LA FORMAZIONE DEI PRESBITERI
È FONDATA SU EQUIVOCI

Cesare Baldi

Fa piacere leggere nell’introduzione alla nuova Ratio fundamentalis (2016) per la formazione dei preti che «il discepolo sacerdote proviene dalla comunità cristiana e a essa ritorna» (n. 3). Piacevole e appagante, peccato che non è vero. O meglio, potrebbe anche esserlo, dipende da cosa intendiamo per “comunità cristiana”: se la si intende in maniera generica, come l’insieme dei battezzati, il popolo di Dio, allora siamo d’accordo, ma in questo caso la frase perde di significato, perché il “discepolo sacerdote” non ritorna alla comunità, dato che da essa non esce, dal popolo proviene e nel popolo resta.

Se invece la si intende come una “precisa comunità di fedeli”, secondo la definizione che il codice di diritto canonico offre della parrocchia (can. 515), allora tutto sfuma, perché questa “precisa” comunità nessuno la conosce, è una chimera, un po’ come l’uomo di Diogene. Da chi è costituita? Da tutti i battezzati che abitano nel territorio della parrocchia? E quelli che vengono a messa ogni domenica ma abitano fuori dai confini parrocchiali? E come funziona una comunità cristiana, intesa come parrocchia? L’unica cosa certa è che solo il parroco la rappresentata (can. 532), ma anche su questo piovono dubbi: i preti diminuiscono, la geografia delle parrocchie non si discute, quindi si moltiplicano i casi di parroci con più parrocchie, ma come possono rappresentarle tutte senza farne parte?

La comunità manca di una propria identità La soluzione c’è e non sarebbe neanche difficile adottarla: basterebbe dare una ...

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