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VIANDANTI VERSO L’ASSEMBLEA SOCI PENSIERI SUL NOSTRO FUTURO

Ugo Basso 

I viandanti

Il prossimo 22 settembre, a Parma, la nostra Associazione terrà la sua terza Assemblea soci. Il tema sarà “I Viandanti nel cambiamento d’epoca”, facendo riferimento ad un passaggio del discorso di papa Francesco ai partecipanti al V Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana (Firenze, 9-13 novembre 2015). L’incontro sarà l’occasione per fare un bilancio del lavoro svolto fino ad ora; per leggere l’attuale momento della vita della Chiesa e per tracciare alcune linee d’azione per il prossimo quinquennio.

In preparazione dell’assembla presenteremo tre contributi. Il primo è costituito da queste riflessioni del direttore de “il gallo”, che si interroga sul futuro di gruppi spontanei, come quelli messi in Rete da Viandanti. (V)

Per il programma dell’Assemblea cliccare qui

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Viandanti? Tra la provvisorietà del nostro stesso essere e il cammino come dimensione esistenziale; “Viandanti” è un’associazione di laici cristiani consapevoli, impegnati a studiare e vivere lo spirito del concilio Vaticano secondo ripreso e incoraggiato negli ultimi anni dal pontificato di Bergoglio. Ma è anche una Rete di riviste e gruppi – attualmente una trentina – attivi nello stesso spirito usualmente definito conciliare, con storie, forme e iniziative autonome e diverse.

Un metodo sinodale
Il fine è la pratica del metodo sinodale nella ricerca comune per provare a decifrare, prendere posizioni, interrogarsi, comunicare, in un ambito di rinnovamento ecclesiale e di una spiritualità ispirata a Cristo nel nostro tempo. Il gallo ha aderito da anni a questa rete ricevendo e offrendo contributi nelle prospettive indicate in cui si riconosce, ma anche perché la Rete dei “Viandanti” rispetta le diverse storie e considera

 l’irriducibile diversità delle varie realtà un valore da conservare e valorizzare. Ogni gruppo ha una sua identità e specificità che trae linfa e creatività dal territorio nel quale opera,  che difficilmente può essere omologato in aggregazioni unitarie sovra ordinate.

Se l’adesione a questi principi resta imprescindibile, non ignoriamo l’ambiguità dell’espressione che potrebbe coprire, giustificare o addirittura favorire l’isolamento e la resa da parte di gruppi troppo autoreferenziali, nella ricerca di posizioni comuni su questioni essenziali che, anche a prezzo di qualche compromesso, forse meglio dire mediazioni, troverebbero maggior ascolto.

Esperienze superate?
L’attività della Rete si articola in diversi incontri, locali e nazionali, in convegni biennali su temi rilevanti, in diverse comunicazioni in rete. L’ultimo incontro, nel maggio scorso, del Gruppo di Riflessione e Proposta (il comitato che supporta dal punto di vista culturale e scientifico il Consiglio direttivo per le principali iniziative dell’Associazione e della Rete) mi ha suggerito alcune considerazioni personali su cui intendo ora ragionare. Fra i molti temi toccati, ne colgo due: il futuro di questi gruppi e l’individuazione di alcuni punti che dovrebbero caratterizzarli.

Ne parliamo spesso anche negli incontri genovesi e se ne riascolta l’eco in occasione di confronti più ampi: questi gruppi, che potrebbero anche costituire l’articolazione di una struttura ecclesiale complementare o eventualmente alternativa a quella parrocchiale postridentina, invecchiano nei loro membri storici e difficilmente vedono presenze giovanili, intese come 40/50enni, fino a sciogliersi, in diversi casi di cui abbiamo notizia, per esaurimento delle forze. Una doppia preoccupazione ansiogena che pone interrogativi su possibili errori commessi e cerca rimedi.

Ma vale la pena di impegnare energie in queste direzioni? Occorre rimuovere fisiologiche pigrizie, magari aggravate proprio dall’età, e non rinunciare alla ricerca di contatti, di proposte, dei rinnovamenti di cui siamo capaci, ma anche prendere atto non solo delle leggi biologiche, ma anche della natura di questi gruppi, spesso animatori di importanti attività e capaci di contributi significativi al cattolicesimo postconciliare e all’ecumenismo, pensati e organizzati con criteri e linguaggi espressione di una cultura comunque diversa da quella del tempo presente e forse difficilmente aggiornabile.

