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SCUOLA E CITTADINANZA
PENSIERI DI UN ANZIANO INSEGNANTE

Silvano Bert

In questi giorni le scuole, tra molte polemiche e timori, riprendono a funzionare. Le precauzioni richieste dal Covid-19, dopo il lungo lockdown continuano a mettere a dura prova l’attività didattica e non possono non portare ad interrogarci sulla qualità dell’istruzione che in queste condizioni l’istituzione preposta alla formazione (istruzione più educazione comportamentale e civica) riesce realmente a fornire alle future generazioni.

Le cronache quotidiane ci rimandano al grande disorientamento (confusione?) sul piano delle relazioni interpersonali e dei comportamenti in campo civico e politico. L’individuale (io) sembra prevalere prepotentemente sul sociale (noi). Per riscostruire il “noi”, il racconto del prof. Bert ci sembra interessante, anche se può apparire un sogno. (V)

*** ***

«Ben tornati. Sono mesi che non ci vediamo faccia a faccia. Finalmente, seppure a distanza, possiamo tornare a sorriderci e, talvolta succede, anche a digrignarci i denti. Il virus ci sta cambiando tutti, più paurosi? più fiduciosi? più maturi?, voi giovani, e anche il vostro vecchio insegnante: ne riparleremo.

È lo stesso virus che vi ha dichiarati ‘tutti promossi’. Le polemiche politiche sono state accese. Io considero la promozione una grande responsabilità che la società ci affida. Per gli sfaticati è un atto di fiducia, per i giovani stranieri è una promessa di cittadinanza. È anche una smitizzazione del voto, quello che in voi genera ansia, e che noi insegnanti, in ansia, distribuiamo in continuazione. ‘Non scholae, sed vitae discimus’: impariamo non per la scuola, ma per la vita. È un latino, quello di Seneca, che sapete apprezzare anche voi, futuri periti chimici, con l’occhio fisso alla tavola di Mendeleev». 

“Prima pagina” in cattedra
«C’è un momento della giornata a cui sono affezionato da sempre, e che in questi mesi, ascoltando voci diverse, mi ha aiutato a riflettere, anche sul senso della scuola, lo spazio e il tempo in cui i giovani e gli adulti lavorano insieme, in relazione. Per questo lo propongo anche a voi. Prima pagina è un programma storico di Radio Tre, inventato da Enzo Forcella quasi 50 anni fa. Alzi la mano se qualcuno ne ha sentito parlare. Lo so, sono altri gli strumenti con cui voi vi informate. Vi chiedo di credermi sulla fiducia, dopo vi sentirete cittadini più consapevoli, anche nell’uso dei social media. La radio è una tecnologia antica, poco costosa, diffusa capillarmente. Organizzarci non sarà facile, ma ci proviamo. È un patto educativo che vi impegna a coppie, chi lo vorrà, per due settimane.

Le quattro competenze linguistiche, ascoltare, parlare, leggere, scrivere, a scuola non riusciamo mai a svilupparle come dovremmo. Voi le praticherete a confronto tra voi, accompagnati da un insegnante referente. Potrò essere io, ma anche il collega di matematica, o il tecnico di laboratorio. Imparerò anch’io, con voi. Nella conversazione non c’è chi ha ragione e chi ha torto, lo scopo è di comprendere il pensiero dell’altro, e di fare all’altro comprendere il proprio. Senza voti, gratuitamente. 

Un patto sulla fiducia
«La coppia può essere fra compagni di classe, ma anche di età e classi diverse. O di scuole diverse: pensate che messaggio sarebbe se io mi trovassi a coordinare un terzetto di giovani amici, uno del tecnico, uno del liceo, uno del professionale. Io ne parlerò nel consiglio di classe e, forse, anche nel collegio docenti. Se la partecipazione fosse grande, anche durante le vacanze, la scuola potrebbe coinvolgere qualche insegnante in pensione. E perché non altri cittadini interessati a stabilire un rapporto fra la scuola e la società?  Prima pagina è un programma stimato. Da pensionati, in soccorso, a curare i malati hanno risposto anche medici e infermieri: la società italiana si è rivelata anche così».

Così parlerei oggi alle mie tre classi di studenti di chimica dell’Iti “Buonarroti” di Trento. Un “patto sulla fiducia”, fra i giovani e il loro insegnante. Io sono un pensionato, anziano: so bene che in questi vent’anni sono cambiati i giovani e gli insegnanti, esperti in tecniche a me estranee. Sono (quasi) certo che parecchi dei miei studenti di allora oggi accetterebbero la sfida che il virus ci lancia: due settimane di studio matto e disperatissimo, un’ora e mezza alle 7.15, o in podcast al pomeriggio, con un giornale in mano.

Imparare a ordinare le idee e a confrontarsi
Racconto un episodio “radiofonico” che mi ha educato per tutta la vita, come insegnante di lingua e come cittadino “politico”. Quel giorno, era il maggio del 1998, i miei studenti di quinta erano elevati al rango di giornalisti inviati speciali. Feci loro ascoltare un’intervista di Sergio Quinzio a “Uomini e profeti” sulla storia religiosa del Novecento.

