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Giacomo Canobbio
A volte le pratiche precedono le dottrine e queste si modellano in seguito ad alcune intuizioni che hanno poi bisogno di trovare giustificazione e quindi illustrazione. È noto che, a partire dalla fine del primo millennio, nella Chiesa latina il diaconato è stato considerato semplicemente un gradino di passaggio al presbiterato, e solo con il Vaticano II si è aperta la possibilità di valorizzarlo come stato permanente, oltre che come grado del sacramento dell’Ordine.
L’insegnamento del Vaticano II La Costituzione Lumen gentium, al n. 29, dopo aver descritto quali funzioni i diaconi dovrebbero svolgere, afferma che “il diaconato potrà essere in futuro restituito come proprio e permanente grado della gerarchia”. Le ragioni che hanno portato a questa decisione – per la verità piuttosto debole: si noti il verbo “potrà”, che rispecchia la resistenza di alcuni padri conciliari – vanno cercate in due fattori: a) la riscoperta della figura di Chiesa dei primi secoli da parte della teologia nei decenni precedenti al Concilio portava a riprendere funzioni allora presenti e nella Chiesa latina quasi dimenticate; b) le necessità della missione.
Questa seconda ragione, che già espressa in LG 29, assume un nuovo accento nel Decreto Ad gentes, dove al n. 16 si lascia alle Conferenze episcopali restaurare l’ordine diaconale come stato permanente, riconoscendo funzioni già attuate da alcuni uomini dove si riscontra scarsità di clero. Nella prospettiva di questo Decreto l’imposizione sacramentale delle mani non è per completare l’articolazione del ministero ordinato, bensì ...
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