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Mosca, cupole della Cattedrale di San Basilio (metà sec.XVI)

PRATICHE ECUMENICHE. DIALOGHI TRA VERONA E MOSCA

Paolo Bertezzolo

Mosca, cupole della Cattedrale di San Basilio (metà sec.XVI)

Tra il 1992 e il 2002 si è realizzata una significativa esperienza ecumenica tra la Chiesa cattolica di Verona e il Patriarcato di Mosca. Qualcuno l’ha definita un miracolo, per sottolineare la difficoltà, se non l’impossibilità, che potesse verificarsi. Essa, infatti, è circoscritta, sul piano cronologico, tra due momenti di grave crisi dei rapporti tra Mosca e il Vaticano, in particolare per le decisioni di quest’ultimo che, nell’aprile del 1991, aveva costituito quattro amministrazioni apostoliche nel territorio che il Patriarcato di Mosca considera di propria competenza canonica, erette poi nel 2002 a diocesi cattoliche. La Chiesa ortodossa russa considerò questa scelta un’azione “non amichevole” compiuta nei confronti di una Chiesa sorella. Si aprì un conflitto che qualche storico paragona, per la sua gravità, a quello che portò nel 1054 allo scisma tra Chiesa ortodossa e Chiesa latina.

Come è stato possibile, quindi, che in una situazione simile, si sia riusciti a instaurare rapporti amichevoli e fraterni tra Verona e Mosca? Lo spiega in un bel libro, uscito da poco, Marina Bakhmatova, storica russa che insegna all’università di Mosca (M. Bakhmatova, Tra Mosca e Verona. Un dialogo controcorrente, Il Margine 2016).

A partire da Basilea
Tutto ebbe inizio a Basilea, nel corso della I^ assemblea ecumenica europea del 1989 su “Pace e Giustizia”. In quella occasione don Luigi Adami, parroco in un piccolo paese della provincia di Verona e animatore già da un quindicennio del Gruppo per il pluralismo e il dialogo, conobbe Luigi Sandri, allora corrispondente dell’Ansa da Mosca, profondo conoscitore del mondo russo, della sua lingua e della liturgia ortodossa. Tra di loro si stabilì un rapporto che sfociò nell’invito, da parte di Sandri, alla Commissione per l’ecumenismo e il dialogo di Verona, di cui faceva parte don Adami, a recarsi a Mosca. La Commissione scrisse pertanto una lettera alle autorità religiose ortodosse, cattoliche e greco-cattoliche per segnalare la propria solidarietà e la disponibilità all’incontro. Il vescovo di Verona, mons. Giuseppe Amari, dopo qualche tempo scrisse a sua volta una lettera analoga. Per recarla ai destinatari, si organizzò così, col loro consenso, il primo viaggio a Mosca nel febbraio del 1992. L’Urss si era appena dissolta e quell’inverno per la gente fu particolarmente tremendo.

Chiese sorelle
L’incontro tra i veronesi e il patriarca Aleksij II iniziò con una certa freddezza. Si determinò tuttavia una “svolta” quando fu letta l’espressione “Chiese sorelle” che mons. Amari aveva usato nella sua lettera per indicare il legame tra ortodossi e cattolici. Quell’espressione, che si era molto diffusa nel periodo post-conciliare e durante il pontificato di Giovanni Paolo II, suscitava in quegli anni dei problemi che avrebbero portato nel 2000 il cardinale Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a precisarne e circoscriverne il significato nella Nota sull’espressione “Chiese sorelle”. Il patriarca Aleksij apprezzò molto che fosse stata usata dal vescovo di Verona. Il clima divenne cordiale e fu possibile programmare altri incontri. Così, per un decennio appunto, più volte delegazioni veronesi si recarono a Mosca e delegazioni russe giunsero a Verona, accolte in diverse comunità parrocchiali della diocesi. Di esse fece parte anche il metropolita Kirill, attuale patriarca di Mosca. Il 29 settembre 1995, mons. Amari incontrò il patriarca Aleksij nella sua residenza privata a Mosca.

Ecumenismo del dialogo
Anche nell’estate del 2002, nonostante si stesse attraversando il momento più grave nei rapporti tra il Vaticano e il Patriarcato, Aleksij II accolse presso il monastero di San Danilo a Mosca una delegazione di cattolici veronesi guidata da don Luigi Adami e da Luigi Sandri.