In due ore, in tre pagine, dovevano poi riassumerla, senza commenti. Scoprirono che mettere in ordine i fatti, gerarchizzarli, era già esprimere un punto di vista. In aggiunta dovevano commentare il passo sulla mancata condanna della Shoah da parte della Chiesa cattolica.

Gli studenti si sono divisi: per alcuni il teologo si limitava a “spiegare” il silenzio di Pio XII, mentre per altri si spingeva a “giustificarlo”. Nemmeno dopo il riascolto di quei 5 minuti, e una discussione animata, si è trovato l’accordo. Io ero convinto che di “spiegazione” si trattava. Per averne conferma, e convincere i riluttanti, ho fatto ascoltare l’intervista agli insegnanti di lingua della mia scuola, in una riunione del ‘gruppo didattico’.

Per tre di loro, d’accordo con me, Quinzio spiegava, freddamente, da storico, per cinque giustificava, emotivamente coinvolto. Così quei giovani, ma anche i loro insegnanti, hanno imparato a ragionare, ascoltandosi. Su nessun ‘tema’ agli esami di maturità mi è mai successo di discutere così a lungo, fra insegnanti di storia.

Due settimane di studio “matto e disperatissimo”
Ogni giorno. Qual è la notizia più importante per il conduttore? Io sono d’accordo o scelgo un’altra notizia? Il Coronavirus è ancora notizia? E di scuola scrivono oggi i giornali? A questi due temi i giornali dedicano uno spazio adeguato, insufficiente, eccessivo? Al Filo diretto qual è la telefonata più interessante degli ascoltatori? Sul giornale nazionale che oggi leggo, la notizia di apertura, la più importante [in prima pagina, titolo in alto, a caratteri grandi] è la stessa scelta dal conduttore alla radio? Il titolo è freddo, informa sul fatto, o è caldo, prende posizione a favore o contro? Se oggi ho scelto un giornale locale [solo in Trentino sono tre, il Trentino, l’Adige, il Corriere del Trentino: lo considero positivo o negativo?] la notizia di apertura è certo diversa dal quotidiano nazionale: qual è la mia impressione? Dopo l’ascolto, sul sito di Radio Tre posso tentare una telefonata, o inviare un messaggio: quale problema proporrei agli ascoltatori? Metto ordine negli appunti affrettati, per renderli confrontabili con quelli del mio amico, e rendere produttiva la conversazione. Attendo con curiosità questo momento. Chiederò al referente il significato di parole oscure, il Quirinale, la Cei, l’Unhcr.

La domenica, alla fine di ogni settimana.  Qual è l’orientamento politico del conduttore: lo decido dalle risposte alle telefonate, o già da come legge i giornali? È fazioso o legge serenamente anche i giornali della parte avversa? Da 1 a 5 quale punteggio gli assegno? La settimana trascorsa ascoltando e leggendo mi induce al pessimismo o alla speranza? Qual è la notizia più bella della settimana, che racconterò anche a qualcuno non coinvolto nel ‘patto’? E quella più drammatica? [Domani cambierà il conduttore: il professore ci ha assicurato che ogni settimana l’esperienza è diversa.]

A conclusione delle due settimane. Oggi scriveremo, io e il mio amico, la relazione conclusiva. Serve a noi, al referente, agli amici che vorranno leggerla, ai compagni ancora incerti se imbarcarsi in questa esperienza. Noi leggeremmo volentieri le relazioni dei nostri compagni, quelli più politicizzati, e quelli estranei alla politica. Nella lettera-relazione metteremo in evidenza le convergenze e le divergenze fra noi due. Ascolteremo il punto di vista dell’insegnante, ne terremo conto, ma non lo collocheremo nella scala da 1 a 5. Ci sentiamo cittadini più consapevoli dopo queste due settimane? Ascolteremo ancora Prima pagina?

Silvano Bert
mail: silvanobert43@gmail.com

Nella mia autobiografia, “L’aula e la città. Cronache dalla scuola 1968-2002”.- Trento 2003, i giornali, la radio, l’audio e il video registratore hanno uno spazio notevole. L’attenzione al pluralismo linguistico la devo a Tullio De Mauro: ascoltare, leggere, parlare, scrivere sono competenze della stessa importanza.

[12 settembre 2020 – foto ripresa dal sito strumentipolitici.it]

5 Commenti su “SCUOLA E CITTADINANZA
PENSIERI DI UN ANZIANO INSEGNANTE”

  1. Sul “pensare” mi trovi d’accordo, senza “fermarsi” però, anzi “in cammino”, anche con innovazioni che partono dal basso. Cosa è veramente importante? Io penso il riflettere sul perché il 40% dei nostri giovani non arriva al traguardo della maturità. Ognuno, se sappiamo organizzare bene la scuola, può essere promosso, senza sconti. Quando ero alle elementari il diritto allo studio si esauriva in 5° classe: allora, era il 1959, abbiamo alzato la mano in cinque bambini quando il maestro ci chiese in quanti avremmo proseguito gli studi. Quando, nel 1962 fu approvata la riforma della scuola media statale, unica, per tutti, fino ai 14 anni, senza latino, molti, troppi, insegnanti si opposero, prevedendo una catastrofe. Da un pezzo l’obbligo andrebbe esteso ai 18 anni. Proviamoci oggi.

