SECONDA ASSEMBLEA SINODALE:
LEALE, VIVA E AUTENTICA
Franco Ferrari
Il Cammino sinodale italiano continua. Dopo la Seconda Assemblea, tenuta in Vaticano nell’Aula Nervi dal 31 marzo al 3 aprile scorsi, l’Assemblea generale dei vescovi italiani della fine del maggio prossimo avrebbe dovuto concludere il percorso con l’approvazione di un documento finale da inviare alle diocesi per l’attuazione delle decisioni prese.
Un esito a sorpresa
Il meccanismo si è però inceppato perché i partecipanti a questa Seconda Assemblea hanno bocciato il testo articolato in 50 Proposizioni raccolte sotto il beneaugurante titolo “Perché la gioia sia piena” e ne hanno chiesto la riscrittura.
La votazione finale, invece di essere dedicata all’approvazione dei testi delle Proposizioni emendati, ha riguardato una Mozione presentata dal Consiglio Episcopale Permanente (CEP) che prevede: a) la scrittura di un nuovo testo affidata “alla Presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale con il supporto del Comitato e dei [28] facilitatori dei gruppi di studio”, b) l’Assemblea venga convocata il 25 ottobre “per la votazione del Documento contenente le Proposizioni”.
Un testo approvato con 835 voti favorevoli, 12 contrari e 7 astenuti.
Diventa ora importante capire cosa sia successo e quali conseguenze o sviluppi possa avere questo fatto imprevedibile e non consueto nelle dinamiche ecclesiali. Poiché il Cammino sinodale non ha fatto molto notizia, può essere utile contestualizzarlo ricordando i vari passaggi prima di soffermarsi su questa ultima tappa.
Un percorso lungo e complesso
La Conferenza episcopale italiana (CEI) ha avviato il Cammino sinodale nel 2021. Non un vero e proprio sinodo, ma un percorso misto tra assemblea ecclesiale e sinodo. La durata, stabilita in quattro anni, è stata suddivisa in tre fasi. “Fase narrativa” (2021-2023) dedicata, nel primo anno, alla consultazione predisposta per il Sinodo dei Vescovi che ha prodotto la “Sintesi nazionale” nella quale sono state messe a nudo le “annose questioni che affaticano il passo” delle comunità. Nel secondo anno, attraverso i “Cantieri di Betania”, si è cercato di riflettere su alcune priorità emergenti dalla consultazione.
La successiva “Fase sapienziale” (2023-2024) ha avuto il compito di individuare le “scelte possibili” per preparare le proposte sulle quali occorreva poi decidere.
Si è così giunti alla fase conclusiva o “Fase profetica” (2024-2025) composta di tre passaggi: due Assemblee sinodali e un’Assemblea generale dei vescovi.
La prima Assembla sinodale si è tenuta dal 15 al 17 novembre dello scorso anno; gli oltre mille partecipanti, suddivisi in 100 tavoli, si sono confrontati su tre grandi aree tematiche (missione, formazione e corresponsabilità) articolate in 17 schede, i cui contenuti derivavano dai risultati dei tre anni di Cammino sinodale. Lo scopo del confronto è stato quello di operare una prima scrematura delle “scelte possibili”.
La distillazione finale
Gli orientamenti espressi dall’Assemblea sono stati riconsegnati alle diocesi con un documento (“Strumento di lavoro per la fase profetica”) che ha mantenuto la suddivisione in 17 schede. Gli Organismi di partecipazione diocesani dovevano approfondire una o più schede e indicare entro il 2 marzo le “scelte possibili”, che ritenevano prioritarie.
La raccolta di queste scelte ha prodotto un dossier di 1.064 pagine che sono servite per elaborare le 50 Proposizioni da emendare e votare nella Seconda Assemblea sinodale (31 marzo-3 aprile).
L’esito del distillato finale di fatto è apparso inadeguato, come hanno messo in evidenza la cinquantina di intervenuti, tra questi tre vescovi, nell’assemblea plenaria di apertura. Anche i 28 gruppi di lavoro, seguiti alla plenaria, hanno confermato, approfondito e ampliato l’insoddisfazione per un testo “privo di anima”, che non accoglieva, anzi depotenziava i risultati del cammino fatto.
Ma come si è giunti a questo flop? Una lettura attenta e anche tra le righe della equilibrata relazione conclusiva di mons. Castellucci, presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale, aiuta a capire come sia stata possibile una conclusione che, come vedremo, non va considerata in modo negativo o stravolgente la comunione ecclesiale.
Non solo il fattore tempo
Indubbiamente la strettoia temporale tra il 2 marzo (data di consegna delle sintesi diocesane) e il 31 marzo (apertura dei lavori) ha creato più di qualche problema. In meno di 30 giorni si è trattato di leggere le sintesi delle diocesi (oltre mille pagine), di elaborare il testo delle Proposizioni e di farlo avere agli oltre mille partecipanti.
La successione presentata nella relazione conclusiva dal vescovo Castellucci è stata la seguente:
– la Presidenza del Cammino sinodale (23 membri) ha letto tutti i contributi e alcuni dei membri hanno steso un primo testo di sintesi (74.000 battute);
– l’11 marzo il testo è stato letto integralmente e discusso dal CEP, che ne ha chiesto la “riduzione drastica”, perché si arrivasse alla forma di Proposizioni “sintetiche e mirate”;
– il testo è stato così ridotto a 46.000 battute (un lavoro che ha richiesto alcuni giorni), poi è stato presentato al Comitato Nazionale del Cammino sinodale (composto da oltre 100 membri) in “una rapida riunione online il 28 marzo”;
– infine, il testo è stato inviato a tutti i delegati nel pomeriggio/sera del giorno dopo, praticamente a poco più di 24 ore prima dell’inizio dei lavori.
Una successione che mette in evidenza due passaggi critici: la richiesta di una “riduzione drastica” da parte del Consiglio Permanente (composto da 33 vescovi); l’informazione pro forma al Comitato nazionale (105 membri: vescovi, referenti regionali del Cammino sinodale, esperti, rappresentanti delle Facoltà teologiche e organismi vari).
Non si è trattato di un’assemblea “ribelle”
Nonostante i componenti dell’Assemblea abbiano avuto poco tempo per esaminare il testo, già all’apertura dell’Assemblea la sorpresa e il disagio era palpabile tra tutte le sue componenti (vescovi, presbiteri, religiosi e laici).
Il vero dissenso non era tanto sui temi caldi (comunità lgbt+, donne, partecipazione), che pure si è manifestato, ma sull’impianto complessivo delle Proposizioni. Il linguaggio, l’aver unificato, sotto la dicitura “situazioni affettive particolari” (Proposizione 5), questioni strutturalmente diverse (gay, identità di genere, separati, divorziati in seconda unione, conviventi), l’essere un testo pieno di auspici e di rimandi a varie istanze senza avere mai carattere prescrittivo, l’aver prestato attenzione a una questione di fureria: le certificazioni per i sacramenti (Proposizione 44), e ancora l’essere un testo più arretrato rispetto agli esiti della Prima Assemblea dello scorso anno. Insomma, si è denunciato la mancanza di quell’afflato profetico che voleva qualificare questa terza Fase.
Questo è stato il senso vero del dissenso, che si è manifestato sempre garbato e adeguato allo spirito di un’assemblea di Chiesa, che è stato trasversale alle varie componenti dell’Assemblea ed ha interessato tutti i momenti dei lavori (plenaria e gruppi). Non si può, perciò, derubricare quanto accaduto, dimostrando una certa pigrizia mentale, ad una rivolta dei laici contro i vescovi. Chi ha voluto e vuole continuare ad utilizzare questa semplificazione (v. blog “Silere non possum”) dimostra di non voler riconoscere la realtà dei fatti.
Una vera dinamica sinodale
La scelta del Consiglio Episcopale Permanente di ritirare il testo delle Proposizioni e di proporre una mozione che ha recepito le richieste dell’Assemblea e dei gruppi di lavoro è stata positiva non solo proceduralmente. Ha dato credibilità al Cammino sinodale e dovrebbe aiutare a superare quel dire “ma tanto non serve a niente perché tutto resterà come prima”, che frequentemente si sente circolare tra i laici e tra i preti.
Si è rimandato alle comunità una positiva immagine di Chiesa: l’assemblea non era un pro forma, è stata un incontro autentico; i vescovi hanno dimostrato di saper ascoltare; la dinamica sinodale non vuol dire fare melina o dire ciò che i vescovi/i parroci vogliono sentirsi dire ma può essere un reale confronto, senza che questo voglia dire “rompere la comunione ecclesiale”. Inoltre, si può ritenere questa esperienza la manifestazione di un laicato che inizia a maturare una visione generale della realtà della Chiesa e non solo delle piccole questioni del cabotaggio parrocchiale o diocesano.
Allo stesso tempo dobbiamo essere consapevoli che il più non sta alle nostre spalle, ma davanti a noi perché il nuovo compito di riscrivere il testo, “affidato alla Presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale con il supporto del Comitato e dei facilitatori dei gruppi di studio”, non è poi così semplice, mi pare abbia di fronte un percorso con diverse insidie. Oltre alla stesura e al passaggio al Consiglio Episcopale Permanente, ci sono le procedure dell’Assemblea conclusiva di ottobre.
“Perché la gioia sia piena”, quindi, c’è ancora molto lavoro da fare.
Franco Ferrari
Presidente Associazione Viandanti
Tutta la documentazione relativa al Cammino sinodale della Chiesa italiana si può consultare a queste pagine del sito:
– Pagina generale
– Fase narrativa (2021-2023)
– Fase sapienziale (2023-2024)
– Fase profetica (2024-2025)
[Pubblicato l’ 15.4.2025]
[L’immagine è ripresa dal sito: www.avvenire.it]
L’esito imprevisto dell’assemblea sinodale dimostra quanto viva sia la chiesa in cammino, la chiesa del popolo voluta da papa Francesco, una chiesa che non indulge nello specchiarsi dinanzi alle sue presunte perfezioni, ma raccoglie e valorizza le diverse sensibilità dei singoli fedeli. Insomma, una chiesa dal basso che promuove l’essere umano e lo avvicina a Dio senza timori o infingimenti, bensì con l’apertura della madre amorosa che vuole solo il bene dei suoi figli. Grazie a Franco Ferrari per il resoconto intellettualmente onesto e puntuale, a partire da un grande spirito di servizio.
Un viandante
Un resoconto altrettanto leale, vivo e chiarificatore.
Grazie Franco