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Jacobello dalle Massegne, gruppo di studenti universitari (bassorilievo marmo,1383-86). Bologna, chiesa di san Domenico

OGGI SERVE UN INSEGNAMENTO
DELLA RELIGIONE AL PLURALE

Filippo Binini

Da diversi anni l’insegnamento della religione cattolica (IRC) nella scuola italiana sembra aver imboccato un pendio scivoloso. In particolare, la scelta di un numero sempre più rilevante di studenti di non frequentare tale insegnamento e il crescente pluralismo religioso rischiano di rendere l’IRC una disciplina sempre più marginale nel panorama scolastico. Il tutto, almeno apparentemente, nella più totale indifferenza da parte di chi invece dovrebbe occuparsene.

Sarebbe al contrario importante che, sul tema, si potesse aprire un dibattito serio fra chi in Italia si occupa della formazione di ragazzi e ragazze, a partire dagli insegnanti di religione. 

La progressiva diminuzione degli avvalentisi
Sebbene la CEI non sembri dare particolare peso alla questione, gli studenti che scelgono di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica sono in costante diminuzione dal 1991, anno in cui si è cominciato a registrare i dati degli avvalentisi in Italia. Da allora, tale linea di tendenza non ha mai accennato a cambiare rotta.

Se peraltro è vero che ancora oggi circa l’85% degli studenti italiani frequenta l’ora di religione, è altrettanto vero che un’analisi dei dati per ordine di scuola ci restituisce un’immagine ben diversa. Il numero di studenti che si avvalgono dell’IRC nelle scuole superiori, ad esempio, scende sotto l’80%, e negli istituti professionali si arriva addirittura al 50%.

Lo stesso accade con una lettura per aree geografiche: in alcune zone del Paese l’IRC è frequentato dalla stragrande maggioranza degli studenti (specie al Sud), in altre zone ormai da anni la maggioranza sceglie di non avvalersene (come in alcune città del Nord).

Questi dati dovrebbero interrogare in qualche modo. Com’è possibile sostenere il valore della cultura religiosa, riconosciuta nel Concordato dalla Repubblica Italiana (art. 9), e allo stesso tempo la facoltà di non avvalersene, continuando a non vedere che sempre più studenti scelgono di ignorare un patrimonio culturale e storico così importante?

La crisi d’identità dell’IRC
L’impostazione dell’insegnamento della religione cattolica risente di un inquadramento ormai datato; l’ultima modifica al concordato ha più di 35 anni e stenta a rispondere adeguatamente a quei cambiamenti che nell’ultimo trentennio hanno ridisegnato la società italiana, anche in ambito religioso. In primo luogo, un crescente disinteresse di giovani e adulti per la religione (solo gli anziani, ormai, sembrano mantenere un solido legame con la fede) e una presenza di altre credenze sempre più marcata.

A causa di tale impostazione, fortemente difesa dalla CEI durante la revisione concordataria del 1984 nei confronti di chi proponeva soluzioni alternative e in gran parte ancora di stampo confessionale, l’IRC attraversa da tempo una crisi d’identità piuttosto palese. Lo si evince in particolare osservando due tendenze, in qualche modo legate fra loro.

Anzitutto, la scarsa chiarezza della disciplina rispetto ai suoi contenuti specifici. È piuttosto comune, ad esempio, trovarsi di fronte a piani di lavoro di IRC talvolta completamente diversi tra un’insegnante di religione e l’altro, o tra un istituto e l’altro. La questione va ben al di là della libertà d’insegnamento, perché lascia alla più completa discrezione del docente anche alcune «competenze minime» indispensabili per poter padroneggiare il fatto religioso. Possibile, ad esempio, che un corso di religione non affronti in alcun modo il linguaggio simbolico, i meccanismi rituali, i miti?

La seconda tendenza mi pare che faccia seguito alla prima. A causa dell’incertezza sui contenuti, l’insegnante di religione ripiega spesso sulla «testimonianza». Tende, cioè, a percepire il suo ruolo nella scuola come quello di un testimone credibile di vita cristiana. Non di rado, negli incontri di formazione per gli insegnati o nei messaggi della CEI, il fulcro dell’IRC sembra essere questo. Ma è corretto che sia così?

Un insegnante di religione è chiamato a essere un buon testimone del Vangelo in quanto cristiano, non in quanto insegnante, e non diversamente da quello di matematica o di italiano. Ma ogni insegnante, compreso quello di religione, ha anche il dovere professionale e educativo di trasmettere alcune competenze specifiche legate alla propria disciplina.