Aprirsi ai giovani senza l’ansia da prestazione
Prendere atto di quanto si è fatto, farsi consapevoli dell’evoluzione delle forme di comunicazione, dei metodi di analisi e delle capacità propositive dovrebbe ridurre l’ansia da prestazione, come si potrebbe definire, senza spegnere la passione a continuare con la responsabilità della fedeltà per trovare forme e voce che siano significative espressioni degli studi e delle esperienze di questi decenni, insieme alla preparazione del cammino per chi lo vorrà proseguire favorendo quell’equilibrio che consente di continuare. Nella storia di ciascuno aggiornamenti delle posizioni e degli studi, ricerca di contatti e di confronti sono da perseguire, insieme all’accettare senza drammi l’esaurimento di una stagione.

Questa accettazione potrebbe rasserenare i prossimi anni di lavoro: i giovani sapranno inventarsi degli strumenti loro per interpretare ed esprimere la religiosità nel tempo futuro e operare nelle coerenze che sapranno trovare. A noi però restano delle ineludibili responsabilità, la prima delle quali è indubbiamente continuare ad alimentare all’interno della chiesa l’area critica fino a quando sia possibile e senza escludere apporti nuovi, qualora se ne presentassero.

Occorre non perdere di vista il dovere comunque di operare con iniziative e linguaggi comprensibili e accattivanti, ma anche tenere ben presente la raccomandazione di Emmanuel Mounier (1905-1950) per i tempi di cambiamenti: «il cadavere del vecchio non soffochi il nuovo che nasce». Comporta l’abbandono di posizioni pregiudizialmente polemiche o di rifiuto, presunzioni di verità in nome di tradizioni nobili e antiche: senza tuttavia   rinunciare al senso critico nei confronti di qualunque posizione, né all’espressione di valutazioni e pareri.

Ricercare riferimenti comuni condivisi?
Al di là di quello che potrà essere il futuro dei nostri gruppi, la Rete, strumento per dare vitalità e credibilità alle esperienze maturate e a quelle in gestazione all’interno di quella che chiamiamo area critica del cristianesimo conciliare, si potrebbe valutare l’opportunità non diciamo di uno statuto, ma di individuare alcuni punti condivisi. Senza considerare le difficoltà attuative dalle delibere formali per l’accettazione alla verifica delle coerenze, l’ipotesi pone un problema più ampio: è possibile descrivere stili comuni di un impegno cristiano nella società oltre alle dichiarazioni di fede e partecipazione al culto, di fatto irrilevanti nel quotidiano?

Lascio questi interrogativi alla riflessione comune, nell’ipotesi, peraltro ancora lontana, che possa essere presentata anche alla Rete. Mi pare possa essere un’occasione per una presa di coscienza, per valutarne la praticabilità, riconoscendo tuttavia la necessità di un’opzione e di un’assunzione di responsabilità

Dall’incontro sono emersi come posizioni identificative di chi partecipa a gruppi questi nodi, o indicazioni di tendenza, declinabili diversamente nei diversi contesti, ma abbastanza puntuali da indurre a prendere posizione. 

Considerare l’orizzonte di senso dell’interlocutore
Si tratta di un impegno per chi si ripromette di comunicare come specifica vocazione, ma tutti dovrebbero sentire la necessità della comunicazione delle proprie convinzioni profonde in particolare in ambito religioso. Il messaggio può essere discusso o rifiutato, ma è principale cura dell’emittente almeno farlo intendere: spesso la comunicazione non passa appunto perché il soggetto – predicatori professionisti compresi – pretendono, magari inconsapevolmente o perché non sanno fare diversamente, la comprensione all’interno delle proprie categorie espressive.

Occorre invece organizzare qualunque comunicazione verso l’esterno cercando di conoscere l’orizzonte di senso, la cultura, il linguaggio dell’interlocutore.

Dilatando l’orizzonte, in ambito specificamente religioso, mi pare che il discorso possa riguardare la stessa liturgia in cui linguaggio, formale e simbolico, può essere esteticamente godibile, evocatore di sicurezze e di ricordi infantili, ma resta estraneo alla cultura presente perfino degli iniziati. 