Nel suo libro Marina Bakhmatova spiega le “cause” che hanno reso possibile un’esperienza così importante. Le individua, essenzialmente, in un “ecumenismo del dialogo” favorito dall’opera del Gruppo per il pluralismo e il dialogo che operava a Verona dal 1975. Di esso faceva parte don Giovanni Gottardi, presidente della Commissione diocesana per l’ecumenismo e il dialogo la quale, come visto, ufficialmente fu l’artefice del rapporto con Mosca. Segretario della stessa Commissione era don Gabriele Zanetti, parroco in città e grande amico di don Adami e don Gottardi. Un ruolo molto importante lo svolsero anche don Francesco Massagrande, dell’Istituto don Mazza di Verona e altri sacerdoti, membri come lui della Commissione e animati dallo stesso spirito. Così, dunque, “un gruppo senza personalità giuridica né appoggi politici di rilievo (…) riuscì a scrivere un’importante pagina nella vita non solo della propria Chiesa, ma anche nell’andamento dei rapporti tra i due giganti al sorgere del terzo millennio: la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana” (p. 13).

Tra concorrenza e collaborazione
L’importanza della vicenda emerge anche dal fatto che, negli stessi anni, e partendo dalla stessa diocesi di Verona, veniva percorsa un’altra strada, che Marina Bakhmatova definisce dell’“ecumenismo senza dialogo”. Alcuni sacerdoti, guidati dal veronese don Bernardo Antonini, con l’approvazione dello stesso vescovo Giuseppe Amari, erano arrivati in Russia per creare ex novo strutture ecclesiastiche cattoliche. L’iniziativa aveva assunto anche un carattere “missionario” che i russi accusavano di essere viziata dal “proselitismo”. Quest’opera è continuata e oggi esistono sacerdoti cattolici russi che operano a vario livello in quella regione.

La situazione appare paradossale, ma rappresenta, di fatto, le due “anime” che, nei rapporti con le altre Chiese cristiane, convivono tuttora nella Chiesa cattolica. La vicenda veronese le mette chiaramente in evidenza. “La Chiesa cattolica (…) si trova davanti ad un bivio” aveva affermato don Luigi Adami all’inizio dell’esperienza. “Guardare alla Russia come a una terra in cui impiantare semplicemente le proprie tende, oppure muoversi concretamente per aiutare la Chiesa sorella ortodossa” (p. 195). La prima strada porta ad entrare in concorrenza con la Chiesa ortodossa. La seconda è quella dell’ecumenismo, appunto, tra Chiese sorelle. “Spesso”, ha aggiunto don Giovanni Gottardi, “i rapporti bilaterali sono corrotti ab origine da un vizio di fondo che non permette di riconoscere la controparte come una vera Chiesa cristiana” (p. 195).

Pluralismo e dialogo
A questo secondo modo di concepire la “missione cattolica” si è affiancato quello del pluralismo e del dialogo. Don Adami e i membri del Gruppo, secondo Marina Bakhmatova, dopo le lunghe battaglie avviate negli anni ’70 per affermare la libertà nelle scelte politiche dei credenti, per il pluralismo e il dialogo “a casa propria”, hanno portato questi valori anche nel cuore della Russia, costituendo una solida base per rapporti di fiducia e di amicizia con la parte ortodossa.

È evidente, a questo punto, che qualche considerazione si imponga. Le due “posizioni”, che molto schematicamente, e per vari aspetti in modo impreciso, possiamo definire come “tradizionalista” e “progressista”, coesistono in entrambe le Chiese, che ne vengono scosse anche profondamente. Nella Chiesa cattolica l’azione pastorale di papa Francesco le sta facendo emergere a volte in modo drammatico. Non è una condizione che si possa “risolvere” con l’idea che entrambe compiano la propria opera, al massimo tollerandosi reciprocamente. C’è bisogno di molto di più: rendere tutta la Chiesa cristiana pluralista e dialogante. Solo così si può evitare un conflitto permanente e distruttivo e far avanzare i processi di rinnovamento nel rispetto reciproco e nella comprensione amichevole e fraterna.

Paolo Bertezzolo
Membro del Gruppo per il Pluralismo e il Dialogo (S. Zeno di Colognola ai Colli/VR), aderente alla Rete dei Viandanti.

1 Commento su “PRATICHE ECUMENICHE. DIALOGHI TRA VERONA E MOSCA”

  1. Condivido la posizione ‘progressista’, penso sia l’unica che può portare frutti costruttivi nel tempo. Per la posizione ‘conservatrice’ penso ci voglia tanta pazienza, e tenacia nel dialogo, con chi è su questa posizione. Scusate la banalità. Saluti.

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