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L’opera e il pensiero

Per i diritti della donna
Con la sua opera Edith Stein è fortemente impegnata ad affermare i diritti della donna. Contesta innanzitutto l’idea che la donna abbia come proprio campo d’azione solamente la casa. È convinta che la donna, al pari degli uomini, possa lavorare e realizzarsi in tutti i campi. È contraria a riservare certe professioni esclusivamente agli uomini e altre solamente alle donne. Anzi, secondo lei La presenza della donna può anzi permettere a certi lavori di umanizzarsi e di risultare meno alienanti.

Si può affermare che anche le professioni, che per i loro requisiti puramente oggettivi non s’armonizzano con il peculiare modo di essere della donna, e che quindi dovrebbero essere considerate prettamente maschili, possono essere svolte in modo squisitamente femminile, se assunte nel contesto delle situazioni concrete in cui vengono esercitate. Lavorare in fabbrica, in un ufficio commerciale, nell’amministrazione statale o municipale, nelle istituzioni legislative, in un laboratorio di chimica o in un istituto di matematica, comporta sempre adattamento ad un materiale inanimato o astratto-intellettuale. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si tratta di un’attività che porta a contatto con gli altri, o che, almeno, va svolta con gli altri nella stessa stanza, spesso con una suddivisione di lavoro con loro. Sì, è possibile affermare che proprio qui, dove ogni individuo rischia di trasformarsi in parte di un ingranaggio, di perdere la propria umanità, il dispiegarsi della personalità femminile può fungere da benefico contrappeso. Nell’animo di colui che sa di essere atteso, sul posto di lavoro, da solidarietà e simpatia, potrà mantenersi vivo, o risvegliarsi, un qualche sentimento altrimenti destinato a inaridire. Questo è uno dei modi in cui la personalità femminile dà all’attività lavorativa un’impronta diversa da quella comunemente conferitale dall’uomo.

L’uguaglianza fra l’uomo e la donna, come esseri umani, non significa per Edith Stein dimenticare che vi sono delle differenze e delle specificità sia maschili che femminili. L’uomo e la donna sono uguali nei diritti e nelle possibilità, ma diversi e complementari nella realizzazione del proprio percorso di vita e nell’approccio alle varie problematiche.

Vorrei inoltre far notare che anche nella vita politica sarebbe possibile sfruttare positivamente il valore intrinseco della donna. Nella stesura delle leggi esiste sempre il pericolo che si decida a tavolino, che si stendano interi paragrafi senza avere sufficientemente presenti le condizioni reali e le conseguenze pratiche. Questo procedimento astratto è contrario alla natura femminile, che si concentra invece sugli aspetti umani e concreti e potrebbe quindi fungere in questo caso da correttivo. La mentalità femminile si interessa di ciò che è vivo e personale e mira al tutto. Curare, proteggere e custodire, nutrire e far crescere: è il suo desiderio naturale, genuinamente materno. Ciò che è inanimato, la cosa, le interessa non tanto di per sé, quanto nella misura in cui serve a ciò che è vivo e personale.

Edith Stein per un certo periodo, prima dell’avvento del nazismo, è fortemente impegnata anche a livello politico nel Partito democratico tedesco. Contesta l’indifferenza diffusa fra gli studenti verso le questioni politiche e sostiene anche in questo campo i diritti delle donne, in particolare il diritto di voto.

Netto disaccordo con il nazismo
Già nel 1931, in un contesto sociale sempre più antisemita, Edith in una conferenza pubblica, tenuta a Ludwigshafen, manifesta in modo chiaro e trasparente, per chi lo sa vedere, il proprio punto di vista di netto disaccordo con le idee base del nazismo.

