MAGISTERO ECCLESIALE:
FALLIBILE O INFALLIBILE?

Giannino Piana

Se si fa eccezione per alcune encicliche sociali, quali la Pacem in terris (1963) di Giovanni XXIII, la Populorum progressio (1967) di Paolo VI e la Laudato si’ (2015) di papa Francesco, che hanno avuto una larga risonanza anche nel mondo laico, i documenti del magistero ecclesiale non hanno rivestito (e non rivestono tuttora) un ruolo di particolare importanza nell’ambito delle comunità cristiane.

Sia quelli più autorevoli, come le encicliche e le esortazioni apostoliche papali e gli interventi delle congregazioni romane, sia soprattutto quelli più legati a un territorio circoscritto come i progetti pastorali delle conferenze episcopali nazionali o le lettere pastorali dei singoli vescovi (peraltro sempre meno frequenti) godono di una scarsa attenzione presso il mondo dei fedeli laici praticanti. Del resto, gli stessi preti raramente fanno riferimento, nella predicazione e nella catechesi, a testi magisteriali, anche a quelli (e ve ne sono) particolarmente significativi.

Un linguaggio fuori dal tempo Le ragioni di questa omissione sono molte e di diversa natura. La prima (e la più immediata) riguarda la forma con cui tali documenti sono in genere redatti. Il linguaggio utilizzato è spesso un linguaggio paludato, per molti aspetti arcaico e dunque poco attraente, o un linguaggio cifrato di stretta natura teologica, perciò comprensibile ai soli addetti ai lavori. A questi limiti si è in realtà sottratto – è giusto ricordarlo – papa Francesco, i cui testi sono scritti in un linguaggio non solo comprensibile, ma persino avvincente anche ...

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