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Gustav Klimt, il bacio (1907-1908) - Vienna, Osterreichische Galerie Belvedere

TEMI DEL SINODO L’APERTURA DEGLI SPOSI ALLA VITA

Luisa e Paolo Benciolini 

Gustav Klimt, il bacio (1907-1908) - Vienna, Osterreichische Galerie Belvedere

Apparteniamo alla generazione che, dopo aver respirato intensamente e con gioia gli anni e lo spirito del Concilio, ha vissuto con disagio il sofferto pronunciamento di Papa Montini sul tema della procreazione responsabile, concretizzatosi nella Enciclica Humanae Vitae (HV). Pur riconoscendo, nella luce della Gaudium et Spes (GS), il duplice significato “unitivo” e “procreativo” dell’amore coniugale (HV n. 12), si dichiarava “illecita” “ogni azione che si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione “ (HV n. 14).

Venivano quindi considerati leciti solo i mezzi “naturali”, osservando cioè la “continenza periodica” (HV n. 21).

L’accelerazione del cambiamento
Molti sono i passaggi dell’Enciclica che si offrono oggi ad una rilettura che tenga conto dei contributi delle scienze umane in questi cinquant’anni e delle esperienze che, nel frattempo, sono andate maturando sia in ambito civile che ecclesiale. Con particolare riferimento a quest’ultimo, la comunità dei credenti non può prescindere, nello spirito della Gaudium et Spes (GS n. 41), dal contributo dei laici e, per il loro compito ministeriale, dei laici sposati.

Ricordiamo, comunque, che già allora il Papa prendeva atto che si erano verificati “mutamenti tali da far sorgere questioni che la Chiesa non poteva ignorare” (HV n. 1) e richiamava, tra gli altri (HV n. 2), “le condizioni di lavoro e di alloggio, come pure le accresciute esigenze sia nel campo economico che in quello della educazione”, un modo nuovo “di considerare la persona della donna e il suo posto nella società”, “il valore da attribuire all’amore coniugale nel matrimonio e l’apprezzamento da dare al significato degli atti coniugali in relazione con questo amore”. Riconosceva, dunque, ”il significato che le relazioni coniugali hanno per l’armonia della coppia e per la loro mutua fedeltà” (HV n. 3).

Nel tempo questi “mutamenti” si sono andati ulteriormente accentuando e precisando con l’evolversi delle condizioni sociali e l’apporto delle scienze umane. Pensiamo al riconoscimento di alcuni valori fondamentali, in primo luogo la dignità di ogni persona, donne e uomini, e il diritto di ciascuno a realizzarsi  nelle relazioni affettive, nel lavoro e nella vita sociale. Pensiamo alla maggior conoscenza del corpo umano e delle leggi che regolano la trasmissione della vita. Ai timidi accenni, contenuti nell’Enciclica, circa il ruolo delle “relazioni coniugali per l’armonia della coppia”, fa riscontro oggi una approfondita consapevolezza del valore relazionale in sé della sessualità e della psico-sessualità, certamente fondamentale per poter contribuire a realizzare, nel tempo, quelle dimensioni (“amore pienamente umano”, ”totale”, ”fedele ed esclusivo” e, infine, “fecondo”) che Paolo VI  indicava (HV n. 9) come le esigenze caratteristiche dell’amore coniugale.

Alcuni passaggi discutibili
Non è questa, tuttavia, la concezione che emerge da una serie di passaggi dell’Enciclica laddove il testo, nel proporre (in termini categorici) l’osservanza della “continenza periodica”, formula una serie di nette contrapposizioni. Da un lato l’esigenza di una “perfetta padronanza di sé”(?), dall’altro gli ostacoli delle “tendenze dell’istinto e delle passioni” (HV n. 10); e, ancora, il “trionfo della sana libertà sulla licenza” (HV n. 22) e sulla “eccitazione dei sensi” (HV n. 21).

A distanza di tanti anni suona poi per lo meno priva di relazione causale la catastrofica previsione delle “gravi conseguenze dei metodi di regolazione artificiale della natalità“ (HV n. 17): “via larga e facile alla infedeltà coniugale e all’abbassamento generale della moralità”. Quanto poi al “timore che l’uomo, abituandosi all’uso della pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna” e “arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico”, pensiamo che queste conseguenze nefaste appartengano a una interpretazione della sessualità in termini depravati, patologici, e siano indipendenti dall’uso dei contraccettivi.

Non possiamo riconoscerci in questa generalizzata contrapposizione. Il gioco della sessualità è anche perdersi l’uno nell’altro, capacità di integrare tenerezza con aggressività, eccitazione con razionalità, garanzia per conservare e far crescere, nei diversi modi che caratterizzano il linguaggio di ogni coppia nelle sue diverse stagioni, un amore tenero, vivace e sempre nuovo.

Riconosciamo il perdurante valore di un amore “aperto alla vita”, ma sentiamo oggi superata la sua identificazione con l’ideale proposto a tutti della “famiglia numerosa”. Non neghiamo che per alcune coppie la famiglia numerosa sia una scelta positiva e vitale, ma crediamo che l’apertura alla vita implichi una genitorialità responsabile che, nel rispetto dell’equilibrio di ogni coppia, si impegni per una crescita armoniosa della comunità familiare, con attenzione anche alle concrete situazioni, soprattutto  educative, che, di volta in volta, vengono a precisarsi. E poi: “apertura alla vita“ è da interpretarsi solo nel senso di una fecondità in ordine ai figli o è anche dono di sé nelle situazioni in cui la vita ci colloca al servizio dei fratelli ?