Se Dio è in noi, e se è Amore, non possiamo far altro che amare i nostri fratelli. Perciò il nostro amore per i nostri fratelli è la misura del nostro amore per Dio. Quest’ultimo è però diverso dall’amore umano naturale. L’amore naturale ci lega a questo o a quello che ci è vicino per vincoli di sangue o per una similitudine di carattere, oppure per interessi comuni. Gli altri ci sono “estranei”, “non ci riguardano”, possono anche esserci sgradevoli per il loro comportamento, tanto che li teniamo il più possibile in disparte. Per il cristiano, non esiste un “uomo estraneo” ed è l’uomo che sta di fronte a noi e che ha bisogno di noi a incarnare il prossimo: non importa che sia o meno nostro parente, che ci piaccia o meno, che sia “moralmente degno” o meno del nostro aiuto. L’amore di Cristo non conosce frontiere, non viene mai a mancare e non si copre il volto di fronte al degrado e all’abiezione.

I provvedimenti contro gli Ebrei colpiscono naturalmente anche Edith Stein che si trova definitivamente esclusa dalla possibilità di entrare nel mondo accademico tedesco ed ha una serie di limitazioni nella propria vita personale, ad esempio per quanto riguarda gli spostamenti o la corrispondenza. Il pensiero di poter condividere la sorte del suo popolo, tuttavia, le procura quasi un senso di sollievo. 

La lettera a Pio XI
Gli storici sapevano dell’esistenza di questa lettera di Edith Stein al papa, ma ne ignoravano il contenuto, almeno fino a quando vi è stata l’apertura degli archivi vaticani relativi al pontificato di Pio XI (1922-1939). È stato il giornale francese «Le Monde», il 1° marzo 2003, a rendere nota questa scoperta e pubblicare il testo della missiva.

Padre Santo!

Come figlia del popolo ebraico e per grazia di Dio da undici anni figlia della Chiesa cattolica, ardisco esprimere al Padre della cristianità ciò che preoccupa milioni di tedeschi.

Da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo. Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli Ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci – tra i quali ci sono dei noti elementi criminali – il seme dell’odio si schiude. 

Le defezioni dal partito che detiene il governo fino a poco tempo fa venivano ammesse, ma è impossibile farsi un’idea sulla loro consistenza in quanto l’opinione pubblica è imbavagliata. Da ciò che posso giudicare, in base ai miei rapporti personali, non si tratta affatto di casi isolati. 

Sotto la pressione di voci provenienti dall’estero, il regime è passato a metodi più “miti” e ha dato l’ordine “che a nessun ebreo venga torto un capello”. 

Questo boicottaggio – che priva le persone della possibilità di svolgere attività economiche, della dignità di cittadini e della patria – ha indotto molti al suicidio: solo nel mio privato sono venuta a conoscenza di ben cinque casi. Sono convinta che si tratti di un fenomeno generale che provocherà molte altre vittime. Si può ritenere che tutti gli infelici non avessero abbastanza forza morale per sopportare il loro destino. Ma se la responsabilità in gran parte ricade su coloro che li hanno spinti a tale gesto, essa ricade anche su coloro che tacciono.

Tutto ciò che è accaduto e che accade quotidianamente viene da un governo che si definisce “cristiano”. Non solo gli Ebrei, ma anche migliaia di fedeli cattolici della Germania e, ritengo, di tutto il mondo, da settimane aspettano e sperano che la Chiesa di Cristo faccia udire la sua voce contro tale abuso del nome di Cristo. 

L’idolatria della razza e del potere dello Stato, con la quale la radio martella quotidianamente le masse, non è un’aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore, della beatissima Vergine e degli Apostoli? Non è in assoluto contrasto con il comportamento del nostro Signore e Redentore, che anche sulla croce pregava per i suoi persecutori? E non è una macchia nera nella cronaca di questo Anno Santo, che sarebbe dovuto diventare l’anno della pace e della riconciliazione?

Noi tutti, che guardiamo all’attuale situazione tedesca come figli della Chiesa, temiamo il peggio per l’immagine della Chiesa stessa e il silenzio si prolunga ulteriormente. Siamo anche convinti che questo silenzio non può alla lunga ottenere la pace dall’attuale governo tedesco. 

