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Franco Ferrari
Indubbiamente il sinodo che si è appena concluso e dedicato alla sinodalità (“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”) non è stato un sinodo facile. Pur essendo durato tre anni, dal 2021-2024, si è rivelato difficile da metabolizzare via via che il processo messo in atto (consultazione, assemblee continentali, prima e seconda sessione), faceva emergere - e confermare ai vari livelli - le questioni da affrontare. Già al termine della prima fase si era dovuto constare che un buon numero di vescovi e gran parte dei presbiteri non aveva risposto con convinzione e partecipazione a questo cammino sinodale.
Il digiuno dell’informazione I lavori sinodali hanno però dovuto fare i conti anche con il problema dell’informazione. Si tratta di una questione che si è posta fin dal primo sinodo convocato da Francesco.
Fino ad allora oltre alle conferenze stampa quotidiane (briefing), venivano fornite alla stampa le sintesi degli interventi che i vescovi facevano in aula durante i lavori, ma a partire dal sinodo sulla famiglia nel 2014, ci sono stati solo i briefing e le sintesi dei circoli minori sui contenuti del dibattito avvenuto sulle varie parti dell’Instrumentum laboris.
Poi, con il cambio di metodologia (suddivisione dell’assemblea in 36 tavoli, utilizzo della conversazione spirituale e poco spazio alle plenarie), inaugurato con questo sinodo, i punti di riferimento per l’informazione sono rimasti i discorsi introduttivi, i briefing e il documento finale, non venendo più fornite nemmeno le sintesi del confronto che pure i ...
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