Credo occorra fare molta attenzione a non confondere i piani, la testimonianza di vita cristiana con le competenze specifiche dell’IRC. Limitandoci a testimoniare la verità della religione (la nostra), non staremmo infatti facendo, implicitamente o esplicitamente, proselitismo? Perché dire a qualcuno «guarda com’è bella la mia religione», se non per sottintendere «seguila»? Ma questo non è forse il compito della pastorale ecclesiale? E nel caso in cui quest’incarico venga invece affidato, implicitamente o esplicitamente, all’insegnante di religione, l’ora di IRC non rischia di trasformarsi in una nicchia di potere (clericale) all’interno della scuola (pubblica)? 

Ridefinire l’IRC come spazio di dialogo
Una prima criticità da superare è l’impianto confessionale della disciplina – che peraltro, in una realtà sempre più multireligiosa, risulta anche sempre più discriminatorio, visto che nessuna delle altre fedi presenti in Italia gode di uno spazio dedicato all’interno della scuola.

In questo senso, non mi pare che la direzione possa essere quella di offrire, ad ogni confessione religiosa, uno spazio distinto all’interno della scuola, com’è avvenuto in altri Paesi europei, affiancando all’ora di religione cristiano-cattolica quella di islam, di cristianesimo ortodosso e così via. Da un lato, significherebbe un aumento esponenziale della complessità (per quali religioni attivare un corso e per quali no? Come assumere i docenti? Quali enti sarebbero titolati a formarli? Come organizzare concretamente le lezioni all’interno delle scuole, sempre carenti di aule?), dall’altro traccerebbe una strada che procede non in direzione del dialogo e dell’inclusione fra le religioni, ma piuttosto verso una loro inconciliabilità.

Quel che ha cambiato la società italiana negli ultimi decenni, e in particolare la scuola, non è il pluralismo religioso (sono sempre esistite religioni differenti), ma la sua portata e, ancor più, l’esperienza diretta che ne facciamo quotidianamente. Il confronto concreto e tangibile con un altro universo simbolico, però, richiede il possesso di strumenti sia sul piano cognitivo che su quello esistenziale affinché l’interazione non si trasformi in rifiuto e intolleranza. Oggi, pertanto, mi sembra che la strada da percorrere sia piuttosto quella di un’educazione alla convivenza. Occorre andare verso un insegnamento delle religioni, al plurale; uno spazio educativo in cui differenti visioni del mondo possano dialogare e interagire (posizioni agnostiche e ateiste comprese), ponendo gli studenti di fronte alla realtà e alla complessità della vita reale, dove il dialogo assume inevitabilmente un posto sempre di più centrale.

Rimettere al centro i contenuti
Altrettanto importante diventa ristabilire chiaramente alcune «competenze minime» che l’insegnamento della religione ha il compito di trasmettere agli studenti. Ciò le permetterebbe di superare alcuni limiti che oggi concorrono a rendere l’IRC una «materia debole» all’interno del panorama scolastico. Rimettendo al centro contenuti della disciplina, l’insegnamento della religione potrebbe:

  1. essere maggiormente trasparente di fronte agli allievi, agli altri insegnanti, ai genitori (in base a che cosa, ad esempio, oggi si sceglie se avvalersi o meno dell’IRC, se i nuclei affrontati possono cambiare di continuo?)
  2. dialogare più facilmente con le altre discipline scolastiche, offrendo punti di riferimento tangibili su cui costruire percorsi interdisciplinari, oggi sempre più richiesti e necessari all’interno della scuola;
  3. fornire agli studenti strumenti reali ed efficaci per poter comprendere la struttura, i linguaggi e i meccanismi che caratterizzano le religioni, dotandoli dunque di una buona cassetta degli attrezzi per rapportarsi al fatto religioso e al dialogo.

All’interno della scuola italiana, l’andamento dell’IRC assomiglia sempre di più al paradosso di Achille e la tartaruga. Abituati a pensare che in Italia la religione sia solo quella cristiano-cattolica, la scuola non si è mai curata particolarmente della presenza di altre fedi (salvo periodici e sterili dibattiti sulla presenza del crocefisso in aula), che però progressivamente hanno guadagnato terreno. Senza accogliere positivamente questa nuova presenza e senza ridiscutere seriamente i contenuti della materia, l’insegnamento della religione cattolica rischia – come Achille – di non riuscire a tenere il passo. Fuor di metafora, rischia di trasformarsi in una disciplina sempre più marginale al contesto scolastico, sempre meno frequentata e significativa. Con il pericolo che prima o poi avvenga una rottura, magari guidata dalla scuola stessa, che oggi percepisce dell’IRC sempre di più gli elementi di criticità e sempre meno il suo valore.

