Home > Rubriche > La Memoria > Mazzolari Primo (1890 – 1959) > L’opera e il pensiero

L’opera e il pensiero

Mazzolari 3

1. Nuovi metodi per la pastorale
La riflessione di Mazzolari sulla vita della Chiesa attraversa trent’anni del suo ministero. Dalla Lettera sulla parrocchia (1936) all’opuscolo La parrocchia (1957) si annoverano molteplici interventi del parroco di Bozzolo, soprattutto attraverso le pagine di Adesso. Don Primo si inserisce in un dibattito già presente nel mondo francese sulla crisi della parrocchia tradizionale. Proposte di rinnovamento provenivano da Jean Michonneau, che nel 1946 pubblicava Paroisse communauté missionnaire, dal celeberrimo volume di Yvan Daniel e Henri Godin La France pays de mission? (1943), dalle idee del card. E. Suhard, arcivescovo di Parigi negli anni ’40, dall’esperienza significativa di condivisione rappresentata dai preti operai. E’ una stagione di grande fermento.

Nello scritto Lettera sulla parrocchia don Primo tenta una via italiana di soluzione alla crisi della parrocchia tradizionale. Se nel mondo francese, infatti, ritornava la proposta di una sostituzione o comunque di un superamento della parrocchia, per il parroco di Bozzolo invece questa istituzione può ritagliarsi ancora un suo spazio significativo per il rinnovamento della pastorale in Italia. Essa è infatti la «cellula vivente della Chiesa», il luogo dove «la Chiesa fa casa con l’uomo» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, edizione critica a cura di M. Guasco, EDB, Bologna 20083, 37-38). La sua analisi però non manca di evidenziare i problemi in corso e la crisi in cui versa la pastorale tradizionale in parrocchia. Il pericolo che avverte è la distanza dalla realtà. L’organizzazione sostituisce la vita. Così la parrocchia ha perso la sua vitalità, cioè la sua capacità di interpretare il vissuto. Ci si dedica ad un’organizzazione che, quanto a capacità di attrattiva sull’esistenza delle persone, ha fatto il suo tempo. Si constata il seguente passaggio: da una parrocchia che era il tutto della vita della comunità, fino a esercitare una funzione sociale, a una parrocchia insignificante. La conclusione è che «non potendo più fare direttamente si è lasciato fare, senza esercitare sulle forze separate l’azione evangelica del sale, del lievito e della luce» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 48).
Mazzolari non si rifugia in una recriminazione per la perdita di potere o prestigio della Chiesa. Lamenta invece l’incapacità di essere lievito. E’ il metodo dell’incarnazione ad essere messo sotto accusa, non la gestione di un ruolo sociale. Per questo motivo la soluzione sarà nel rinnovamento che passa attraverso una diversa valorizzazione del laicato.

2. Oltre la clericalizzazione del laicato
La proposta del parroco di Bozzolo per rimediare all’indebolimento della spinta apostolica e pastorale è formare coscienze laicali mature, non malate di clericalismo o di «formalismo farisaico». Si tratta di andare alla sostanza dell’evangelizzazione:

«Un grave pericolo è la clericalizzazione del laicato cattolico, cioè la sostituzione della mentalità propria del sacerdote a quella del laico, creando un duplicato d’assai scarso rendimento. Non devesi confondere l’anima col metodo dell’apostolato. Il laico deve agire con la sua testa e con quel metodo che diventa fecondo perché legge e interpreta il bisogno religioso del proprio ambiente. Deformandolo, sia pure con l’intento di perfezionarlo, gli si toglie ogni efficacia là dove la chiesa gli affida la missione. Il pericolo non è immaginario» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 60).

Un laicato facilmente manipolabile, accondiscendente al clero e disorientato davanti agli impegni nel mondo è segno di coscienze mal formate, abituate a relazioni servili. Mazzolari invoca invece un’autonomia laicale proprio a garanzia di rapporti corretti. Il contributo dei laici è ricchezza per la Chiesa stessa, perché consente di favorire l’incarnazione del vangelo negli ambiti di vita. Già nel 1931, in seguito al conflitto tra l’Azione cattolica e il fascismo, don Primo commenta con amarezza la situazione nazionale. L’«atmosfera di sopranaturalismo» che si respira nella Chiesa italiana chiede di «uscire da una negazione sociale e politica». E’ scandaloso che vi siano cattolici incapaci di sporcarsi le mani. L’atteggiamento remissivo è incompatibile con «la posizione di fermento» che sarebbe auspicabile per il cristiano (Cfr P. Mazzolari, Diario III/A (1927-1934), a cura di A. Bergamaschi, EDB, Bologna 2000, 461-462).

