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RIMETTIAMO LA CHIESA IN CAMMINO

Fulvio De Giorgi

Se dovessimo tracciare una sorta di ‘bollettino medico’ sullo stato di salute della Chiesa cattolica (e in particolare della Chiesa italiana) cosa dovremmo dire? Ottima salute o gravi patologie?

Una lenta convalescenza
A me pare che dovremmo parlare di una lenta, ma incoraggiante, convalescenza. Dopo essere stata per molto tempo immobile, ecco che piano piano si rimette in movimento. Certo, le membra sono ancora anchilosate e il movimento provoca dolori, formicolio, senso di fastidio come di punture di spillo, fatica. Ma è chiaro che, dopo una ‘paralisi’ ci vuole un po’ di ginnastica riabilitativa.

Ecco che papa Francesco ha tratto fuori la Chiesa dalla paralisi e, con molta pazienza, la incoraggia e la sprona: ce la puoi fare! il Signore ti è sempre vicino! lo Spirito non ti manca!

Non è facile e si capisce che ci siano resistenze. Dalla fine del XX secolo, quando il neoliberalismo individualista e nichilista (o post-moderno) si è fatto più aggressivo, la Chiesa si è paralizzata, ha rialzato i bastioni (che aveva abbattuto con il Concilio), ha ricentralizzato e verticalizzato la guida (che aveva cercato, prima, di dinamizzare nel decentramento e nella collegialità), ha smesso di trafficare i talenti (che non sono, banalmente, delle doti umane, ma sono i valori evangelici) parlando di valori non negoziabili, cioè appunto non ‘trafficabili’: il sale è rimasto nella saliera e non ha più dato sapore alle vivande; il fermento è rimasto nella dispensa e non ha più fermentato la pasta.

Silenzi, indifferenza, abbandoni
Le realtà sociali e umane più dinamiche hanno via via interrotto i loro rapporti vitali con un Corpo intorpidito, paralizzato, bloccato, fermo. Penso soprattutto ai giovani: le comunità ecclesiali si sono impoverite di apporti giovanili e sembra quasi che abbiano perduto la capacità stessa di parlare alle nuove generazioni, di capirle, di dialogare simpateticamente con loro. Questo è certo il dato più eclatante. Ma altri processi, forse meno evidenti e macroscopici, sono pure presenti.

Negli ultimi decenni, nel mondo, si sono rotte delle barriere millenarie nel costume e nella mentalità (naturalmente con molte diversità, a seconda dei diversi paesi della terra) soprattutto in riferimento alla condizione femminile e alla condizione omosessuale, con ricadute grandissime sui vissuti reali, sulle forme della convivenza, sulle legislazioni, sulle culture.

Dall’universo femminile, tradizionalmente più vicino alla Chiesa cattolica di quello maschile, vengono ora segnali di preoccupazione, di disagio, di appello. Sono voci elitarie e forse rimarranno tali, ma si apre pure, silenziosamente, un fronte di indifferenza che non si lamenta, semplicemente si allontana. Più complesso, perché più nuovo, ma non meno dinamicamente argomentativo, è l’ambito delle élites culturali omosessuali e dei vasti mondi civili contrari all’omofobia: anche qui si pongono, prima che richieste (più o meno polemiche), pensose questioni di coscienza.

Sapersi mettere in ascolto di tutti i cuori
Come diceva Rosmini, nella Chiesa si alternano periodi di ‘stasi’ e periodi di ‘movimento’. Ecco che il periodo di ‘stasi’ si è troppo protratto e, oggi, occorre passare ad un periodo di ‘movimento’: che significa avere una calda espansione evangelizzatrice (evangelizzando se stessi per proporre il Vangelo a tutti), e perciò una capacità di inculturazione nelle nuove forme culturali di oggi, un sapersi mettere in ascolto di tutti i cuori, per discernerne i moti profondi e sinceri da quelli indotti artificialmente e in modo estrinseco, riuscire a valorizzare ogni giusta istanza di soggettivizzazione e, insieme, demistificare ogni egoismo individualistico.

Il compito che papa Francesco ha dato al suo pontificato mi pare, appunto, essere questo: rimettere la Chiesa in cammino, rimetterla in uscita evangelizzatrice, con simpatia e con il sorriso, non in maniera severa e accigliata; ridarle la fiducia di poter essere all’altezza delle necessità spirituali dell’umanità contemporanea, semplicemente facendosi umile strumento dello Spirito.