Filippo Binini
Insegnante di religione; membro dell’Associazione Viandanti.
Ha pubblicato Pluralismo religioso a scuola: una proposta, Pazzini, 2022, pp. 190

[Pubblicato il 5 febbraio 2022]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: https://mediumaevumweb.wordpress.com]

Nel sito, sul tema, vedere:
Elio Damiano, Insegnamento della religione. Tanto rumore per nulla?

7 Commenti su “OGGI SERVE UN INSEGNAMENTO
DELLA RELIGIONE AL PLURALE”

  1. In questo pezzo ho trovato molte delle istanze di una lettera che alcuni insegnanti di Torino e Novara hanno scritto e inviato al papa (e per conoscenza alla Cei di Roma e delle proprie diocesi) a ottobre, con la richiesta di avviare un ripensamento della nostra disciplina nel prossimo sinodo della Chiesa. Che i temi siano simili è segno che il disagio che tanti di noi proviamo è ampiamente condiviso. A questo proposito mi ha invece sconcertato constatare come molti abbiano preferito non apporre il proprio nome per timore. Anche questo è un aspetto che fa riflettere. Naturalmente non è pervenuta alcuna risposta.

  2. L’insegnamento della religione (cattolica) nella scuola italiana, possibilmente in senso comunitario, insegna a “toccare” il significato del «bene e del male» nella propria esistenza, anche laica, prima in seno alla famiglia, poi nella scuola e poi nella società!
    La speranza è il conseguimento dell’eterna felicità, …della propria anima, dopo il ‘non facile lungo cammino’ di ogni breve vita terrena!