Il medesimo concetto è espresso in La più bella avventura, laddove si riprende l’immagine evangelica del lievito nella pasta. I cristiani sono nel mondo quello che il lievito è per la pasta. L’invito ai cattolici è di vivere da cittadini di questo mondo, perché solo così possono diventare «ponte» al servizio della verità. La fede testimoniata in ogni campo dell’attività umana costruisce la verità nella storia. L’idea sottostante è che la verità è «da farsi», proprio perché necessita di decisioni concrete. Il contributo del cristiano nella ricerca di ciò che è autenticamente umano rappresenta una ricchezza per il bene dell’umanità. Non conta tanto la ricerca di visibilità, che il lievito stesso non presume di avere, ma l’essere presenza significativa e responsabile. La Chiesa ha bisogno di questo apostolato.

«Oh, se noi cristiani, in quest’ora grave, sentissimo il dovere di essere anche dei «cittadini e degli uomini», di vivere cioè sulla pubblica piazza, più che all’ombra delle sacrestie, di confonderci con la folla invece di fuggirla, di amarla invece di sconfessarla, di parlarle attraverso tutte le voci che essa intende e nel linguaggio che essa comprende, di contendere con ardente carità il posto a quelli che pretendono di condurla e la conducono male; se comprendessimo, in una parola, che il nostro dovere è quello di essere il «lievito della pasta», più che dei bei torniti panini, non importa se benedetti, ma coi quali non si può nutrire una moltitudine affamata!…» (P. Mazzolari, La più bella avventura. Sulla traccia del «prodigo», edizione critica a cura di M. Margotti, EDB, Bologna 20087, 292-293).

La questione è analizzata in Lettera sulla parrocchia (1936). Lo scritto non si limita a riflettere sulla parrocchia e sui problemi pastorali ad essa legati, ma propone un rinnovamento ecclesiale alla luce del nuovo contesto sociale. Uno sguardo al passato, infatti, evidenzia come un tempo la parrocchia era «tutta la vita della comunità» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 44). La Chiesa era al centro di ogni iniziativa con funzioni anche sociali, culturali e politiche.
L’opera di sostituzione dell’attività statale è durata parecchi secoli. Nel nuovo contesto della modernità la Chiesa si è vista costretta a ripensare il proprio ruolo. «Ma poiché nessuno rinuncia spontaneamente a posizioni di dominio acquisite per necessità e mantenute a lungo per il bene comune» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 45), facilmente può emergere la tentazione clericale di confondere lo spirituale col temporale.

In conseguenza delle legittime aspirazioni di autonomia della società civile da un confessionalismo religioso ci si trova così di fronte anche al rischio di un laicismo, che vede nella fede un inutile corollario della vita umana.
Tra una Chiesa nostalgica del potere di un tempo e l’eresia laicista è in corso un conflitto che può essere risolto solo grazie ad un «laicato intelligente audace e disciplinato al servizio della Chiesa» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 50). Qui sta la novità del pensiero mazzolariano. La novità è data dalla consapevolezza che il laicato cattolico è chiamato ad uscire da una condizione di minorità per «fare il raccordo tra la parrocchia, che è lo spirito, e le attività autonome della vita moderna, la quale, come una diaspora deve ritrovare il focolare, il tempio, la guida» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 51). Don Primo tenta di superare una concezione dualista tra laico cristiano e realtà temporali, quasi che nel mondo sia necessario ritagliare per i credenti uno spazio a se stante. La laicità, invece, autorizza ad un impegno nella società che non consente chiusure.