Le medicine contro un neoliberismo devastante
È vero: lo stress psicofisico, causato dalla sorpresa del neoliberalismo aggressivo, ha causato, diremmo, una fibromialgia generalizzata, con rigidità muscolari diffuse. La paura è stata giustificata. Se oggi il neoliberalismo finanziario, nonostante una lunga e devastante crisi economica, rimane ancora senza concorrenti e senza alternative, allora è chiaro come anche l’individualismo neoliberale dilagante, sul piano del costume e dei vissuti, abbia una forza veramente notevole. Ma non è il caso, per la Chiesa, di paralizzarsi. Il Vangelo e l’Eucaristia sono i medicinali per la salvezza. Lo sono sempre stati e lo sono ancora. Gesù è lo stesso: ieri, oggi e sempre. E la Chiesa è sempre la stessa ed è un organismo vivo, non morto, non paralizzato: e perciò si muove, cresce e perciò anche cambia (se e quando c’è da cambiare).

Rimettersi in movimento, dopo una protratta immobilità, causa dolori in alcune parti del Corpo, nelle ‘giunture’. E queste ‘parti’ indolenzite e sofferenti non solo tardano a rimettersi in moto e fanno fatica, ma anche vorrebbero rimanere ferme. E vedono come problema non la patologia di cui soffrono, ma il medico che le vuole curare e risanare e le incoraggia a muoversi. È stato così fin dai tempi di Gesù: Medice cura te ipsum! Ma Gesù è paziente: va a casa del fariseo Simone; e quando Simone dubita della messianicità di Gesù perché egli non saprebbe leggere nel cuore, cioè nel cuore della peccatrice, Gesù gli dimostra che sa leggere nel cuore: nel suo cuore, nel cuore di Simone, mettendone in luce i pregiudizi, le chiusure, gli egoismi.

La piaga della disunione
Chi si sente cattolico e non dubita che lo Spirito Santo guida la Chiesa deve allora chiedersi: perché lo Spirito Santo ha voluto papa Francesco? perché ha chiamato al ministero petrino, da un Paese ‘alla fine del mondo’, Jorge Mario Bergoglio? Il ‘sensus Ecclesiae’ del popolo dei fedeli lo capisce benissimo e vuole molto bene al papa. Ma la Chiesa è un Popolo che ha una costituzione gerarchica e carismatica. La gerarchia ha un ruolo preciso ed essenziale: i pastori sono le ‘giunture’ che collegialmente guidano e tengono insieme il Corpo.

Quando Rosmini scrisse Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa individuò una ‘piaga’ centrale, la piaga del cuore: la disunione dei vescovi. Qualche secolo prima era stato un cappuccino, p. Bonaventura da Recanati, predicatore al papa e alla Curia, ad usare l’immagine della Chiesa-crocifissa e delle Cinque Piaghe. Anche lui indicava la stessa piaga del costato, al cuore della Chiesa: la disunione dei pastori. Certo, oggi, non siamo nelle gravi situazioni di un tempo: lo Spirito non ha lavorato invano, lo Spirito ci ha dato il Concilio Vaticano II e il rinnovamento conciliare ha portato ad una maggiore collegialità episcopale.

Farsi otri nuovi
E tuttavia oggi si percepisce questa fatica delle ‘giunture’. Sul web circolano scritti – non sappiamo se e quanto rappresentativi – di critica al movimento che papa Francesco chiede alla Chiesa. C’è qualcosa che stride: se usiamo con queste ‘voci’ il metro – censorio e autoritario – che esse stesse usavano verso coloro che, in passato, esprimevano qualche accento critico verso il papa del tempo, dovremmo dire con asprezza che sono superbi nei pensieri del loro cuore e si innalzano ad una altezza superiore alla stessa Sede Apostolica per giudicarla con farisaica superbia.

Ma noi non diciamo e non pensiamo così. Siamo misericordiosi verso le loro fatiche e preghiamo per loro e siamo pronti, pazientemente, ad aiutarli. Ad aiutarli, naturalmente, a seguire le cure prescritte dal medico: per stare meglio. E per tornare a sorridere, senza angosce e senza paure. La Chiesa è viva, è vitale: vuole camminare, vuole crescere, animata dallo Spirito e alla sequela del Signore, in fedeltà al Vangelo, sul passo degli ultimi.

