PIU’ SINODALITA’ PER FAR RESPIRARE LA CHIESA CATTOLICA
Con un titolo quanto mai eloquente per chi viva con attenzione l’attuale stagione della Chiesa cattolica, gli storici Saverio Xeres e Giorgio Campanini regalano un testo che, nel dichiarato proposito di dare voce ad un disagio emergente da più parti, ripercorre alcuni dei «sentieri interrotti» del post-concilio italiano, rilanciando istanze e prospettive di riforma e rinnovamento.
«Disincanto» e «speranza» – secondo il lessico utilizzato dallo storico di Parma – possono essere assunte come parole-chiave di un libro piccolo nelle dimensioni ma importante nei contenuti che i due autori si sono chiaramente spartiti: a Xeres – autore tra l’altro dei recenti Una chiesa da riformare. Nostalgia di evangelo, Qiqajon, Magnano 2009 e Il sofferto silenzio di Pio XII, Vita e Pensiero, Milano 2010 – il compito di offrire un percorso storico degli ultimi decenni della storia ecclesiale italiana; a Campanini – di cui ricordo gli ultimi titoli Testimoni nel mondo. Per una spiritualità della politica, Studium, Roma 2010 e La spiritualità familiare del ‘900, Dehoniane, Bologna 2011 – il tentativo di guidare il lettore «alla riscoperta della categoria conciliare di “popolo di Dio”» e del ruolo che al suo interno compete ai laici.
L’analisi di Xeres parte dagli anni Settanta del Novecento, anni che vedono l’avvio di quella pianificazione pastorale nazionale caratterizzante gli ultimi decenni dell’attività ecclesiale, contrassegnati a suo dire – ed è originale e interessante apporto del suo saggio – da una evidente condivisione di tratti della cultura “post-moderna”.
La Chiesa cattolica, che nel tempo del Concilio Vaticano II sembra avviare un processo di apertura e dialogo con il mondo dopo secoli di contrapposizione – non adeguandosi acriticamente alla modernità ma recuperando contenuti e caratteristiche originarie del cristianesimo -, negli anni successivi si chiude ben presto in giudizi di rifiuto e di condanna che le impediscono di cogliere quelle trasformazioni sociali e culturali individuate generalmente con la categoria di “post-modernità”. Categoria «ancora in attesa di una pertinente verifica» (p.19), avverte Xeres, che permette tuttavia di dare un nome alla «frammentazione» e «manipolazione di senso», alla «prevalenza della dimensione emotiva», alla «riduzione ciclica delle prospettive temporali» (p. 23), alla diffusa autoreferenzialità di soggetti e istituzioni. La Chiesa italiana, secondo Xeres, non diversamente da quanto era avvenuto con la contrastata modernità, ha finito col «mutuare alcuni caratteri di quel mondo che non [ha saputo] riconoscere nella sua parziale novità, divenendo a sua volta “postmoderna”» (p. 29).
Tale la griglia interpretativa di un quarantennio di attività, di cui l’autore mette in luce elementi ricorrenti: la ripetitività del congegno (un piano pastorale ogni decennio, un convegno a metà anno); l’astrattezza (non si parte più da quel «vedere, giudicare, agire» proprio del Vaticano II); la verticalità e deduttività (le pianificazioni diocesana e parrocchiale riproducono pedissequamente quanto stabilito “dall’alto”); la autorereferenizalità (le iniziative si autolegittimano nel loro svolgersi, senza alcuna verifica sulla effettiva efficacia; i documenti utilizzano un codice, «l’ecclesialese», comprensibile solo da chi è interno al contesto).
Un paragrafo a parte è dedicato ai «grandi eventi», come la Giornata Mondiale della Gioventù, che cavalcano la prassi tipicamente post-moderna del fenomeno collettivo suscitatore di adesione emotiva e istantanea, riproponendo – non diversamente da consimili avvenimenti di diversa matrice – approcci squisitamente personalistici, nel caso propriamente «papali».
In definitiva l’assunzione di dimensioni post-moderne, conclude Xeres, enfatizza una «impostazione autoritaria e verticistica», centrata sulla «unidirezionalità» piuttosto che sulla «bidirezionalità» – insegnare, imporre direttive, non confrontarsi, scambiare -, più consona a un modello di Chiesa tridentina che frutto del Vaticano II (p. 54).