3. La fede produce laicità
La fede non solo riconosce la laicità, ma la produce.
La categoria di laicità rimanda in primo luogo all’universalità dell’umanità, cioè alla comune condizione che lega tutti gli esseri umani e che chiede loro di imparare a convivere. Elemento vitale è il dialogo, senza il quale la laicità non può fiorire. Mazzolari è uomo del dialogo. In secondo luogo, però, il passaggio verso un’autentica laicità è data da uno stile di servizio. Solo a questo livello essa può divenire luogo di incontro nella gratuità e non spazio di rivendicazioni o sterili contrapposizioni. Riflette don Primo:

«Quei cristiani che non hanno rinunciato ad essere “il sale della terra e la luce del mondo” devono guidare l’impegno per far capire queste semplici verità: che non si è soli al mondo, che ci sono anche gli altri e che gli altri sono come noi, con uguale diritto su quello che Dio, Padre di tutti, ha messo a disposizione di tutti; che il mondo è grande se nessuno lo ipoteca, e che c’è posto per tutti e roba per tutti, perché nessuno ne prenda più di quanto gli spetta e che il di più fa male tanto a chi toglie come a chi vien tolto; che si può stare insieme, lavorare insieme e volerci bene senza che sia necessario avere lo stesso pensiero, la stessa opinione politica, lo stesso altare» (P. Mazzolari, Della tolleranza, edizione critica a cura di B. Bignami, EDB, Bologna 2013, 138).

Perciò la laicità si esprime nel servizio agli ultimi. Proprio la centralità del povero consente di evidenziare un elemento oggettivo: il bisogno, la condizione di povertà e di indigenza dell’altro chiedono risposte di condivisione e solidarietà. Il servizio diventa il modo con cui esprimere un’autentica laicità. Essa non è un contenitore vuoto che ciascuno può riempire come meglio crede, ma ha un contenuto nell’atteggiamento di coscienza di chi perde la propria vita. La politica, ad esempio, può tornare così ad essere non più esercizio del potere, ma forma alta di prossimità. Non la strumentalizzazione degli ultimi, ma la loro liberazione esprime una politica di servizio. Per questo Mazzolari invita i politici giunti a Roma dopo le elezioni del 1948 ad essere «grandi come la povertà» (P. Mazzolari, Ho paura delle mie parole. Scritti ai politici, a cura di D. Bettoni, EDB, Bologna 2000, 81) che rappresentano. Solo il servizio, infatti, giustifica il potere di governare. La laicità diventa così stile, modo di essere che fa lievitare tutto verso il bene. «Grande è l’uomo che sopporta il confronto e si dispone a riconoscere il valore di chiunque, a far luce ove c’è appena un barlume, ad aiutare gli altri ad essere quello che devono essere: il granello una spiga, la stella una costellazione, il pensiero un poema, il palpito un’amicizia» (P. Mazzolari, Della tolleranza, 128). E’ il compito mai ingrato di chi deve «gettare ponti»: un segno di speranza per tutta l’umanità. La politica di servizio ha a cuore i processi reali di cambiamento verso il meglio. Il metodo chiede di stabilire un dialogo con gli altri affinché ci sia il riconoscimento della dignità di tutti. Anche l’ascolto degli avversari serve a verificare in ultima analisi se un’azione produce vittime.

Mazzolari propone una laicità come spazio costruttivo, come atteggiamento di coscienza, come metodo. L’umano è il luogo di incontro laico tra tutti coloro che vivono le stesse sfide della storia. L’incarnazione fonda la responsabilità del credente non solo davanti alla Chiesa, ma anche davanti all’umanità. Il cristiano si immerge nel mondo con una ricchezza che gli proviene dalla fede vissuta in Cristo. Per questo il cittadino cristiano «nella sfera dell’onesto e del vero, ha una libertà di scelta (pluralismo politico), un dovere di convivenza e di tolleranza e responsabilità personale» (Adesso, «L’apostolato dei laici», in A.9 (1957) 13, 5).

4. Le vie dell’incarnazione e della missione
Se la Chiesa è in mezzo al mondo, la sua presenza pone un’inguaribile inquietudine. Il cristiano, che non cessa mai di essere membro del corpo ecclesiale, è fermento e non fugge le contraddizioni dell’umanità. Piuttosto, le abita facendo emergere il germe evangelico. Parafrasando una famosa frase di Mazzolari in Tu non uccidere, si potrebbe così riassumere l’atteggiamento del credente nei confronti del mondo: «Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace». Il dramma per la fede cristiana non è solo quello di non incarnarsi, ma anche di cessare di essere inquietante. Diverrebbe tiepida. La passione di Mazzolari per una Chiesa più evangelica va in questa direzione. Una fede appiattita sulle logiche mondane è assolutamente inutile non solo a se stessa (svilendo il suo essere segno e strumento), ma al mondo di cui è al servizio. L’antivirus ecclesiale in questo senso è il discernimento realizzato attraverso il vangelo.