Gesù stesso lo sapeva: “Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!” (Lc 5, 39). Eppure Gesù presenta il suo Vangelo non come il ‘buon vino vecchio’, ma come il vino nuovo, che ha bisogno di otri nuovi (Lc 5, 32-38). Chi guarda individualisticamente alla propria vita di fede – con un egoismo della salvezza – si ritiene migliore di papa Francesco, che semplicemente ci invita a prendere il vino nuovo di Gesù e a metterlo in otri nuovi. Col papa allora, amorevolmente, inviteremo anche noi tutti, i vicini e i lontani, i fratelli maggiori e i secondogeniti, gli uomini e le donne, i giusti e i peccatori, i vecchi e i giovani, a farsi otri nuovi nello Spirito per accogliere il vino nuovo del Vangelo e dell’Eucaristia.

E questa medicina ci risanerà.

Fulvio De Giorgi
Docente di Storia dell’Educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia, coordinatore del Gruppo di Riflessione e Proposta di Viandanti.

Questo articolo, con il titolo “Chiesa convalescente”, è apparso anche sulla rivista Famiglia domani (n. 3 – luglio-settembre 2016)

3 Commenti su “RIMETTIAMO LA CHIESA IN CAMMINO”

  1. Riporto alcuni brani dei miei precedenti interventi (che si trovano in forma integrale in questo sito). Mi pare che diano bene il senso di svolgimento – senza contraddizioni o cambiamenti – del mio pensiero.

    Parlo di post-moderno, di neoliberalismo (con il suo accentuato individualismo) e anche di nichilismo, che a me pare oggi largamente presente nella cultura e perfino nelle mentalità diffuse. Capisco che la sintesi può sembrare uno schematismo, perfino banalizzante […]. Tuttavia non mi pare una diagnosi molto diversa da quella – che condivido – di Francesco in Evangelii Gaudium: “diffusa indifferenza relativista, connessa con la disillusione e la crisi delle ideologie” (n. 61); “società materialista, consumista e individualista” con “individualismo imperante” (n. 63); “progressivo aumento del relativismo” (n. 64); “individualismo postmoderno e globalizzato” (n. 67); “Questo relativismo pratico consiste nell’agire come se Dio non esistesse” (n. 80); “si è prodotta una ‘desertificazione’ spirituale” (n. 86). Questo contesto problematico, già profilatosi nel tramonto del pontificato di Giovanni Paolo II, è emerso con una forza perfino devastante, successivamente: le forme pastorali allora presenti si sono rivelate inadeguate, la necessità di un cambiamento evidente. È tale contesto storico generale che segna, necessariamente, la caratteristica storica dei pontificati [di Benedetto e di Francesco] che in esso si inscrivono e che, pur tra altri problemi, hanno avuto entrambi prioritariamente davanti questa sfida decisiva, che implica una difficile ma ineludibile assunzione della ‘complessità’ (teorica e pratica). Nel caso di papa Ratzinger si vedano la Deus caritas est, la Caritas in veritate, il Sinodo del 2012.
    […]
    Chi conosce la storia della Chiesa, sa bene che ad epoche di grande riforma sono progressivamente subentrate fasi di rallentamento, fino al semi-immobilismo (Rosmini distingueva tra ‘epoche di marcia’ ed ‘epoche di stazione’). È successo pure per la ‘riforma cattolica’ del Concilio di Trento. E allora ci sono poi stati momenti in cui, dall’interno della Chiesa e in modo non polemicamente ostile alla sua gerarchia, mistici o pastori, religiosi o laici hanno richiamato la necessità di rilanciare il movimento riformatore: gli storici parlano, dunque, di momenti di ‘ripresa tridentina’. A me pare un dato storico chiaro che sia avvenuta la stessa cosa con il Concilio Vaticano II. Progressivamente lo slancio riformatore ha rallentato fino quasi a fermarsi del tutto. E quando sono cominciate a emergere le prime voci che richiamavano la necessità di riprendere la riforma conciliare? A me pare proprio con il pontificato di Benedetto XVI. Certo erano voci minoritarie e marginalizzate (ma non condannate), che a fatica – e non senza ostilità nei loro confronti – potevano esprimersi. […] il clima di prevalente chiusura portava a pagare dei prezzi (più o meno alti) per chi pronunciava giudizi di questo tipo. Ma […] devo notare che durante il pontificato di Benedetto XVI furono espresse delle esigenze che avrebbero trovato una piena risposta (positiva) nel pontificato successivo. [Benedetto XVI e Francesco, tra storia e teologia. Vedere: http://www.viandanti.org/?p=13650#more-13650%5D