  2. Caro professore, al suo auspicio/sogno vorrei aggiungere, con una sempre mantenuta franchezza nelle opinioni di “come va il mondo”, quanto scrisse nel settembre1998 per l’ inizio anno scolastico il cardinale Carlo Caffarra, un messaggio di augurio che ho trovato in questi giorni ripubblicato su un giornale:
    “Messaggio agli studenti in occasione dell’inizio dell’Anno scolastico
    16 settembre 1998

    Carissimi, consentitemi di dirvi una parola, in questi giorni in cui riprendete il vostro cammino scolastico. Da oggi per nove mesi passerete la maggior parte del vostro tempo nella scuola. Già per lo spazio che essa occupa in termini quantitativi dentro la vostra vita, non potete consumare un’occasione come questa. Lo so: nell’attuale scuola italiana non è facile per voi superare questa insidia. Ma la scuola è fatta anche e soprattutto da voi: siate esigenti.
    Con i vostri insegnanti: chiedete a loro che vi educhino ad una passione smisurata per l’uso della vostra ragione e non solo per il rispetto tollerante di ogni opinione; chiedete loro che vi educhino al gusto pieno della libertà, di quella libertà che consiste nella esclusiva sottomissione alla ragionevolezza. In una parola: che vi introducano nella realtà, offrendovi una chiave di lettura del suo significato intero.
    Siate esigenti con voi stessi: non tagliate mai i desideri del vostro cuore sulla misura impostavi dalle mode del momento, dai potenti di turno. Perché, alla fine, la scuola che oggi cominciate se non vi educa ad essere veri, liberi, capaci di stupore di fronte alla realtà, vi prepara ad essere servi. Auguri!”

    Mi piace questo pensiero perché considero la scuola una priorità e perché come ha scritto Giancristiano Desiderio in un pregevole librettino, facilmente reperibile in questi giorni, con i governi Conte I e Conte II la scuoia si è dissolta e l’unica soluzione è uscire dal monopolio dell’istruzione!
    Con affetto

    1. La “dissoluzione” della scuola è attribuita da Maso ai governi presieduti da Conte. Altri la datano al ’68, a quell’evento caotico. Altri alla riforma della scuola media statale, unica, per tutti, del 1962. Quando, in 5° elementare, era il 1959, il maestro ci chiese in quanti avremmo proseguito gli studi, alzammo la mano in cinque bambini. Io fui messo in cattedra, tu Graziano lo sai bene, nel 1964, da studente universitario, all’Istituto Canova, privato-cattolico, perché non erano sufficienti gli insegnanti laureati. Oggi, in ritardo, dovremmo estendere l’obbligo scolastico (meglio: il diritto allo studio) ai 18 anni. Ogni passaggio è stato difficile, lo sarà anche questo. Nella mia proposta “Prima pagina in cattedra” affermo che ogni studente, del liceo, del tecnico, del professionale, dovrebbe avere il diritto di ascoltare e partecipare attivamente a quel programma radiofonico. Non solo gli insegnanti, ma anche i giornalisti che scrivono, e il conduttore, dovrebbero tenerne conto. Dobbiamo avere, e diffondere, speranza, anche dal sito dei “Viandanti”.

  3. Al collega dell’ITT rispondo così. Sul “pensare” mi trovi d’accordo. Meno sul “fermarsi”. La proposta di “Prima pagina in cattedra” è la fiducia che si possa pensare insieme con altri, con la società intera. Sulla scuola si incroceranno pensieri di versi. Qual è oggi la domanda che mi sta più a cuore? Non è la minaccia del “tutti promossi”, ma che troppi insegnanti non sentano il dramma, per i diretti interessati, e per la società intera, del fatto che all’esame di maturità mancano all’appello il 40% dei nostri giovani. Se sentissimo che è questa la priorità forse saremmo capaci di affrontare con fiducia anche le altre domande. Buon lavoro. Silvano Bert

  4. Inlustrissimo Prof. Bert, al momento, piuttosto che commentare preferisco meditarci sopra.
    E meditare richiede tempo, non devi avere alti affanni, non devi avere distrazioni.
    I ragazzi che sono all’ITI oggi, istituto che non è più ITI ma ITT ( istituto tecnico tecnologico) nome che non specifica nulla, hanno troppo in offerta formativa, c’è di tutto, anche la sua è una offerta formativa, ma non gli abbiamo lasciato il tempo di imparare a meditare. Le sconfitte insegnano a meditare. Le facili vittorie ( come la promozione a tutti causa pandemia) ti riempiono di boria, ti sopravvaluti, non riconosci i tuoi limiti.
    La sua proposta è lodevole, ma non vedo spazi. Forse è il momento di fermarsi un attimo e meditare su cosa sia veramente importante soffermarci un attimo a pensare.

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