C’è di più. L’ampia riflessione mazzolariana sulla pastorale in parrocchia consente di comprendere la crisi in cui versa l’istituzione ma anche le sue possibilità inattese. La parrocchia si presenta come struttura che permette il radicamento della Chiesa nel territorio. Grazie al suo situarsi sulla soglia, è condizione di possibilità perché la fede abiti la vita di ogni uomo. E’ nella prossimità all’altro che la fede può interrogare e diventare significativa. La lontananza non interpella. La parrocchia rimane ancora lo spazio vitale in cui la fede interagisce con i legami sociali. Attraverso di essa il cristianesimo abita la cultura, ne assume istanze di profonda umanità e la purifica. Certo, anche per Mazzolari il rischio della parrocchia tradizionale è che viva nella mediocrità, ripiegata su se stessa, senza slancio missionario, rischiando di sbiadire l’esperienza originaria del cristianesimo.

Il rinnovamento della Chiesa non avverrà spiantando la parrocchia, ma presentandone il volto missionario, capace di vicinanza e accoglienza. La parrocchia in molti luoghi ha intessuto trame di solidarietà profonda, ha favorito legami, ha facilitato l’integrazione, ha aiutato ad aprire gli occhi sugli ultimi, ha fatto sentire vicini i «lontani». Allora proprio la sua debolezza nel faticare a proporre un’immagine di Chiesa «perfetta», senza ombre o compromessi, può divenire il punto di forza. Può infatti consentire un riconoscimento reciproco nella diversità. Può divenire importante antidoto a gruppi élitari e ripiegati su di sé. La parrocchia è in molti casi ancor oggi la porta di ingresso all’esperienza della fede. Si colloca così sulla soglia, quasi come invito al cristianesimo, gesto di prossimità per l’uomo che rischia il rifugio nell’individualismo della fede. La parrocchia è luogo di accesso, porta di ingresso al cristianesimo: una debolezza umana che agli occhi di Dio è forza.

La parrocchia è luogo ospitale per tutti, ma con una predilezione per i poveri. Lo scritto del ’57 La parrocchia aiuta a ripensare una comunità al servizio dei poveri e degli ultimi. Ciò significa «amare di più chi ha bisogno di essere amato di più». Laddove c’è povertà, c’è un vuoto d’amore. E dove c’è un vuoto d’amore, c’è bisogno di una sovrabbondanza d’amore. La Chiesa torna ad essere quel luogo: «la “Chiesa” incomincia dove qualcuno fa posto, nella sua anima e nella sua casa, ai poveri» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 77). Questa comunione coi poveri Mazzolari la indica come testimonianza evangelica. Per questo la storia della Chiesa ha fatto l’esperienza di ricchezze e patrimoni lasciati in «beneficio» dei poveri. Il compito nella comunità è quello di non dimenticare mai che si è uomini dei poveri, al loro servizio. La grande tentazione è l’imborghesimento: la parrocchia perde il valore di segno se il povero non si sente a casa. O non è di casa. L’allontanamento dei poveri è la peggior disgrazia che potrebbe capitare alla comunità cristiana. Si finisce nel paradosso di avere chiese belle, ricche e riscaldate ma così desolatamente vuote, «come il cuore di un prete senza poveri» (P. Mazzolari, Lettera sulla parrocchia e La parrocchia, 90). L’attenzione al povero consente di rivedere i criteri di spesa di una comunità: la logica non può che essere quella della comunione. L’amore vero, prima ancora di dare la vita, accetta la sorte di colui che ama. La condivisione col povero è conseguenza dell’incarnazione. Si tratta di un messaggio che anche in tempi come il nostro, dove il dibattito su una società interculturale sembra essere appaltato a questione socio-politica numerica di accoglienza, la comunità cristiana può tracciare percorsi di annuncio e di dialogo significativi. Le forme di povertà si trasformano col tempo e si presentano con volti nuovi e inediti. Pertanto, saper cogliere i «segni dei tempi» è urgenza improrogabile.