    Se questa impostazione storica è vera, come credo, allora si capisce come ad aprire un processo riformatore, di ripresa del Vaticano II, sia stato papa Ratzinger, con l’ultimo Sinodo da lui presieduto (quello che ha poi portato alla Evangelii Gaudium), in cui si è parlato di uno tsunami che si è abbattuto sulla Chiesa e si è constatata, con franchezza, la grande difficoltà attuale della trasmissione della fede alle nuove generazioni. C’era (e c’è) un problema: un caso serio. Ratzinger si è speso al massimo e poi ha passato la mano a Bergoglio, che ha preso il nome – programmatico (e amatissimo da noi italiani) – di Francesco. [Storica è la continuità tra Benedetto e Francesco. Vedere: http://www.viandanti.org/?p=14245%5D

    Con l’ultimo intervento, proseguendo sul filo di queste riflessioni (e talvolta quasi citandole alla lettera), ho portato l’attenzione sulla chiesa italiana. Il senso mi pare chiaro. In ogni caso lo ripeto. Non trovo giusto invocare papa Ratzinger contro papa Francesco: quasi fossero opposti: ortodossia versus eresia (o giù di lì). Io penso che ci siano giganteschi processi storici complessivi, che investono l’umanità intera e – in essa – la chiesa cattolica. A queste sfide inedite ed epocali, Benedetto XVI ha cominciato a dare una risposta (soprattutto sul piano ‘teorico’): non è riuscito a imprimere il conseguente ‘movimento’ pastorale a tutta la chiesa. Quando si è accorto che non aveva le energie necessarie ha rinunciato al ministero petrino: gesto coraggioso e rivoluzionario (secondo l’apprezzamento espresso da papa Francesco). Ora papa Francesco sta rimettendo in moto la chiesa (e ciò viene apprezzato anche dal papa emerito Ratzinger). Chi non vuole raccogliere le sfide epocali, chi non vuole muoversi, chi non vuole mettersi in uscita missionaria (con tutto quello che ne consegue) richiama papa Ratzinger come se fosse un antipapa, un anti-Francesco, richiama pure – magari – aspetti parziali e minori del papato ratzingeriano. Non voglio giudicare nessuno, ma tutto ciò a me sembra poco cattolico e poco cristiano. Io sarò forse troppo ottimisticamente continuista, ma mi pare solo di avere una visione misericordiosa (non chiusa e astiosa) e gioiosa (non rancorosa e aspra). Vorrei che tutti ci aprissimo con cuore sincero e mente limpida a quel Lumen fidei di cui parla la prima enciclica di papa Francesco.

  2. Trovo interessante e condivisibile l’analisi di De Giorgi, ma la trovo in contraddizione con un suo editoriale di qualche mese fa sulla continuità fra Benedetto XVI e Francesco. Gradirei, se possibile, un chiarimento in merito, in quanto non mi tornano i conti: se i due pontefici sono in continuità perché prima la Chiesa era ferma ed ora si è rimessa in cammino? Valori non negoziabili (su cui Ratzinger si è espresso fino allo sfinimento, non solo suo ma anche di molti fedeli) e talenti non sono due realtà completamente diverse? O forse fra il precedente articolo di De Giorgi e questo è cambiato qualcosa? O forse sono io, povero cristiano, che non ho capito un fico secco?

  3. Leggo e ascolto sempre volentieri DeGiorrgi.
    Per difficoltà,dovute a vecchiaia e patologie varie, in casa leggo molto e guardo la tele, specie di pomeriggio.
    Malgrado il Papa (vero Dono dello S.Santo!) non vedo una chiesa convalescente, ma in gran parte malata di indifferenza e di chiusure più o meno giustificate; per sentirsi convalescenti, bisognere ammettere di essere stati malati, di avere deciso di prendere efficaci medicine in grado di guarirci. Guardare al Papa, non solo spesso con simpatia, ma spronati a riprendere in mano il Vangelo per ritentare di metterlo in pratica, senza la pretesa di convertire gli altri: caso mai sempre più attenti a ciò che unisce, non per meticciarci, rispettosi di ciascuna identità:tutti affidati alla Misericordia che non ha scadenza.

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