  3. Anch’io sono un Insegnante di Religione con un’esperienza ultratrentennale, quest’anno sono 36 anni di docenza. Ho insegnato alle scuole medie inferiori ed ora alle scuole medie superiori (ai futuri geometri e ragionieri).Condivido pienamente ciò che ha scritto Filippo Binini. Però vorrei aggiungere qualche cosetta ancora.
    Innanzitutto il COME lo studente sceglie la nostra ora di religione. Ebbene lo fanno in prima media ma anche in prima superiore ed in avanti negli anni, senza cognizione di causa: spesso quando sono in prima media o in prima superiore è il genitore che impone una scelta favorevole o contraria all’IRC. Senza però chiedere a me o alla scuola dove andranno i loro figli, almeno uno “straccio” di programma! E soprattutto senza neanche discuterne in famiglia, solo imponendo, quasi che i loro figli siano “pacchettini” da portare qua e là! Ed io a loro chiedo e dico sempre che devono capire e discutere con i propri genitori questa scelta. Poi sento arrivare a colloquio papà e mamma dell’alunno Pincopallo che mi dicono: “abbiamo scelto la sua ora perchè mio figlio è: battezzato, ha fatto la comunione, è cresimato e frequenta ancora l’oratorio”. Mentre invece dalla voce dell’alunno Pincopallo quando è in classe mi viene detto che “vado a Messa se mia nonna mi dà 10 euro! Faccio catechismo perchè mia nonna mi regala dei soldi!” e via discorrendo!! Dunque di che stiamo parlando quando sento queste cose?
    In 36 anni di lavoro SOLO una volta ho avuto il piacere di avere un papà ed una mamma che si intendevano della materia, avevano fatto teologia ed avevano letto attentamente tutto il libro di testo che avevamo alla scuola media (parlo di 5 anni fa circa). Erano venuti a colloquio prima dell’inizio dell’anno scolastico spiegandomi molto seriamente il perchè la loro figlia aveva scelto con loro, dopo averne discusso, di NON iscriversi all’ora di Religione. Ed ho apprezzato moltissimo quel dialogo schietto e la loro scelta! Almeno hanno ben studiato e motivato tutto!
    Ancora una cosa. Con me gli studenti lavorano sodo, proprio perchè devono imparare un po’ di cose riguardanti almeno l’ABC del cristianesimo. per cui condivido ciò che scrive Binini riguardo alla programmazione: c’è una ignoranza su queste tematiche della religione cristiana cattolica, ma anche sulle altre religioni, abissale!
    Per esempio, noi approfondiamo alcuni aspetti sulla figura di Gesù che sono di contenuto storico, artistico ecc… non certo di fede perchè, come dico all’inizio dei miei corsi, noi non facciamo catechismo a scuola. Guardiamo ad esempio un bel documento dove il prof Alessandro Barbero ci parla della storicità di Gesù (su youtube un programma della Rai condotto da Paolo Mieli), oppure trattiamo di Gesù nell’arte, su come i vari pittori lo hanno rappresentato, nei film ecc…
    Sulle Grandi religioni affrontiamo alcune tematiche concrete come: il cibo, la preghiera, il luogo di culto, i libri sacri, la donna, il riso e l’ironia, lo yoga, la danza, ecc… Oppure trattiamo dell’ecologia, dell’acqua… ed ovviamente con documenti e testi delle varie culture religiose, non ultima la Laudato Si’….
    Altro lavoro che facciamo tutti gli anni nelle classi quarte e quinte superiori riguarda le guerre nel mondo, l’accoglienza, il perdono, i muri nel mondo, il carcere (minorile e degli adulti), la problematica del lavoro (nell’attualità, il lavoro nella Bibbia, nella Chiesa cattolica, le morti sul lavoro ecc…), l’eutanasia. Tutti questi argomenti appena accennati qui sono trattati a 360 gradi utilizzando soprattutto dispense che scrivo io, ma anche documentazione tratta da internet, video, ecc… ed a fine argomento facciamo sempre o un questionario o una riflessione per vedere cos’è rimasto, cosa hanno capito ecc…
    Un esempio ultimo è stata proprio l’intervista a Papa Francesco fatta da Fabio Fazio che abbiamo visionato nelle classi quinte del mio istituto; è stata un po’ il riassunto di ciò che ho fatto nel triennio con questi miei ragazzi; i temi trattati in quella intervista sono gli stessi che abbiamo sviscerato a scuola: guerra, vendita delle armi, povertà, stranieri, accoglienza, perdono ecc… Per noi quella intervista è stata come uno specchio dove ci siamo rivisti…
    Per ciò che riguarda poi la valutazione/misurazione dei questionari e riflessioni, noi ne facciamo tanti a quadrimestre, ad esempio in terza ne abbiamo fatte circa 6/7 e quindi avevano proprio 6/ 7 voti a testa. Essendo io in una scuola della provincia di Torino (Ciriè per la precisione) molti già prima di iscriversi mi conoscono e sanno che con me si lavora, e si lavora sodo! Molto spesso poi facciamo anche argomenti in compresenza/collaborazione con il collega di italiano e storia piuttosto che di educazione artistica (alla scuola media soprattutto). E quelle lezioni poi alla fine hanno un doppio voto, mio e del collega dell’altra materia. Molti studenti quindi si passano la voce dicendo che con me si lavora e quindi molto spesso NON scelgono IRC perchè mi dicono candidamente “lei ci fa studiare e lavorare troppo!”.
    Incollo qui, a titolo di esempio, la programmazione delle classi Seconde, Terze e Quarte superiori dell’istituto per geometri e ragionieri fatto nell’a.s. 2020/2021.
    CLASSI SECONDE: Gesù Cristo: uomo-Dio
    Ambientazione storica; Ipotesi su Gesù; Le fonti; Caratteri peculiari del messaggio; Il Nuovo Testamento: I Vangeli; I primi secoli del Cristianesimo; Originalità del Cristianesimo; Le prime comunità cristiane; Le persecuzioni; La figura della donna.

    CLASSI TERZE: Rapporto della chiesa Cattolica con le religioni non cristiane.
    Elementi costitutivi del fatto religioso: credenze, riti, comportamenti e organizzazione; Religioni non cristiane: Buddismo, Induismo, Islam, Ebraismo.

    CLASSI QUARTE: Psicoanalisi e religione: Freud, Fromm; interventi di M. Recalcati.
    Scienza e fede: Il caso Galilei; I giovani e la fede oggi; I giovani e l’Ambiente; Il perdono; Il carcere minorile.

  4. Effettivamente, come ricorda Silvano Bert, i dati sull’analfabetismo religioso in Italia sono impietosi. Si tratta di un altro tema molto interessante e senza dubbio legato all’IRC. Grazie!
    Condivido per molti tratti anche il commento di Marzia Benetti. Senz’altro si tratta di problemi già noti, anche forse possiamo dire che negli ultimi anni si sono fatti sempre più marcati. Ciò naturalmente non rende le “deformazioni” dell’IRC più gravi rispetto al passato ma solo più disfunzionali nel sistema scolastico attuale.
    Condivido anche l’idea di superare un insegnamento confessionale, per un insegnamento statale, con contenuti stabiliti dal Ministero e personale formato e assunto dallo stato.
    Non condivido invece l’idea (se ho capito bene) di incorporare l’insegnamento delle religioni nel percorso di Storia. In primo luogo perché credo meriti una disciplina a sé. In secondo luogo perché non mi pare che tale insegnamento faccia già parte del “programma” di Storia. In esso rientra solo, parzialmente, la storia del cristianesimo e alcuni elementi di quella islamica (peraltro spesso analizzata con gli occhi dell’Occidente). L’insegnamento delle religioni dovrebbe però guardare anche ad altre tradizioni (pensi alle religioni orientali) e tener presenti altri ambiti oltre a quello storico (pensi alla dimensione antropologica)