Disponibilità a una riforma permanente della chiesa
La domanda che ci poniamo è se siamo sensibili e disponibili a una chiesa in evoluzione, in trasformazione, anche sostenendo una rilevante discontinuità con la tradizione dottrinale su questioni considerate centrali, da qualcuno addirittura non negoziabili.

Chi accetta di sostenere queste posizioni riconosce, anche senza rinnegare il passato, che la fedeltà all’evangelo oggi può comportare organizzazioni e strutture inedite con una serie di conseguenze alle quali ci si dovrà adeguare con tutti i ripensamenti necessari. Insomma una fede dinamica da vivere nella consapevolezza della provvisorietà storica e nell’impegno alla fedeltà.  

Obiezione al neoliberalismo
Dicevamo di condizioni interne alla chiesa: con questo punto prendiamo posizione rispetto al contesto politico economico. Non si tratta di indicare il voto, perché vorremmo sempre augurarci l’autonomia delle scelte di ciascuno, ma riconoscere insieme l’estraneità ai fondamentali principi dell’evangelo di regole economiche e sociali che di fatto producono ineguaglianze e ingiustizie, o, per dirla con le parole di Francesco, scarti e morte.

L’adesione e questa obiezione, nel senso di rifiuto, intende qualificare una differenza, una visione alternativa, una prospettiva di speranza. Si tratta di una consapevolezza rivoluzionaria nel profondo che impegna individui e gruppi a non arrendersi: non si può escludere il rischio delle divisioni, ma la tensione alla comunione non può comportare neutralità di fronte alle scelte politiche.

Naturalmente non si vuol giocare allo sfascio, ma per un verso impegnarsi a non godere di privilegi offerti dal presente stato sociale, per un altro studiare, educare, verificare quali vie percorrere per cambiamenti radicali convinti che una maggiore equità può anche ridurre qualche benessere di cui magari oggi godiamo. Dobbiamo pensare che l’obiettivo da perseguire non è migliorare lo stato di chi può permetterselo, ma la garanzia dei diritti per tutti.  

Riaffermare la dimensione spirituale e sacramentale
Ultimo, soltanto nell’elencazione, il richiamo all’impegno più espressamente religioso, ma che resta l’anima di tutto il resto e fa la chiesa comunità non limitata all’impegno sociale e organizzativo. Ricordo la famosa prima lettera pastorale dell’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini sulla Dimensione contemplativa della vita (1980): il credente non pretende assimilazione o battesimi da chiunque condivida il suo impegno, ma per sé ha necessità anche della dimensione contemplativa, del riconoscere che non tutto è visibile, che esiste uno spazio dell’interiorità da coltivare perché tutto il resto trovi la collocazione equilibrata nella vita.

Una dimensione che potremmo definire religiosa, anche se non esclusivamente cristiana: il credente cristiano si riconosce in un’ecclesialità sacramentale, una comunità che ritiene di cogliere una trascendenza espressa in tanti modi, animata da un comune sentire e sostenuta dalla sacramentalità non esauribile nella ritualità, ma ne fa il luogo della presenza del mistero. In particolare l’eucarestia: il trovarsi insieme a pregare, leggere, studiare, sostenersi, fare memoria di quel Cristo modello incoraggiante per qualunque scelta.

Un impegno da considerare
Mi è parso bello immaginare che “Viandanti” possa aspirare a riconoscersi in questi nodi che richiedono mille puntualizzazioni e non diventeranno uno statuto da giurare. Ma mi pare interessante anche l’interpellazione individuale su questi argomenti perfezionabili anche nella dicitura e a cui se ne dovranno aggiungere molti altri. Il cuore però mi sembra irrinunciabile: Dio non è un tappabuchi, né la fede un guanciale su cui fare sonni tranquilli: occorrono coraggio e determinazione ad accettare una discontinuità con la tradizione cristiana e in particolare cattolica nella fedeltà al Cristo; ma anche con la comunità civile nella quale operare donne e uomini come tutti senza rivendicazioni e disposti a dare più di quello che si chiede per tutti.

Non è affar semplice, ma forse neppure lo si vuole.

Ugo Basso
Direttore della rivista “Il gallo” (Genova), che aderisce alla Rete dei Viandanti 

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Il testo completo della riflessione di Ugo Basso si trova nel numero di luglio-agosto de “Il gallo” (pp. 6-8).

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