NATALE. ECCO L’AGNELLO DI DIO!

Daniele Garota Lasciamo perdere angioletti, pastorelli e luminarie, per i credenti è ben altro che significa il Natale. Quello dell’incarnazione (così lo chiamano i teologi) è un mistero di follia, un abisso che dà vertigini soltanto a pensarlo, l’abisso della kenosis, di Dio che per amore ad un certo punto smise di considerarsi quel che era per fare il vuoto in sé, fino a diventare piccolo piccolo, come un bambino appena nato, come un pezzetto di pane che vuole essere mangiato, “una carne sola” con noi, come lo sposo con la sposa (Mc 10,9; cf Ef 5,28-29). Una delle più belle espressioni di tutte le letterature, attorno al mistero dell’incarnazione, l’ha scritta, da giovane, un ateo, Jean Paul Sartre, mettendola in bocca a Maria che stringe tra le sue braccia Gesù dicendogli: “Piccolo mio!”; guardandolo come un “Dio muto”, un “bambino terrificante”; e poi pensando, come solo una mamma sa fare: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia… Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive” (Bariona o il figlio del tuono). Madri messianiche I primi credenti capaci di accogliere un tale mistero ...

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