5. La liturgia interpreta la vita
Mazzolari celebra la santa Messa con il Messale di Pio V, in latino. La sua preoccupazione però è di cogliere appieno le istanze più vive e profonde uscite dal concilio di Trento sintetizzabili nel concetto di popolarità. Certo, non domina l’idea di Chiesa come popolo di Dio soggetto celebrante, ma si avverte l’esigenza che la liturgia debba essere vissuta dal popolo e mantenere un linguaggio comprensibile. Vive un protagonismo del prete-sacerdote-alter Christus come centro della celebrazione, tipico della liturgia tridentina. Però, il tentativo di far incontrare mistero di Cristo e vita dell’uomo apre prospettive inedite a permette di inserire don Mazzolari tra coloro che preparano la riforma liturgica. Sua preoccupazione è che la liturgia educhi le persone e accompagni la fede. Ne deriva un ripensamento della stessa devozione popolare, che non vuole far scadere in «devozionismo». La religiosità popolare può essere ripetizione senz’anima o divenire luogo di creatività. Mazzolari si è speso perché liturgia e vita si incontrassero. Forse non tutte le sue proposte risultano ben riuscite, ma occorre dargli atto che si è trattato di un tentativo originale.
Legge e medita Lo spirito della liturgia di Romano Guardini, acquistato nella versione e traduzione francese di Robert D’Harcourt, edizione del 1929 della Librairie Plon di Parigi. Il testo, presente nella biblioteca personale di Mazzolari conservata nella Fondazione di Bozzolo, appare sottolineato e glossato, soprattutto laddove si parla della liturgia come espressione della profonda interiorità dell’uomo di fede e dove si sottolinea che la liturgia vede e accoglie l’uomo peccatore, con tutte le sue fragilità (Cfr R. Guardini, L’esprit de la liturgie, Librairie Plon, Paris 1929, 249 e 131). Condivide l’idea di fondo che «la liturgia si propone soprattutto di creare lo spirito cristiano» (R. Guardini, L’esprit de la liturgie, 258), favorendo un legame stretto tra la conoscenza e l’azione, tra il vero e il bene. E’ il compito educativo della liturgia cristiana che permette di coniugare verità dottrinali e domande della vita attraverso il valore dell’esperienza.

6. La Chiesa come «casa» abitabile
Mazzolari associa spesso la Chiesa all’immagine della casa o del focolare domestico (Interessanti approfondimenti al riguardo si trovano in: G. Sigismondi, La Chiesa, un focolare che non conosce assenze. Studio del pensiero ecclesiologico di don Primo Mazzolari, Ed. Porziuncola, Assisi 20032). La chiesa è la casa di tutti, dove è possibile fare l’esperienza della figliolanza divina. Da figli si vive il dono della libertà ma anche della responsabilità. Nulla è scontato, come nella parabola evangelica del figliol prodigo, commentata in La più bella avventura: chi è lontano può passare per «l’avventura della conversione» (P. Mazzolari, La più bella avventura, 285) e ritrovare la casa del Padre, mentre chi si considera «dentro» può rischiare di non capire l’amore gratuito di Dio.

La pastorale assume il compito di costruire un clima familiare con chi condivide l’esperienza della fede, ma è anche capace di suscitare fascino verso chi si trova sulla soglia. Se il lontano si sente ospitato, i passi di avvicinamento sono facilitati. L’ascolto dell’errante diventa un metodo pastorale e uno stile di vita credente: si tratta di accompagnare la fede dell’altro, di prendere per mano i suoi dubbi, di aver cura della sua presenza. La proposta cristiana va fatta in modo che l’altro si senta accolto. Il metodo mazzolariano lascia spazio alla maturazione dei tempi, favorisce i passaggi e la gradualità di comprensione dell’altro. «Ognuno è soltanto obbligato a camminare con la luce che ha, cioè a fare la verità di cui è in possesso. Il rimanere fedeli alla verità posseduta non è un piccolo merito, mentre apre la via a una luce più grande» (P. Mazzolari, I lontani. Motivi di apostolato avventuroso, EDB, Bologna 19814, 54). Il lontano potrà varcare la soglia della fede solo dopo aver visto il credente varcare la soglia della sua vita. Con discrezione, in punta di piedi, nella gratuità. In questa fiducia relazionale, il cristianesimo acquista nuove possibilità di esprimersi.

«Rifare» la parrocchia è edificare la comunità dei discepoli: la vera sfida per la Chiesa di ogni tempo.

 

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie tecnici da parte nostra. [ info ]

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi