SINODO ITALIANO
UN GRIDO DAL SUD
Manifesto 4 ottobre
Il 30 gennaio scorso, a sei anni di distanza dal famoso discorso al Convegno di Firenze, «la Chiesa italiana – ha detto Papa Francesco ai partecipanti all’incontro dell’Ufficio catechistico della CEI – deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale … è il momento. E incominciare a camminare»”. Ossia, se non vi decidete a iniziare un cammino insieme, “un sinodo”, se con silenzi e ritardi continuate a rinviare, se le resistenze della maggioranza dei vescovi a un sinodo della chiesa italiana sono più forti delle decisioni, vi dico io, afferma Francesco: “dovete iniziare un processo di Sinodo nazionale”.
Non siamo tra coloro che, in questi lunghi anni, hanno posto resistenze ed ostacoli alle indicazioni di papa Francesco “per spingere la chiesa italiana a riprendere un cammino dopo una prolungata astenia”[1], anzi! Già nel 2014, noi laici di periferia chiedevamo “una sinodalità permanente”. Non siamo nemmeno tra coloro che ritengono che la chiesa istituzionale, e in particolare vescovi e preti, sono irrecuperabili. Ci collochiamo, dopo aver servito e amato per anni questa chiesa, in un’area di laici “cattolici da lontano”, come la chiama Anne Soupa[2], sempre più nutrita, tentata di non credere più a un possibile cambiamento.
Pur ignorati per anni dalla chiesa locale, ci sentiamo corresponsabili, ciascuno per i suoi limiti e le sue omissioni e contro-testimonianze, di quanto nella chiesa non corrisponde al suo dover essere ed ai contenuti essenziali della sua missione.
La fiducia in papa Francesco, per cui “il Vangelo non è ancora chiuso”[3], ci apre all’ascolto e alla collaborazione e ci pone nelle condizioni di porci dinnanzi ai primi documenti[4] di questo cammino sinodale della chiesa cattolica italiana, con umiltà ma senza alcuna remissività, in modo critico, propensi a porre domande più che a esprimere certezze o giudizi inappellabili.
Alcuni interrogativi
Nei primi documenti ufficiali della CEI elaborati per avviare questo cammino sinodale della chiesa cattolica italiana sembrano prevalere il non-detto, affermazioni scontate, genericità di contenuti, presupposti metodologici poco appropriati; tanto da prospettare più un cammino sinodale, previa consultazione di base, di soli vescovi che un cammino dei battezzati della chiesa italiana. Più precisamente:
- “Il cammino sinodale non parte da zero, ma s’innesta nelle scelte pastorali degli ultimi decenni”, scrive la CEI. Non troviamo un minimo cenno critico a quello che è accaduto negli ultimi 30-50 anni della chiesa cattolica italiana o un sia pur minimo accenno alle ragioni sistemiche e ai limiti strutturali a cui agganciare il bisogno di un cammino sinodale di rinnovamento. Il cammino sinodale della chiesa tedesca è nato, nel 2019, dallo scandalo della pedofilia. Il “punto morto” in cui ci troviamo attualmente – scriveva il card. Marx – spero che con il cammino sinodale possa diventare un “punto di svolta”. Possibile che il cammino sinodale della chiesa italiana debba svolgersi sol perché lo chiede un papa e non perché, per prima i vescovi tutti, sentano la necessità di fare un minimo di autocritica per rendere la chiesa italiana più fedele al Vangelo?
- “il cammino sinodale – hanno convenuto i Vescovi – deve configurarsi come uno stile capace di trasformare il volto della Chiesa che è in Italia. La grande sfida è la conversione missionaria della pastorale e delle comunità”. D’accordo, ma la sfida di una pastorale missionaria non era la sfida voluta dal Vaticano II? Perché in questi 50 anni questa sfida non è stata affrontata con lo stile della sinodalità? O si ritiene che la cultura della sinodalità sia uno schermo per continuare a coprire chiusure e clericalismo?
- La sinodalità va considerata nella sua “dimensione spirituale: ancora prima delle scelte procedurali, essa ha a che fare con la conversione ecclesiale…”. “Se è vero che la sinodalità deve essere intesa come stile permanente della Chiesa, è altrettanto importante – è stato evidenziato – esplicitarne anche i contenuti, quali ad esempio il kerygma, la centralità della Parola di Dio come criterio di discernimento, la vita spirituale”[5]. E il resto? La dimensione spirituale, che anche noi riteniamo essenziale, è la sola prospettiva del cammino sinodale? Ma si può evangelizzare senza por mano alle strutture della chiesa cattolica, alla formulazione storica dei ministeri, alle sue ricchezze materiali? Come evangelizzare se la chiesa non è più credibile a causa delle sue posizioni di chiusura nei confronti delle donne, degli omosessuali, della partecipazione dei laici e del controllo del potere clericale? E, inoltre, se questo quadro interno si ritiene così secondario rispetto all’evangelizzazione, perché è così difficile poterlo riformare per rendere appunto l’evangelizzazione più credibile? “E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi” (Luca 5,37-38). Chi ha fatto resistenze per l’avvio del sinodo, chi tenterà di renderlo innocuo perché non faccia male all’attuale modello clericale di chiesa, chi è terrorizzato dai cambiamenti fa parte dell’esercito di coloro che sostengono che basta pensare al vino (alla sola dimensione spirituale) anche quando è diventato aceto che allontana e respinge.
- “All’inizio di ottobre saranno consegnate le prime linee per il cammino sinodale e alcuni suggerimenti metodologici”[6]. É stata fatta la scelta di avviare un cammino sinodale e non un Sinodo per non incappare nelle maglie strette del Codice di diritto canonico e per poter navigare tra scilla di uno strumento già regolamentato e cariddi di uno strumento simile a tanti convegni. Il “cammino sinodale” consente, si sostiene, di navigare in campo aperto.
In realtà sono stati definiti i tempi (troppi quattro anni, anche se il primo di questi coincide con il Sinodo mondiale dei Vescovi sul tema della “sinodalità”!), si sono definite le tre fasi (narrativa, sapienziale e profetica); è stato escluso che si possano affrontare certi temi caldi della vita ecclesiastica “perché non interessano alla gente”. Quali siano i temi circostanziati da affrontare non è ancora detto. Alla futura consultazione capillare dei laici sono stati concessi “i gruppi sinodali” sul territorio.
Ci chiediamo: chi preparerà l’Istrumentum laboris? da chi sarà composta l’Assemblea nazionale del Cammino Sinodale? É previsto un Comitato nazionale dei laici che decida, con pari dignità di vescovi, almeno lo Statuto e/o il Regolamento interno di questo cammino sinodale? O anche questi strumenti saranno imposti o calati dall’alto? Possiamo pure capire che questo cammino non può avere carattere deliberativo ma è difficile accettare che anche sul piano metodologico lo stile sinodale si riduca a ratificare soluzioni più o meno già confezionate.
Uno sguardo laico dal sud
Al nostro pessimismo della ragione su questo cammino sinodale aggiungiamo, però, l’ottimismo della volontà e della speranza.
Don Mimmo Battaglia, il nuovo arcivescovo di Napoli, la più grande diocesi del sud, a maggio scorso, ha predicato che la chiesa di Napoli ha bisogno di “annunciare, denunciare e di rinunciare”.
Nella prospettiva del cammino sinodale ci permettiamo di invertire l’ordine di questi tre verbi: occorre una chiesa che “rinuncia” (ai pesi, i fardelli, le sicurezze, i privilegi … senza dover esemplificare…sono tanti) perché “il problema non è: Cristo sta sparendo dal mondo contemporaneo, sempre più vuoto di Lui, dobbiamo perciò riportarlo nella società. Il problema è se, come cattolici, crediamo al Vangelo o no”[7]; una chiesa che “denuncia” e si oppone ai mali del “neoliberalismo, che esalta l’individuo e nega la comunità, la solidarietà sociale e al populismo sovranista, che esalta la comunità nazionale, ma nega la persona umana e la sua dignità, per esempio nei migranti”[8]; una chiesa che “annuncia” Gesù ad ogni angolo del mondo contemporaneo: nei poveri, nei migranti disperati, negli affamati, negli oppressi, negli ultimi, uomini e donne, vecchi e bambini. E per questo la rinuncia si fa profezia; la denuncia, in un equilibrio dinamico tra fede e cittadinanza, si fa anche proposta; l’annuncio si fa non solo parola o scritto ma anche gesto e vita.
Il sud ha bisogno di profezia
Auspichiamo che il cammino sinodale capovolga le tre fasi già indicate (la fase narrativa, la fase sapienziale e la fase profetica). Si inizi dalla fase profetica.
La profezia nella chiesa dopo Girolamo Savonarola, bruciato vivo su un rogo, è morta sosteneva Paolo Prodi. Noi riteniamo che la profezia (senza distinzione tra la profezia laica e religiosa) è stata soffocata, repressa, messa a tacere dalla schiacciante preponderanza della istituzione ecclesiastica. Ma che continua a emergere come un fiume sotterraneo che zampilla dove meno te lo aspetti. Ci riferiamo alla profezia di chi vive in modo alternativo al sistema economico e sociale, che lotta per la giustizia e paga di persona, che pratica la solidarietà con chi ha bisogno, che vive e annuncia, anche senza avere una fede cattolica, un mondo nuovo e che crede che un altro mondo è possibile. Riteniamo che il fuoco della profezia c’è, anche se coperto da una enorme coltre di cenere.
Mettiamo sul moggio queste esperienze, facciamole parlare, ascoltiamole. Se ci sono. Se non ci sono è difficile che sia un cammino sinodale a suscitarle.
Manifesto4ottobre
Gruppo di Brindisi che aderisce alla Rete dei Viandanti
Sito web: www.manifesto4ottobre.blog
Note – – – – – – – – –
[1] Fulvio De Giorgi, Quale sinodo per la chiesa italiana?, Morcelliana, L’arca di scholé, marzo 2021, e-book, pag. 5.
[2] La biblista Anne Soupa, nata nel 1947, si è diplomata all’istituto di studi politici di Parigi con una doppia laurea in diritto e teologia. Assieme a Christine Pedotti ha fondato il Comitato della gonna nel 2008 per lottare contro la discriminazione femminile nella Chiesa.
[3] Frase aggiunta a braccio da papa Francesco nel discorso ai vescovi della Slovacchia del 13 settembre 2021 e riportata da Francesco Cosentino in Osservatore Romano del 17 settembre 2021.
[4] I riferimenti sono a: Comunicato della 74° Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana del 27 maggio 2021; la Carta d’intenti per il cammino sinodale dal titolo “Annunciare il Vangelo in tempo di rinascita”; il documento della sessione straordinaria del Consiglio Episcopale Permanente del 9 luglio u.s.; la Lettera della Presidenza della Cei del 7-9-2021.
[5] Comunicato finale della 74^ Assemblea della CEI del 27 maggio 2021.
[6] Presidenza Cei: Aggiornamento sul cammino sinodale del 7/9/2021.
[7] Fulvio De Giorgi, Nuovo Quotidiano di Puglia del 25 gennaio 2021.
[8] Ibidem.
[pubblicato il 30 settembre 2021]
[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: “lecronachelucane.it”]
Articoli correlati presenti nel sito:
Filiberti F., Sinodo italiano. Ripensare l’iniziazione cristiana
Cugini P., Il Sinodo italiano e il principio di uguaglianza
Simoni A.B., Sinodo della Chiesa italiana. Quale piega prenderà?
Ferrari F., Il difficile Sinodo italiano
De Giorgi F., Verso il sinodo della Chiesa italiana
Campanini G., Un “sinodo italiano” aperto alla corresponsabilità dei laici
Ferrari F., Sinodo e Chiesa sono sinonimi
De Giorgi F., Come si decide nella Chiesa?
Vedere anche la pagina Chiesa italiana. É tempo di Sinodo
I vescovi – specialmente quelli più “evoluti” – potrebbero cominciare rinunciando spontaneamente a sentirsi autorizzati a rappresentare la totalità della Chiesa, anche nelle occasioni più “banali” (non c’è nulla di banale nella vita di un cristiano anche se vescovo) come le cerimonie della religione concordataria: presto sarà la commemorazione dei defunti e tutti riterranno “naturale” celebrare “messe al campo” nei cimiteri come primattori. Potrebbero cominciare di qui a dare un segno profetico, studiando “para-liturgie” paritarie con altre confessioni e con i “non-credenti”.