La lacuna più «clamorosa» individuata dallo storico lombardo in questo «postconcilio postmoderno» è la «insufficiente responsabilità riconosciuta ai laici» (p.77), tema sul quale si diffonde il saggio di Campanini, una delle voci più appassionate e autorevoli sulle problematiche connesse al ruolo del laicato nella Chiesa.
Anche lo studioso parmense presenta un utile percorso storico per delineare il passaggio dalla «ecclesiologia della dipendenza» – sostenuta negli anni di Pio XI e di Pio XII – alla «ecclesiologia della comunione» (p. 100-101) propria del Concilio Vaticano II: impostazione che sulla carta ha riconosciuto il valore e la dignità di tutti i christifideles, indipendentemente dal proprio status e funzione, in forza del battesimo che li accomuna.
Tuttavia, nonostante non siano mancate occasioni di incontro che hanno visto coinvolti i laici o in cui si siano interpellate le loro competenze – in primis i convegni ecclesiali nazionali che da Roma 1976 a Verona 2006 hanno scandito con cadenza decennale la vita della Chiesa italiana –, l’evidenza mostra come non si sia creata negli anni una autentica «corresponsabilità» di scelte di questa componente ecclesiale .
«Sulle grandi scelte dell’episcopato non si apre mai – all’esterno della CEI – un reale dibattito, né si dà spazio ad una reale “opinione pubblica” nella Chiesa» (p. 117), annota Campanini. Anzi, aggiunge, poiché sui vari temi all’ordine del giorno si moltiplicano le dichiarazioni della Conferenza episcopale, risulta inevitabile, non solo per distorto uso dei media, la anticonciliare ma logica identificazione della Chiesa italiana con la sua gerarchia.
Speculare conseguenza ne è la marcata «afasia» dei laici, percepiti e percepentesi come «semplici esecutori» di progetti o direttive.
La proposta di Campanini, da lui già precedentemente avanzata e condivisa nell’ispirazione di fondo da altre voci autorevoli come quella di Enzo Bianchi e di Cettina Militello, è la predisposizione di strutture sinodali che rendano efficace e costante lo scambio intraecclesiale. In particolare l’autore caldeggia, sull’onda del decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, l’istituzione di un «Consiglio nazionale dei laici» in cui sia possibile non solo il confronto su questioni politiche, etiche, sociali, ma anche sui problemi interni alla Chiesa.
Pur non negando le difficoltà che possono emergere – il rischio del conformismo per piaggeria o al contrario le esplosioni di conflittualità – egli meritoriamente prefigura un organismo che potrebbe rivelare molteplici pregi e potenzialità: evitare una sovraesposizione dell’episcopato sulle emergenze quotidiane; permettere una più consapevole conoscenza della realtà delle cose dentro e fuori la Chiesa; limitare «silenziosi abbandoni» da una istituzione sovente avvertita distante dalla realtà di ogni uomo.
Di grande interesse anche le proposte avanzate da Campanini per la riscoperta di una essenzialità e «povertà» della Chiesa. L’ipotesi di una autoriduzione dall’8 al 5 per mille del contributo statale una volta considerata esaurita la componente risarcitoria delle spoliazioni effettuate in passato (l’autore ipotizza il 2014 a trent’anni dalla revisione concordataria del 1984); l’affidamento della cura del patrimonio artistico alla società civile liberando la Chiesa da un ingombro che obnubila il suo volto evangelico: scenari ideali inscritti in quella antica e sempre attuale tradizione aurea che da Ambrogio attraverso Antonio Rosmini giunge a Primo Mazzolari e a Tonino Bello.
Due voci dai differenti accenti ma dalla identica finalità: tornare all’essenziale, alla Parola, ai rapporti umani, alla partecipazione, passare «da una pastorale di conservazione ad una pastorale di evangelizzazione» (p. 91). Due voci preziose che danno parola alle tante silenziose attese – non sempre animate da «speranza», sovente amareggiate da «disincanto» – che percorrono la vita della Chiesa italiana.
Mariangela Maraviglia
Da Koinonia-Forum n. 282 (22 novembre 2011)