e giuridico»  (p.23), riproponendo sostanzialmente l’impianto gregoriano. Viene da chiedersi come sia possibile promuovere una riforma che coinvolga tutti senza scadere in sterili contrapposizioni.

Una via percorribile potrebbe essere quella indicata dagli ultimi testi proposti da Xeres (di Paolo VI, del Vaticano II, del pastore J.-J. Allen): coniugare strettamente riforma della chiesa ed ecumenismo. Non è un caso che nel testo latino dei documenti conciliari le uniche due occorrenze del termine reformatio siano presenti nella Unitatis redintegratio, dedicata appunto all’ecumenismo. E però: a che punto è il movimento ecumenico?

Marco Bertè

XERES S. (a cura di), Una Chiesa da riformare. Nostalgia di Evangelo, Qiqajon, Bose 2009, pp. 167.

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