La guerra contro il cattolicesimo si svolge in sordina e con sistemi meno brutali che contro il giudaismo, ma non meno sistematicamente. Non passerà molto tempo che nessun cattolico potrà più avere un impiego, a meno che non si sottometta senza condizioni al nuovo corso.

Ai piedi di Vostra Santità, chiedendo la benedizione apostolica.

Dott. ssa Edith Stein
Docente all’Istituto tedesco di pedagogia scientifica presso il Collegium Marianum di Münster

Non è dato sapere che effetto abbia avuto sul papa la lettera di Edith Stein che, giova ricordare, era allora molto conosciuta in Germania, meno negli altri Paesi. Un dato di fatto non certo in sintonia con la richiesta della filosofa tedesca è, pochi mesi dopo la lettera, la firma del Concordato fra il Vaticano e il governo nazista. Questo fatto rappresenta per Hitler un grande successo, un attestato di prestigio e una patente di legittimità valida a livello internazionale. Comunque il 14 marzo 1937 Pio XI pubblica l’enciclica Mit brennender Sorge (Con viva angoscia), dove, pur senza mai citarlo esplicitamente, condanna il nazionalsocialismo. L’enciclica viene letta, senza chiedere la preventiva autorizzazione delle autorità tedesche, in tutte le chiese la domenica delle palme del 1937, suscitando l’ira della Gestapo, che poi la fa ritirare e fa chiudere le tipografie che l’avevano stampata. Nell’enciclica si condanna «chi, con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio» e chi «seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza».   

La fenomenologia
Angela Ales Bello, una delle maggiori studiose italiane di Husserl, ha scritto che «il metodo di indagine proposto da Edmund Husserl, consistente nell’indagare la realtà, le “cose” che ci si presentano, quindi i “fenomeni”, in modo essenziale e privo di pregiudizi, è accettato da numerosi discepoli, perciò è lecito parlare di una scuola fenomenologica». L’interesse di Edith Stein, arrivando a Gottinga, è proprio quello di poter entrare in questa sorta di cenacolo che gravita attorno a Husserl. Qui la filosofia passa dal soggettivismo, secondo cui la realtà dipende dalla propria coscienza, all’oggettivazione, che parte dal fenomeno esterno e lo analizza nei suoi vari aspetti, prescindendo da ogni preconcetto iniziale, al fine di arrivare in tal modo a delle certezze verificate. Proprio questo cerca Edith: avere dalla filosofia e dalla scienza la risposta definitiva ai quesiti ultimi dell’esistenza umana. Ha scritto la fenomenologa Hedwig Conrad-Martius: 

«Non possedevamo un linguaggio tecnico, né tanto meno un sistema comune. Quello che ci univa era solo lo sguardo aperto verso la raggiungibilità spirituale dell’essere in tutte le sue forme possibili e immaginabili, e le incredibili prospettive che ne risultavano per la ricerca dei fondamenti di tutte le possibili scienze. Era l’etica della purezza e della limpidezza oggettiva. […]. Fenomenologia significa una radicalità di disponibilità e dedizione puramente spirituali alla cosa, da non poter essere superate. Le è propria una completa esclusione di tutti i pregiudizi, di ogni affrettato giudicare proveniente da qualche legame di concetti imparato o abituale per tradizione. Le è propria l’incondizionata capacità di un puro e sereno sguardo sulla cosa».

L’empatia
Attraverso i suoi studi Edith Stein definisce l’empatia come unico processo conoscitivo in grado di farci cogliere l’intersoggettività.

Empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui: si rende così evidente che esiste altro e si rende evidente a me stesso che anch’io sono altro. Empatia è allora amore, è il viversi in relazione, una sorta di atto paradossale attraverso cui la realtà di ciò che non siamo, che non abbiamo ancora vissuto o che non vivremo mai, diventa elemento dell’esperienza più intima: quella del “sentire insieme”. Questo percorso incessante di andata e ritorno, se pienamente consapevole, consente di sperimentare, nella differenza, la cura autentica dell’altro.

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