  5. Sono un ex IRC (1987-2020). Credo uno dei pochissimi nella mia diocesi (Novara) che ha rigorosamente attuato (godendo di quella libertà creativa che l’assenza di peso curriculare negli esami ha consentito) un programma di approccio alle religioni, all’etica, alle spiritualità ecc rigorosamente aconfessionale. Ovviamente eludendo il dettato CEI. Al di là delle parole, nessuno che conosca, tra i miei colleghi, ha assunto questa scelta di metodo. Lavorando cioè per preparare un passaggio ad un’ora di religione aconfessionale, presente negli ordini di scuola ove ha senso una impostazione culturale. Ciò non impedisce di riconoscere che molti colleghi che si sono dibattuti tra lezioni di sostanza culturale o animazione o testimonianza d’impegno (in mille ambiti scolastici) abbiano e stiano facendo cose pregevoli. Anzi meglio di quanto fatto da me: certamente magari, soprattutto negli anni scorsi, riuscendo a trattenere avvalentesi che io – pur stimato da molti alunni e colleghi – ho invece perduto in percentuali superiori al 50%.
    Oltre a tutto quanto detto da Binini aggiungo solo il fatto che IRC è un altro spazio di potere che (come quello politico) la chiesa perderà a breve dimostrando di non essere in grado di anticipare scelte ineludibili (avrebbe dovuto lei assumere il compito di rinunciare alla confessionalità in un società interculturale e responsabilizzare lo Stato a riorganizzare la materia). Complice certo la CGIL e un certo laicismo politico fieramente decisi ad opporsi al ruolo in sé delle religioni nella società (forse oggi è ideologia passata…). Per questo starei attento a proporre (se ho capito bene) la solita idea che basti potenziare le competenze storico-religiose dei docenti “statali”: a parte che anch’io sono un docente statale avendo superato un concorso, verrebbe meno la cura per lo specifico di un ambito di studi (le scienze delle religioni) di cui le competenze storiche sono solo una piccola parte del necessario.
    Bene sarebbe formalizzare (anche partendo dai docenti che ci sono) in modo più rigoroso i programmi in termini scientifici, dare peso analogo nel curricolo (anche con i voti: ad esempio non ho mai utilizzato molto/moltissimo che suonano giudizi qualitativi sulla religiosità dell’alunno, ma sufficiente buono, ottimo… che misurano similmente ai voti i livelli raggiunti). Ciò consentirebbe almeno una cosa banale: se mi ammalo e mi sostituisce un supplente, questo deve essere in grado di proseguire il programma esattamente come capita per tutte le altre discipline.
    Bene sollevare il problema oggi, forse non è tardi. Credo sia comunque una battaglia persa almeno a breve.

  6. Osservo che si arriva a questa ovvia conclusione spinti dalla scoperta (!) che quasi nessuno più sceglie di fare religione. Come dire che, altrimenti, sarebbe giusto mantenere nella scuola pubblica il privilegio del cattolicesimo? Che sia legale non c’è dubbio, visto il Concordato. Gli argomenti riportati, che si ripetono – ma proprio tutti: non leggo niente di nuovo – inascoltati dagli anni Ottanta (!), non valevano quando a non avvalersi erano 4 gatti, ma, ora che i ‘diversi’ in una classe sono gli avvalentisi, le cose cambiano… Certo che ci vorrebbe un insegnamento equo sulle varie confessioni, ma da insegnanti statali, non diocesani; insegnanti che ci sono già, perché le religioni fanno parte del programma di storia: si curi di più (ma sul serio) la formazione dei prof statali sull’argomento religioni, cosa su si potrebbe plausibilmente insistere col Ministero, chiedendo di includere esami obbligatori specifici nel piano di studi di chi vuole insegnare storia.

  7. A Trento, nel 2017, a 500 anni da Lutero, in un convegno interconfessionale (la Cei e le Chiese protestanti) Alberto Melloni e Paolo Naso portarono i dati sull’analfabetismo religioso in Italia, drammatici e divertenti. Fu Paolo Naso ad affermare che l’insegnamento confessionale della religione cattolica era non solo inefficace culturalmente, ma ormai una “contro-testimonianza di fede”. I vescovi presenti rimasero in silenzio.

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