I sacrifici eroici
Tra le considerazioni introduttive alla enunciazione dei principi dell’Enciclica, Paolo VI riconosceva che “le norme etiche finora vigenti …non possono essere osservate senza sacrifici, talvolta eroici” (HV n. 3). La pastorale del matrimonio può davvero offrire agli sposi una visione della sessualità in termini di “sacrifici eroici”?  Crediamo che l’amore annunciato dalla lieta novella implichi per gli sposi condivisione di emozioni, sentimenti e progetti che si sciorinano nella quotidianità, talora banale, e che anche l’effervescenza della sessualità, con i suoi improvvisi e imprevisti, renda questa quotidianità un luogo di crescita, di dono, di desiderio di fedeltà e nella fedeltà.

L’apertura alla trasmissione della vita non può significare, dunque, legare “qualsiasi atto matrimoniale“ (HV n.11) ad una legge puramente biologica, non applicabile per ogni donna, né comprendiamo come si possa giustificare, in quest’ottica, la liceità del ricorso ai periodi infecondi, al rispetto dei quali subordinare “le manifestazioni di affetto, a salvaguardia della mutua fedeltà” (HV n.16).

In questo lungo arco di tempo siamo stati testimoni di numerose esperienze dolorose che oggi, nella stagione dei due Sinodi sulla famiglia, interpellano la Chiesa perché, con atteggiamento materno e consapevole attenzione ai “segni dei tempi”, ritorni ad interrogarsi su questi temi.

I “metodi naturali” e la “legge naturale”
I “metodi naturali” sono stati oggetto di approfondimento da parte di autorevoli studiosi, che ne hanno evidenziato la validità dei presupposti scientifici, e sono stati divulgati e insegnati anche nell’ambito di iniziative pastorali alle quali abbiamo partecipato. Tuttavia, anche nella nostra esperienza consultoriale, abbiamo dovuto constatare che spesso non sono applicabili: per difficoltà biologiche, per i ritmi di lavoro che non consentono un incontro spontaneo tra i coniugi, per i tanti impegni familiari che gravano sulla coppia, ecc.. Il ricorso ad essi è diventato per alcune coppie fonte di tensione e disarmonia, talora addirittura sfociate in separazioni e divorzi.

In definitiva, il tema rimanda agli interrogativi proposti dal secondo gruppo di domande contenute nel questionario che aveva preceduto il sinodo straordinario e cioè al significato e al valore della “legge naturale”. Com’è stato osservato per altri temi di rilevanza bioetica (procreazione artificiale, transessualismo, fine vita), è necessaria, anche all’interno della nostra chiesa, una riflessione attenta ai contributi delle scienze umane e che attinga alle esperienze di chi, vivendola in prima persona, sente il dovere di contribuire costruttivamente a superare una visione puramente biologistica. Come se invocare la “legge naturale” possa ignorare il compito affidato dal Creatore alle donne e agli uomini e possa prescindere dall’apporto delle loro capacità di “coltivare” le realtà terrene, capacità che nel tempo continuamente e dinamicamente si storicizza. Proprio perchè siamo chiamati ad essere “procreatori” con Dio rispetto ai figli, ci chiediamo se questo impegno non riguardi anche la capacità di partecipare all’evoluzione della creazione contribuendo con il progresso a una umanizzazione crescente e cosciente.

Luisa e Paolo Benciolini
Redazione della rivista “Matrimonio” (Padova), aderente alla Rete dei Viandanti.
Sito web: http://www.rivista-matrimonio.org/

2 Commenti su “TEMI DEL SINODO L’APERTURA DEGLI SPOSI ALLA VITA”

  1. Personalmente non avrei voce in capitolo perché non sono sposata né ho figli, anche se ritengo improprio non esprimere la mia opinione. La storia va avanti anche per i cattolici e non è detto che si evolva negativamente: le ragioni già addotte dai coniugi Benciolini dimostrano che le ragioni dell’obbedienza sacrificale non solo impoverivano l’amore tra uomo e donna, ma anche quello nei confronti della responsabilità genitoriale. Quello che, in ogni caso, con tutta la comprensione per gli “eroismi” della vecchia generazione, volevo sottolineare sono due elementi: l’impossibilità di indurre i giovani non tanto a seguire, quanto a capire il remedium concupiscentiae in un sacramento, la continenza a comando e lo stesso significato della castità che è virtù in tutti gli stati e le condizioni. In secondo luogo penso che le prospettive delle ricerche biotecnologiche debbano impegnare la coscienza individuale e l’etica della Chiesa a un livello un poco più alto.

  2. Gent. Luisa e Paolo Benciolini, ho letto il vostro editoriale e mi ritrovo in molte vostre affermazioni. Per non ripetermi, vi invito a leggere i miei due brevi interventi scritti che il Presidente F. Ferrari ha avuto la gentilezza di pubblicare circa il Questionario per il Sinodo. Il vostro é, a mio modesto parere, un tono molto pacato di affrontare un tema cruciale che la Chiesa cattolica odierna fa molta fatica a dirimere. Penso che forse é giunto il momento di usare toni più severi, abbiamo aspettato e provato sulla nostra pelle fin troppo. I sacrifici eroici dovrebbero farli quei preti che hanno chiare tendenze pedofile, non due persone, uomo e donna, che si amano e che generano nuove creature.
    Grazie del’attenzione.

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